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lunedì 29 maggio 2023

1914: l'Italia al bivio tra pace e guerra. Cosa possiamo imparare oggi da quei fatti?

Quando l'Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia, col sostegno della Germania, il governo italiano dichiarò la sua neutralità, sostenendo a ragione che la Triplice Alleanza era squisitamente difensiva e quindi non impegnava il nostro paese in caso di aggressione verso paesi terzi. Notate la somiglianza col caso odierno dell'Ucraina aggredita dalla Russia, dopo 8 anni di guerra civile e dopo la secessione della Crimea che si è unita alla Federazione Russa già nel 2014. Essendo esclusa dalla Nato, al contrario delle repubbliche baltiche ex sovietiche, l'Italia non ha obblighi nel difenderla ma la volontà americana di piegare l'avversario russo ci sta spingendo in una continua escalation: schieriamo truppe nelle vicinanze, forniamo armi e munizioni a spese dei contribuenti italiani (violando la costituzione e svariate leggi), forniamo "istruttori" per queste armi e ora finanzieremo anche la ricostruzione del paese. Nel 1915 il governo italiano, col sostegno del re e di molti settori militari e nazionalisti, firmò un accordo segreto, il Patto di Londra, che la impegnava ad entrare in guerra a fianco dell'Intesa anche se il parlamento era in maggioranza orientato per il mantenimento della neutralità (ovvero della pace). Cerchiamo di capire quali forze agirono in quei mesi il nostro Paese nell'"inutile strage" come la definì il Papa Benedetto XV il 1° gennaio 1917.

I neutralisti erano una larga maggioranza della popolazione e comprendevano molte organizzazioni e parlamentari che era di fatto la maggioranza, questo non impedì al re Vittorio Emanuele III e al governo Salandra di intavolare trattative con Francia e Gran Bretagna. Ricordiamo inoltre che la lotta delle classi popolari per partecipare alla vita politica ed ai diritti aveva appena fatto approvare la nuova legge elettorale col suffragio universale, tutti i maschi adulti potevano votare. Si affacciava anche in Italia la "società di massa", dove anche i contadini analfabeti diventavano soggetti politici. Per i politici liberali era una situazione nuova di difficile, per questo si affermarono sempre più partiti di tipo moderno, organizzati per mobilitare migliaia di persone: i socialisti e i cattolici popolari. I liberali, capeggiati dal famoso Giovanni Giolitti, ritenenevano che la guerra sarebbe stata lunga, che l’Italia non era pronta dopo la guerra di Libia(1912). Gli affaristi sostenevano che non entrando in guerra le industrie nazionali avrebbero potuto rifornire entrambi gli schieramenti traendone profitti maggiori. Infine si sosteneva che, in cambio della neutralità italiana, l’Austria avrebbe concesso all’Italia le famose terre irredente: Trento e Trieste. I cattolici erano compatti attorno a papa Benedetto XV che affermava che i costi sarebbero gravati sui poveri e la guerra iniziata tra popoli cattolici era inaccettabile. Inoltre fece un appello per la pace incondizionata in tutto il mondo. I socialisti, seguaci di Turati, rimanevano in linea con i principi della Seconda Internazionale: le guerre erano volute dai padroni borghesi e portavano alla morte operai e contadini che oltre alla vita perdevano la forza di lottare per i propri diritti.

Il campo dei fautori della guerra all'Austria era numericamente inferiore nel 1914 ma seppe coinvolgere numerose personalità di spicco capaci di spaccare la compattezza dei neutralisti dall'interno. Si erano subito schierato per l'intervento sua "altezza" (era alto 1,53 cm e più che un monarca, citando Paolini, era mezzo re, un mona insomma) re Vittorio Elamuele III che riteneva che un’eventuale vittoria avrebbe consolidato il suo potere. Quello stesso re nel 1922 avrebbe affidato il potere al nascente fascismo di Mussolini quando avrebbe potuto ancoras troncarlo. Grazie alle nonne e ai nonni italiani che votarono per la Repubblica nel 1946 e per l'esilio di siffatta dinastia. Salandra, con l’entrata in guerra, avrebbe potuto scavalcare il parlamento dando maggiori poteri all’esecutivo e sopprimendo le scomode libertà civili dei ceti subalterni. I Nazionalisti ritenevano che era importante intervenire perché in ogni caso l’Italia ci avrebbe guadagnato. Tra di loro aveva militato il famoso Gabriele D’Annunzio, fuggito in Francia per sfuggire ai debiti, che tornerà in Italia per animare una serrata propaganda prezzolata da una cordata di industriali e finanzieri francesi e italiani. Gli scrittori e artisti futuristi di Marinetti, molto legati a Parigi (qui Marinetti pubblicò ad ese. il noto manifesto dei futuristi), si schierano a favore della guerra per "rinnovare" con la guerra, la macchina e la velocità la società italiana. Vari gruppi di industriali che dalla guerra avrebbero tratto vantaggi economici, procurando armi, armature e altre cose utili agli approvvigionamenti si convinsero a finanziare la propaganda interventista. Questi interessi economici sono stati ben studiati ma poco presenti nella didattica e nella divulgazione.

