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domenica 16 settembre 2012

Recupero del parco della Navicella a Brondolo

Da un paio di mesi un gruppo di volontari, gli Amici del Parco, ha iniziato il faticoso lavoro di pulizia e nuova destinazione del parco della Navicella in località Brondolo (Chioggia, VE). L'area è proprietà della Veritas (ma costruito quando esisteva ancora la ASP comunale) ed è stato realizzato nel 2005 per mitigare l'impatto visivo delle nuove cisterne dell'acquedotto cittadino. L'associazione ha convinto il Comune (azionista della Veritas) a concedere l'uso del parco ai suoi soci per realizzare un'area di svago per cani. La nuova destinazione quindi prevederà l'accesso riservato ai soci, recinti per far correre i cani liberamente e spazi aggregativi per i soci e i loro familiari.
Il parco si sviluppa attorno alle grandi cisterne. La principale è una vasca circolare da 24.000 metri cubi, profonda 5,5 metri e dal diametro di 80 metri. Per ridurre l'impatto visivo dell'opera in cemento armato è stata poi ricoperta di terra per uno spessore di circa 80 cm dove sono state piantumati alberi e arbusti, tracciati vialetti, installata l'irrigazione per il prato, panchine, giochi. Dopo qualche anno il parco è stato abbandonato. Non conosco le ragioni ma credo siano collegate allo scarso utilizzo (l'ingresso è lontano dalla strada, in fondo al parcheggio di rimessa degli autobus) e ai costi di gestione che il Comune ha deciso di non poter più sostenere. L'area è stata poi oggetto di molti atti di vandalismo che hanno devastato i bagni e gran parte dei giochi.
Facciamo ora una veloce visita al parco: ci troviamo di fronte ad una bassa collina artificiale, la cui sommità è spianata. Dall'ingresso si accede ad una piazzetta piantumata con lecci, da qui parte un vialetto piastrellato che sale alla sommità curvando a sinistra. Improvvisamente termina la pavimentazione e inizia un vialetto di ghiaia che parte ad angolo quasi retto verso sinistra. Al centro della spianata una vasca, ora vuota attorno a cui idealmente sarebbe dovuto ruotare il parco. Molti alberi e cespugli sono morti o sofferenti. Il ridotto spessore di terra rende quest'area, la più vasta del parco, un vero e proprio spazio verde pensile, come se fosse su un tetto di un edificio e quindi richiede specifiche logiche di impianto e di manutenzione. Tra i giochi installati spicca il gruppo che forma una ideale nave con prua, castello centrale e poppa. Volendo discendere verso l'ingresso compiendo un giro completo bisogna scendere un comodo pendio alberato dove si trova uno degli alberi più belli del parco, un giovane pioppo bianco. Una lunga e stretta area giochi si sviluppa all'ombra di alcune geditsie spinose. Qui mancano i sentieri.
Ecco il disegno del progetto del parco che mostra la divisione funzionale tra area a parco e area di esclusiva dell'acquedotto dove sorge un piccolo edificio di servizio e la grande torre cisterna per mettere dare pressione alle condutture. Spicca il disegno spezzato dei vialetti e la forma anch'essa spezzata della vasca centrale che risulta l'unico elemento di rilievo previsto dal progettista. La scelta di essenze e l'integrazione delle aree periferiche alla collinetta non è assolutamente considerata. Personalmente e professionalmente, come giardiniere e mediatore elementare, trovo che qui siano stati commessi parecchi errori progettuali e non siano stati considerati abbastanza le specificità del luogo e le difficoltà oggettive del verde pensile.
Mentre collaboro al lavoro generoso dei volontari Amici del Parco considero tutte queste cose e cerco ora di offrire alcune visioni d'insieme di come potrebbe svilupparsi questo luogo in modo più armonioso. Il mio approccio include la geomanzia, ovvero l'arte di interpretare le energie della terra e di integrare gli interventi umani nel paesaggio, e un approccio operativo che considera la presenza vegetale come primaria e non come accessoria. Ovvero il parco è tale se è rigoglioso di sane e forti piante. Agli amici volontari raccomando di avere le idee chiare sulla nuova destinazione del parco e di programmare poi gli interventi secondo una chiara gerarchia di intenti per non disperdere energie, esperienza di cui la storia del parco porta già il segno.
Dal punto di vista geomantico è importante sottolineare che questo luogo è fortemente collegato con l'acqua (con le polarità abbondanza / mancanza). Questa siccitosa estate ha trasformato lo scenario inselvatichito in uno spazio brullo e polveroso. Con il ripristino dell'irrigazione e il ritorno delle dolci piogge è rinverdito a vista d'occhio, fatta eccezione per gli arbusti gravemente danneggiati. Inoltre il parco nasce come opera di recupero ambientale per ridurre l'impatto delle vasche dell'acquedotto comunale. Quindi è un luogo chiave della città: l'acqua è la fonte della vita, sotto questo parco passa la vena d'acqua potabile di tutto l'abitato. Al centro c'è questa vasca dalle forme irregolari e disarmoniche che sembra risucchiare (tutti i percorsi convergono lì) invece di nutrire.
Il nome del parco richiama per altri versi l'acqua: parco della Navicella, facendo riferimento al miracolo cinquecentesco dell'apparizione miracolosa della Madonna con il corpo di Gesù (nell'immagine la rilettura a fumetti del prodigio di Rosario Santamaria). Dunque un forte collegamento con la devozione e al rapporto sacro con il mare (il nome stesso Maria è collegato a mare), acqua primigenia. Dall'altro però compare anche una “navicella” (spaziale?) che ben si accorda con il galeone che i volontari stanno riattando. Il terreno del parco è di impasto sabbioso, anche qui richiama la formazione del litorale. Quindi le essenze che ben si ambienterebbero qui sono quelle tipiche dei litorali locali o mediterranei più ventilati in generale e, da un punto di vista tematico, quelli che possano evocare il rapporto con l'acqua. Ci vorrebbe almeno un bel salice, piangente magari.
I percorsi sono da rivedere profondamente: smussare le curve ad angolo che sono innaturali, adattare viabilità ai nuovi recinti e destinazioni e togliere centralità alla vasca, favorendo una fruizione più libera e completa. Per questo sarà necessario prevedere un collegamento con l'area delle gleditsie e, magari un domani, con la scarpata a est, più irta e selvatica. In questo modo già si romperebbe quel circuito obbligato che secondo me ha contribuito molto a scoraggiare la fruizione, inconsciamente. Offrire diverse vie d'uscita serve a rompere l'effetto spirale depressiva convergente sulla vasca. E' molto importante poi dare risalto e celebrare il nuovo “galeone” come simbolo della nuova gestione, della capacità di fare gruppo (un buon equipaggio) per salpare verso una nuova avventura. Nella vasca sarebbe bello ci fosse un'immagine marina, potrebbe essere una sirena magari o un'altra immagine giocosa e solare. Sconsiglio di usare l'immagine cupa della Madonna della Navicella, che potrebbe sembrare una scelta suggerita dal nome e dal luogo.
Se vuoi qualche altra informazione sulla geomanzia clicca qui

