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lunedì 30 agosto 2010

Perchè "La Piave"?

Ieri sera a coronamento di una bella serata in compagnia Simone mi ha chiesto perchè insistevo a dire "la Piave" e non "il Piave". Cercando di spiegarglielo, come spesso succede, l'ho capito meglio anch'io. Innanzitutto la mascolinizzazione (o se vogliamo fare i filosofi orientali la "yanghizzazione") del fiume è un dato storico e culturale che è coinciso con l'affermarsi della lingua italiana sui dialetti locali che la chiamavano (come la Brenta, la Livenza e altre fiume... fiumane?) la Piave. La trasformazione del toponimo si affermò durante la Grande Guerra, quando tutta l'opinione pubblica imparò a conoscere questo fiume di seconda grandezza. E lo conobbe da giornali scritti in italiano, da bollettini di guerra redatti nella stessa lingua e per di più da soldati, maschi e pregni di un ideale di virilità guerriera esclusivamente maschile. Il suggello lo mise la famosa canzone "Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei fanti il 24 maggio". La canzone di un autore napoletano divenne l'emblema di un'Italia che resisteva dopo la disfatta di Caporetto, ma anche dopo aver iniziato la guerra contro l'Austria-Ungheria e aver attaccato per 2 anni oltre i confini.

Tornare a dire "La Piave" è quindi un vezzo regionale? Una difesa xenofoba della patria cultura soffocato dallo stato centralizzato? Per me è far emergere un approccio più dolce e amorevole verso il territorio che è diventato, per scelta e non per nascita, la mia terra, la mia madrepatria. E' anche un modo per dichiarare finita l'epoca delle guerre, in particolare di quella Grande Guerra che qui in Veneto pare che sia appena finita e desta interesse e commozione che altrove nella penisola stupisce. Basta con il mito del soldato eroico nella morte. Sì alla riscoperta della dolcezza del paesaggio, del rapporto madre - figlio tra la madre-terra e l'umanità e gli altri esseri. E poi, sinceramente, mi pare proprio che molti elementi facciano intuire il carattere femminile del fiume: i suoi alti e bassi, estremi e rovinosi; la sua instancabile ridisposizione di ghiaie e isole come fossero mobili di una casa da ridisegnare ogni anno secondo il nuovo estro. Accogliente e insidiosa: potentemente femminile. Ha molti figli, con le sue acqua infatti alimenta i fiumi di risorgiva, primo fra tutti il Sile. In questo ricorda la Madonna: partorisce un figlio che poi ... risorge! Più femmina di così!

Infine scegliere di cambiare il genere è un piacevole esercizio: sia per rompere vecchie abitudini, vecchi schemi induriti, che per far nascere nuovi accostamenti, nuovi suoni e nuove domande. Ad esempio: dove nasce la Piave? Qual è la sua sorgente? Dal monte Peralba scendono infatti due torrenti, grosso modo dalle stesse quote ma da due versanti diversi. Si incontrano appena fuori Sappada. Dopo la guerra la furia celebrativa non potè tollerare che il virile fiume che aveva difeso eroicamente l'Italia non avesse una madre certa (cioè una sorgente unica). Così una commissione ministeriale determinò l'attuale sorgente della Piave, dando all'altro torrente il nome di Piave di Visdende, con sdegno di quei valligiani che sostenevano la superiorità del loro corso d'acqua. Appena ho letto di questa vecchia diatriba ho subito pensato che io avrei dato nome al fiume proprio alla confluenza dei due torrenti equivalenti. Poi ho scoperto che in Valcamonica il fiume Oglio nasce proprio così. I torrenti Frigidolfo e Narcanello di uniscono a Ponte di Legno (proprio quello dove và il Senatùr) e nasce il fiume Oglio. E' bello pensare che un fiume abbia una coppia di torrenti come genitori...

mercoledì 18 agosto 2010

Eredità culturale dei Da Romano

Da alcuni mesi incrociavo per le più diverse vie la storia della famiglia Da Romano, ed in particolare del suo più famoso esponente, Ezzelino "il tiranno", alleato prezioso dell'imperatore Federico II di Svevia nella pianura padana. Subivo il fascino della sua figura controversa, ammiravo l'audacia bellica, la spregiudicatezza, i successi conquistati con volontà ferrea, la sdegnosa sfida alla morte (languì per 11 giorni rifiutando le cure dopo l'ultima sconfitta). Finalmente ho deciso di cominciare una ricerca che si concluderà la prossima settimana con una visita a Romano d'Ezzelino (VI), castello di famiglia dove venne sterminata tutta la linea maschile della casata. Dal 20 al 26 agosto c'è una rievocazione storica che si conclude col ricordo dell'ultima battaglia e dell'eccidio.