Il caso più noto di corruzione e impiego di ingenti risorse economiche a favore della propaganda interventista fu quello del socialista Benito Mussolini, direttore del giornale di partito L'Avanti, e in poche settimana fondò un novo giornale: Il Popolo d'Italia, finanziato in gran parte da capitali francesi. Dalle sue colonne ebbe buon gioco a rompere l'unità dei socialisti, da cui proveniva, contro la guerra e farli sempre più apparire come nemici dell'Italia. Questo è un passaggio chiave: la propaganda riuscì a etichettare tutti i neutralisti come "nemici interni", togliendo autorevolezza e cercando in ogni modo di dimostrare che aspiravano a raggiungere il potere sacrificando il vero bene italiano, identificato con la lotta degli irredentisti triestini e trentini (come il famoso Cesare Battisti). Inoltre si moltiplicò la presenza di "interventisti democratici" come Salvemini che sostenevano necessaria la guerra contro imperi antidemocratici. Al loro richiamo accorse ad esempio il poeta Giuseppe Ungaretti. Infine alcuni sindacalisti come Leonida Bissolati sostenevano l'intervento per poter armare gli operai ed organizzare una rivoluzione contro la classe dirigente borghese.

Il più formidabile ostacolo alla dichiarazione di guerra era la leadership del liberale Giolitti, esperto in manovre parlamentare e accreditato presso tutti i partiti come uomo capace di mediare e costruire accordi solidi. Egli era stato uno dei protagonisti del superamento della crisi del 1898-1900 in cui manifestazioni erano state represse nel sangue, in cui lo stesso re Umberto I eran stato assassinato dall'anarchico Bresci. Giolitti non era un pacifista ma sosteneva che la guerra sarebbe stata lunga e che il paese non era in grado di affrontarla. Egli fu oggetto di una campagna dengratoria e di vere e proprie minacce di gruppi nazionalisti tanto che la sua casa di Roma venne presidiata dall'esercito. Giolitti si rese conto col passare dei mesi che il re era schierato a favore dell'intervento e che gli spazi di manovra per tenere l'Italia fuori dal conflitto si riducevano. Dopo la firma del patto segreto di Londra la situazione venne fatta precipitare in fretta con il governo Salandra che rimise il mandato al re, vista l'ostitlità del parlamento alla ratifica. Per tutta risposta il re gli confermò l'incarico, le piazze furono occupate anche con la violenza dai gruppi interventisti ben finanziati e organizzati, tra cui spiccò l'incendiario e prezzolato Gabriele D'Annunzio e Giovanni Papini. Intimoriti o apertamente minacciati quasi tutti i pralamentari si disposero a seguire la volotà regia e votarono a maggioranza per la dichiarazione di guerra.

Un folto gruppo di deputati socialisti si astenne dal voto col motto "nè aderire, nè sabotare", di fatto dimostrando la debolezza della sinistra italiana dell'epoca che avallò nei fatti l'inizio del conflitto. Quando il dibattito si polarizza e si semplifica in pro e contro qualcosa tutti quelli che voglio trovare una posizione di mezzo vengono travolti da chi ottiene la maggioranza. Speriamo che oggi questa terribile esperienza sappia motivare a prendere consapevolemnte posizione valutando davvero le conseguenze di un conflitto atomico in Europa e all'insostenibile politica americana di distruggere la Russia ad ogni costo. Solo acogliendo invece questo paese, come abbiamo fatto con gli altri paesi ex sovietici, a pieno nelle trattative e nella cultura europea possiamo costruire un'Europa di pace: per disarmare la Russia dobbiamo riconoscerne gli interessi e poi, con fermezza, costruire un serrato dialogo da Europei con Europei, distanziandoci dagli interessi statunitensi che sono disposti a sacrificare l'Ucraina e gli altri paesi europei nella loro rincorsa per rimanere potenza egemone mondiale.