giovedì 13 settembre 2012

Non omnes arbusta iuvant humilesque Myricae

La famosa citazione virgiliana "Non omnes arbusta iuvant humilesque Myricae" venne riportata da Giovanni Pascoli come fonte di ispirazione del titolo della sua raccolta di poesie "semplici" e d'ambito campestre. La Tamerice (in latino Myricae), di questa bella essenza si tratta infatti, era indicata come albero umile e senza pretese. Forse la conoscete col nome di Cipressina, Tamarisco o Scopa marina. Di certo l'avrete incontrata se avete frequentato i litorali italiani perchè è un albero che sa sfidare i venti e la salsedine per incorniciare il mare e le lagune con le sue fronde. La pianta umile per eccellenza divenne un "luogo" della poesia italiana.

Anche Gabriele d'Annunzio la cita nella famosa "Pioggia nel pineto" di cui riporto l'attacco, sempre musicale e panico:

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,(...)

Questa poesia venne scritta sul litorale toscano e dipinge, come se fosse un quadro che ritrae un concerto, alcune essenze arbustive e arboree della macchia mediterranea. D'Annunzio, abruzzese d'origine, visse poi a Roma e fu campione delle essenze mediterranee nel suo Vittoriale sul Lago di Garda. Curiosamente Virgilio sembra compiere il percorso inverso: nato a Mantova, scende a Roma, poi in Puglia e muore a Napoli. Le tamerici vengono pennellate come "salmastre ed arse" e scelse bene Gabriele: riescono infatti a colonizzare, prime tra le specie arbustive, le aree salmastre e sopportano bene la siccità.

A seconda delle condizioni la tamerice può presentarsi come arbusto o piccolo albero, con il tronco eretto o, nelle zone ventose (come i litorali), incurvato. La corteccia ha un colore cinerino e invecchiando presenta profonde incisioni; la corteccia giovane ha un tono di violetto. La chioma, di forma irregolare, è di un bel colore verde glauco, ovvero quel tono tra il verde e l'azzurro che spesso assumono le essenze delle regioni assolate. Wikipedia (Io la benedico) recita: "i germogli sono di colore bruno-violaceo, con foglioline squamose ad apice acuto, ovato-lanceolate, ricoprenti quasi totalmente i rami." A primavera la laguna di Venezia è incorniciata da quel violetto.

Le tamerici diventano ben più visibili quando fioriscono, credo le avrete notate: i fiori, piccolissimi e numerosi, di colore biancastro o rosa, sono riuniti in spighe terminali, con fioritura nei mesi da maggio a luglio; i singoli fiori sono costituiti da una corolla di 5 petali giallini o rosati, con 5 stami sporgenti e un pistillo. La tamerice comune è la Tamarix gallica è la specie più diffusa in Italia come pianta ornamentale, ma vengono anche coltivate la Tamarix ramosissima e la parviflora.

