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sabato 19 maggio 2012

Nel gavone dell'anima (cosa portare)

Tra poco si parte ed è ora di decidere cosa portarsi dietro. Dietro nel gavone stagno del kayak e poi nello zaino. Dover scegliere oculatamente cosa è necessario e cosa no è una pratica sana e santa. La condivido qui sul blog perché questo viaggio lo faccio insieme a voi. Ogni lettore del blog, ogni amico che farà un pezzo di strada, ogni persona che mi ospita a casa, ogni airone che vedrò, ogni albero e ogni pesce sono in cammino con me. Molti mi dicono che sarebbe stato meglio scenderla la Brenta piuttosto che risalirla con fatica. Io ho sperimentato che, per un uomo almeno, c'è bisogno di affrontare le cose, di conquistarle per poterle comprendere e amare a pieno. Inoltre preferisco partire dalla mia casa senza macchine, mettere il kayak in acqua e pagaiare la laguna per poi affrontare la corrente della Brenta, in verità non irresistibile quaggiù grazie ai numerosi sbarramenti (finora ne ho contati 4) che la mantengono a dislivelli piccoli. Andare controcorrente è anche il modo migliore per capire davvero fin dove voglio veramente arrivare, una metafora del rompere il conformismo che ci vorrebbe tutti incanalati nel ciclo lavora, guadagna, consuma.
Ecco cosa metterò nel mio gavone essenziale: uno zainetto con dentro bossolà chioggiotti (il pane dei pescatori che mi ricorda il Lembas elfico), formaggio della Valcamonica, delle carote biologiche di Sottomarina, acqua e sciroppo di sambuco della Brenta, barrette di sesamo e miele equosolidale, una maglietta, braghe e un cappellino rosso di ricambio, piccolo asciugamano, un poncho impermeabile, un pile, un sacco a pelo, un telo impermeabile, un cordino di qualche metro, un coltellino tascabile, accendino, fazzolettini di carta, cerotti, deodorante, spazzolino, un'ottima crema dai mille usi della Fattoria delle Erbe, crema solare, antizanze, dei fiori di Bach (un mix di water violet – hottonia palustris, wild rose – rosa canina, hornbeam - carpino bianco) con un goccio d'acqua della Brenta. Sacchetti con semi da regalare ai miei ospiti (semi di speranza, zucca, mais bianco e rosso) e una boccetta preziosa, di vetro lavorato, con acqua del canal Vena qui sotto casa da portare a Caldonazzo. E poi mi porterò il mal di schiena, la mia rigidità mentale e le mie paure: non riuscire a trovare le parole per spiegare il mio cambiamento, non riuscire a condividere la mia visione con voi che mi leggete e che vorrei tutti portarvi con Me verso la Madre Terra.
Avrò il cellulare, ma lo accenderò solo nel tardo pomeriggio per comunicare con chi mi appoggia a terra posizione e appuntamenti, ma anche per rispondere a eventuali SMS. Porterò carta di identità, 100 euro, un quaderno vuoto, penna, matita e gomma. Se ne varrà la pena pubblicherò poi il diario del viaggio. Niente macchina fotografica, mi impedirebbe di entrare profondamente in collegamento coi luoghi, dove nascono gesti nuovi e parole sottili. Mi vestirò con pantaloncini, maglietta, cappello di paglia e scarpe da ginnastica. Niente costose tutine e scarpe d'acqua: in kayak ci vado a piedi nudi! Dal mio kayak, che ho battezzato Monamì, sventolerà una piccola bandiera italiana, quella della marina mercantile. Per me rappresenta lo possibilità che il nostro paese metta al centro le differenze che rendono queste terre e queste genti così ricche e creative in ogni ambito. Una vera repubblica federale italiana, con le comunità locali al centro e non la burocrazia regionale o statale che sia.
Ogni volta che affronto i viaggi con questo spirito gagliardo li rendo sacri, come i pellegrinaggi antichi. Ho ben chiaro dentro di me che il vero viaggio è interiore, un viaggio dell'anima nel mio cosmo interiore alla ricerca della Sorgente che dentro di me alimenta la vita. Risalendo la Piave due anni fa ho aperto la mia gola, ho cominciato a fare spettacoli e raccontare storie in pubblico, a dire quello che sento e che amo per quanto strano possa sembrare. Ora cerco la Visione, come nelle prove iniziatiche degli sciamani. Sorrido mentre scrivo perché la visione è già qui ma per riconoscerla pienamente e condividerla servono gesti esteriori e forse anche un po' teatrali. Badate bene che non faccio ironia sul teatro che è una pratica sacra che tutti dovrebbero provare. E' una potente metafora della vita incarnata per noi che siamo registi e attori del nostro copione.
Lascerò il kayak ai laghi di San Giorgio per proseguire a piedi. Altro zaino e altra attrezzatura per risalire la Valsugana, uno zaino capiente, gli scarponi, le braghe lunghe. Braghe e non pantaloni, come si dice in camunia. Un'altra bella parola che mi porterò dal mio dialetto paterno è “socio” che vuol dire amico. La pronuncia in dialetto è particolare, la S iniziale si aspira, si legge hòci. In valcamonica si distinguono i soci, quelli veri, dai soci de la bira, cioè quelli che sono sempre pronti a fare festa ma poi alla prima difficoltà spariscono. Soci deve essere una derivazione diretta dal latino, dove significava “alleato”, alleato che fornisce truppe per combattere accanto alle legioni dei civites (cittadini). Insomma i camuni ti riconosco come vero amico se gli stai accanto anche nei momenti duri, la lotta quotidiana per superare le mille difficoltà e fatiche di questa vita pesante ma creativa nella materia.
La Piave mi ha insegnato le regole dell'amicizia attraverso il saggio Michelangelo che me le ha ricordate, perdonando certe mie leggerezze. Nello zaino anche un sasso raccolto a novembre a Tezze sulla Brenta, quando ho promesso che avrei fatto questo viaggio, mi è arrivato il nome della mia barca e ora potrò restituirlo questo promemoria dei momenti grigi. Cosa mi insegnerà ancora la Brenta e la sua gente? E' ora di partire, buon viaggio a tutti! Esagerate, non accontentatevi, ma esigete da voi stessi la vita che avete sempre voluto. E' ora di andare a prendersela!

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