La figura di Ezzelino III è oggi manipolata politicamente: viene indicato come un precursore dello stato regionale veneto, cosa che non credo. Ezzelino fu alleato e vicario imperiale di Federico II, sposò la figlia naturale dell'imperatore Selvaggia e alla sua morte (1250) tentò di consolidare un dominio stabile sulle città comunali sottomesse (Padova fu il dominio più ambito e difficile da mantenere). La sua sconfitta da parte delle forze guelfe che si raccolsero in una crociata benedetta dal papa nel 1259 segnò di certo uno spartiacque: venne a mancare una forte leadership dei ghibellini e pochi anni dopo i francesi Angiò poterono marciare sul regno Normanno di Manfredi, altro figlio naturale di Federico II, mettendo fine all'epopea svevo-normanna e al centro culturale di Palermo. Di certo i Da Romano rappresentano una parte del patrimonio culturale sedimentato in queste terre (da Verona a Treviso, da Bassano a Padova) e credo che fossero, specialmente nella linea femminile, fortemente collegati con le energie di natura che fluiscono dall'altopiano di Asiago.

Ho scoperto con interesse un altro esponente della famiglia: Alberico. Fratello minore di Ezzelino, che riuscì a diventare podestà di Treviso e resse la città per anni, conducendo una politica autonoma che lo portò alla rottura col fratello per poi ricongiungersi negli ultimi anni quando una serie di poteri si coalizzò per distruggere tutto ciò che la famiglia Da Romano significava. Dopo essere stato scacciato da Treviso Alberico fu inseguito e assediato nel castello di famiglia a Romano d'Ezzelino. Cadde prigioniero con tutta la famiglia: le donne vennero bruciate al rogo come streghe, i figli trucidati davanti a lui ed infine martoriato fino alla morte per le strade del suo paese natale. Perchè tanto odio? La crudeltà del fratello Ezzelino era diventata proverbiale ma di certo anche la veloce ascesa della famiglia che in tre generazioni era divenuta da un'oscura famiglia di cavalieri di origine tedesca a una delle principali casate dell'Italia settentrionale.

Un'altra ragione deriva secondo me dall'accoglienza che trovarono presso i Da Romano astrologi e esperti di scienze arcane. Per alcuni anni Ezzelino ebbe a corte l'astrolgo Guido Bonatti, già a servizio dell'imperatore. Interessante anche il legame fortissimo della casata con le popolazioni cimbre del cansiglio e le loro vive tradizioni germaniche: erano cimbri tutte le guardie del corpo della famiglia. Inoltre l'accanimento verso le donne della famiglia suggerisce che proprio il ramo femminile custodisse conoscenze che la Chiesa bollò come stregoneria. Si tramanda che la madre di Ezzelino ricevesse in sogno una premonizione sul figlio che portava in grembo come di una fiaccola che avrebbe incendiato la marca Trevigiana (intesa come terra di confine tra Brenta e Piave). Sempre lei predisse al figlio che sarebbe stato in pericolo di morte se acesse combattuto nei pressi di Axanum (Ezzelino venne sconfitto vicino a Cassano d'Adda e morì a seguito delle ferite). Un particolare che andrebbe inoltre approfondito è che la chiesa di famiglia era presso Onara di Tombolo ed era dedicata alla martire Santa Margherita d'Antiochia. Qui venivano siglati i patti di famiglia come la riappacificazione tra Ezzelino e Alberico.

Ma la donna della famiglia che incarna potentemente il potere del femminile che venne così brutalmente avversato fu Cunizza, sorella di Ezzelino e Alberico. Si sposò tre volte, ebbe molti amanti ma fattosi anziana sciolse dai loro giuramenti le fedeli guardie cimbre e si dedicò ad opere di carità a Firenze, dove si parlò molto di lei e dove forse conobbe Dante. Il poeta la collocò nel terzo cielo del suo Paradiso (mentre confinò Ezzelino nel girone infernale dei violenti): quello di Venere, che raccoglie le anime che seguirono l'amore di Dio senza però riuscire a purificare completamente l'amore carnale. In quell'incontro Cunizza pronuncia una predizione, che suona più come una maledizione, sui nemici della sua famiglia: Feltre, Padova e Treviso. Curiosamente a Treviso il celebre ponte Dante cita proprio un passaggio del discorso di Cunizza censurandone le infauste conseguenze e celebrando la felice intuizione dantesca di non nominare Treviso se non come "dove Sile e Cagnan s'accompagna".