La Tamerice intrattiene un rapporto intensissimo col vento, viene usata come siepe per ammorbidirlo e per filtrare un po' la sabbia e il salmastro che viene dal mare. E' proprio il compito che si è presa quando col suo lavoro consolida i terreni e li prepara per altre essenze: come il pino ad esempio. E' molto flessibile e sa piegarsi e scuotersi per dissipare i venti impetuosi. Quanti insegnamenti ha da offrire a chi la contempla in silenzio. Dedicatele qualche istante nelle vostre passeggiate.

venerdì 7 settembre 2012

Losing my religion

Quando ero cattolico, animatore nella parrocchia e convinto che la gentilezza e le buone maniere fossero molto importanti nella vita non mi facevo domande, non indagavo a fondo le Scritture e aderivo ai riti perchè aderivo ad un gruppo sociale. Quando mi sono staccato e ho cominciato l'università i legami si sono allentati e gli studi mi hanno portato a confrontarmi con la storicità della Chiesa cattolica come continuatrice della tradizione statuale romana, ovvero come vero e proprio centro di potere temporale organizzato disposta a usare la fede in Dio e nei santi, di cui pretende il santo monopolio, come strumento egemonico. Ne sono esempi il culto della croce, l'adesione a religione ufficiale del tardo impero con la persecuzione dei culti pagani ecc. ecc.

Sono stato per anni agnostico e, preso da un confuso anarchismo, ero critico verso ogni struttura centralizzata. Ma quando mi sono riavvicinato, finalmente adulto, a 27 anni ormai, a confrontarmi con la religione ho riscoperto il vangelo, o meglio i 4 vangeli canonici della chiesa cattolica. Ho cominciato a lavorare sui testi, confrontarmi, approfondire, leggere i commenti di teologi e mistici, a togliere la polvere del moralismo e della favoletta che molte omelie avevano gettato su parole di grande sapienza. L'apertura a esperienze meditative e a testi spirituali di altre tradizioni (incredibilmente attuale la bhagavad gita indiana), l'incontro con Rudolf Steiner e altri liberi ricercatori hanno contribuito a aprire mente, lo spirito e il cuore ad una indagine più profonda, più interiore di quello che resta per me un capisaldo. Mi dispiace per tutti coloro che praticano il cattolicesimo e non si educano ad andare alla fonte evangelica, dove le forme si dissolvono e la Ricerca comincia.

Ora che ho sperimentato molte cose, l'estasi del divino in me, la trance, i viaggi astrali torno con altra consapevolezza alle testimonianze evangeliche: capisco meglio che quegli uomini (e quelle donne, presentissime ma di cui si tace volutamente nel cattolicesimo) vivano questo tipo di ricerca e percezione di realtà sovrasensibili. Mi confronto con persone che onorano antiche divinità, che desiderano il ritorno di questo o quel culto. Io resto perplesso perchè da ricercatore ho sperimentato che non è più tempo di cercare fuori di noi ciò che, come un seme, è dentro di noi. Riporto un passo di Paolo (Saulo), dalla prima lettera ai Corinzi:

"In realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo che sulla terra – e difatti ci sono molti dèi e molti signori –, per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui."

Dice proprio "molti dèi e molti signori", ovvero presenze non umane che hanno potere su determinati ambiti (i signori) e hanno potere di creare realtà (dèi). Io ho sperimentato in diverse forme alcune presenze che posso chiamare "signori" di certi luoghi di natura ad esempio. Allo stesso modo ho incontrato a livello archetipico alcune "divinità". E dopo gli apostoli capico meglio anche certi ricercatori, definiti poi santi, che parlavano coi pesci o altri animali (s.Antonio, S.Francesco e altri), avevano visioni e premonizioni, toccavano al gente e quella guariva. Ora si tratta di fare un salto di coscienza secondo me: l'umanità è pronta per confrontarsi con esseri molto differenti e forse molto più evoluti di noi, ma pur sempre fallibili e in evoluzione su diverse vibrazioni?

Come il ragazzo che raggiunge la maggiore età, l'umanità ora deve prendersi le sue responsabilità e reclamare anche i suoi diritti da qualche patrigno "divino" che forse non fa più i nostri interessi evolutivi. San Paolo parla di un Padre unico e di Gesù Cristo. Della cristicità ho già scritto (post: avanti col Cristo), di come ho compreso che sia uno stato di coscienza che per primo Gesù di Nazareth raggiunse divenendo lo Spirito Guida dell'evoluzione terrestre. Il Padre sembra essere un principio cosmico, un seme di coscienza che si espande continuamente e porta "luce" chiamando tutte le forme a innalzare la oro vibrazione fino a ricongiungersi su un piano di parità divina nell'Uno.