Ma l'accusa più grave che Cunizza sembra rivolgere ai trevigiani, o meglio ai veneti, sembra quella di aver perso le qualità che avevano resa famosa la loro terra come "marca gioiosa et amorosa". Accanto a lei si trova in quel cielo l'anima di Folco di Marsiglia, poeta provenzale che incarna l'amore cortese, ormai dimenticato dalla "turba presente che Tagliamento e Adice rinchiude". Una conferma che un profondo cambiamento culturale stava rompendo una lunga tradizione di celebrazione del potere femminile, potere dell'amore, fu anche il sanguinoso scontro in cui si trasformò il famoso torneo del Castello d'Amore nel 1214. A Treviso si indiceva tradizionalmente un torneo aperto a tutti i giovani cavalieri delle zone limitrofe: divisi in squadre per provenienza avrebbero dovuto assediare un castello di legno protetto giocosamente dalle dame, conquistandone quindi l'amore. Nel 1214 una compagnia di cavalieri padovani venne allo scontro col gruppo di giovani veneziani: la festa si concluse tragicamente con morti e feriti.

Si chiudeva un'epoca che oggi è solo un'ombra sbiadita che cerca però riconoscimento e nuovi interpreti come sostenne con geniali intuizioni Goffredo Parise in "Veneto Barbaro". Oggi è necessario ridare spazio al potere del femminile amorevole, creativo, potentemente legato ai ritmi e alle forze della terra, del ventre, dei genitali che la chiesa cattolica ha deliberatamente demonizzato per esaltare il potere, il pensiero, il predominio del maschio, la condanna della sessualità.

lunedì 9 agosto 2010

Storia di un uomo e di un sacco galleggiante

L'uomo camminava spedito : aveva tardato parlando con un amico e ora gli premeva ritornare in Giudecca a concludere il lavoro e tornarsene a casa, in terraferma. A pochi metri dall'imbarcadero delle Zattere vide un sacco d'immondizia galleggiare sull'acqua. Un gabbiano navigava accanto cercando di squarciarlo con becco. L'uomo si fermò, pensoso. Il sacco distava almeno 4 metri dalla riva. Desiderava raccoglierlo e liberare l'acqua da questo macabro regalo. Chiese sommessamente scusa al gabbiano per avergli insegnato a vivere di rifiuti, a frugare nelle discariche e a correre dietro ai ritmi umani. L'uccello, non gradendo questo osservatore statuario prese il volo.

Che fare? Stare o andare? E se io chiedessi aiuto agli esseri di natura? Acqua, aria aiutatemi! Spingete il sacco verso riva che io possa prenderlo e buttarlo via. Il tempo passa, l'uomo tituba. Gli sembra che il sacco avanzi lievemente tra un'onda e l'altra, ma potrebbe essere illusione... oppure potrebbe volerci molto molto tempo e il lavoro chiama. No, pensò l'uomo ad un tratto risoluto, concediamo tempo agli esseri che ho invocato perchè manifestino il loro intervento. Ascolterò il cuore, mi fermerò qui per tutto il tempo necessario. Si inginocchiò e fissò il sacco, desiderando fortemente poterlo agguantare. Un minuto. Due minuti. Si avvicina in modo inequivocabile alla riva adesso. Il tempo passa interminabile, ma non più inquieto. Quanto, non si sa. Ma quel sacco arrivò a portata dell'uomo, che lo afferrò, svuotò la preziosa acqua penetrata all'interno e poi lo restitu+ì alla comunutà umana.

Questa è una storia vera. Quell'uomo ero io la scorsa settimana a Venezia. E' proprio vero che il cuore purificato e acceso di desiderio attira ciò che brama. Potessi sempre concedermi di ascoltarlo il mio cuore-maestro, non conoscerei indecisione, rabbia, paura. Come dice un saggio detto: il viaggio più lungo che possa intraprendere un uomo è quello dalla sua testa al suo cuore. Ma che gioia, che realizzazione! Buon viaggio a tutti, io parto per il centro del mio cuore, il sacro cuore!

domenica 8 agosto 2010

Donare acqua alla Piave


Martedì scorso ci siamo trovati con Cristian e altri amici e amiche in riva alla Piave a Fagarè della Battaglia. L'acqua era così bassa che si poteva guadare il fiume senza problemi, arrivava appena sopra al ginocchio. L'acqua era calda. Invitante per farci il bagno ma assolutamente innaturale. Il calore e la scarsità d'acqua hanno avviato processi di eutrofizzazione (wiki: eccessivo accrescimento degli organismi vegetali acquatici che si ha per effetto della presenza nell'ecosistema acquatico di dosi troppo elevate di sostanze nutritive come azoto, fosforo o zolfo) e il fiume si è rinverdito di alghe. L'acqua ci sarebbe ma gli invasi a monte la deviano in diversi canali di irrigazione e ne centellinano pochi metri cubi al fiume. Il fiume muore, l'acqua si ritira nel letto sotterraneo, aumenta la subsidenza (wiki: lento e progressivo abbassamento verticale del fondo di un bacino marino o di un'area continentale).

E noi cosa possiamo fare? Stare a guardare fa male, sento i polmoni che mi fanno male, la tristezza mi prende la gola e altre acque, salmastre stavolta, bussano agli occhi. Passiamo la sera in un pub a parlare delle bellezze che l'ecosistema attorno al fiume ci offre. Ci voglio anni per visitare ogni angolo di paradiso che offre. E' un parco naturale stupendo... perchè non riconoscerlo come tale??? L'indomani al lavoro, poi il giorno dopo ancora. Venerdì vado dal mio maestro di canto e, prima della lezione, vado a provare il mio primo pezzo accanto al fiume: l'Amore è una cosa meravigliosa. E lo è davvero, ci avvolge in forma di aria, acqua, calore, madre terra... mi scoppia il cuore di tenerezza! ma la rabbia è in agguato, sterile e fiammante: devo agire! devo creare! Quella notte lancio su facebook un evento "Dare acqua alla Piave" invitando tutti gli amici in zona a portare simbolicamente un po' d'acqua al fiume, o in alternativa a risparmaire acqua domenica ventura. Di un centinaio di invitati 8 aderiscono, 2 "forse". Cosa vuol dire forse? Misteri della natura umana...

Domenica a mezzogiorno mi preparo per questo gesto simbolico al centro del ponte di S.Donà. Al mattino passando Casale mi sono fermato a chiedere al Sile, fiume di risorgiva figlio anche delle acque che la Piave fa filtrare per vie sotterranee nella pianura, di donarmi la sua acqua più pura per sua madre. Riempio una bottiglia di vetro da mezzo litro. Non è certo la quantità che conta ora. Stiamo lavorando su piani sottili, simbolici ed emotivi ma non meno importanti e capaci di portare frutti anche sul piano materiale. Volevo anche donare alcune gocce di fiori di Bach. Ho scelto di miscelare l'Impatiens, il fiore che insegna la pazienza. L'arte di attendere, di godere, di essere presenti in ogni istante senza accelerare o farsi prendere da una rabbiosa bulimia d'esperienze. Verso l'acqua del Sile e il mio regalo mentre suonano le campane di mezzogiorno di San Donato. Ho scelto di guardare il fiume che mi viene incontro in modo da poterlo percepire meglio, incontrarlo e accoglierlo con un amorevole sguardo. Ogni volta che faccio "terapia" sui regni di natura sento che sto facendo ben più terapia su di me. D'altronde è proprio vero che dando si riceve (e che perdonando si è perdonati, come recita la preghiera semplice di un anonimo francese).

Nel pomeriggio vado a S.Andrea di Barbarana. Cerco una porzione di fiume che possa essere mia: solo io e lei, la madre Piave. Passeggio nell'acqua fresca, non ho più voglia di fare il bagno. Porto i miei problemi, i miei dubbi sul nuovo periodo che sto cominciando, sui necessari cambiamenti... mi vengono suggerite risposte ma soprattutto quiete, lento fluire, pazienza: chiedi e ti verrà dato. Aspetto che la corrente del fiume mi porti qualcosa, che la vita mi porti le sue possibilità... vedo qualcosa che galleggia discendendo. Lo aspetto trepidante... una ciabatta rotta, nera e rossa con scritto Freend. Cosa vuol dirmi il fiume? E' un gioco di parole Friend (amico) ma anche free end (fine libera), cioè? Forse un finale anocra da scrivere o Liberazione Finale? Illuminazione!

Prendo la posizione del mezzo loto seduto sui sassi in un piccolo flusso d'acqua ai margini del corso principale. Guardo l'acqua venire verso di me, prendere la mia forma e fluire via. Desidero diventare come un ciotolo della Piave. Medito per alcuni minuti. Poi inizio a costruire due mezzi cerchi di pietre attorno a me, come le chele dello scorpione si allungano davanti a me ad afferrare la corrente che rallenta lievemente nello specchio d'acqua davanti a me per poi fluire via. Lascio uno spazio aperto dietro la mia schiena, là dove si troverebbe la coda del mio scorpione lascio che l'acqua lavi via il veleno e il desiderio di possesso. Sono felice, un'insolita allegria canterebbe Gaber. Sempre meno insolita per me da quando mi concedo momenti di comunione in natura. Quando sento di aver preso abbastanza ringrazio tutti gli esseri di natura attorno a me e mi alzo. Trasformo i due semicerchi in un cuore di pietre a pelo d'acqua. Guardo con amore questa madre amorevole e riprendo il cammino. Non sono solo. Lei è entrate dentro di me.