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domenica 28 luglio 2013

Trekking attorno alla laguna sud

Alle 6.43 parto da porta Garibaldi. Parto solo, ancora una volta. Il trekking di oggi non è impegnativo, una ventina di chilometri ma il caldo scoraggia gli animi. Lo rifaremo a settembre, speriamo in molti domenica 22 settembre. Come sempre, allenato da filosofie e senso pratico, vedo il lato positivo: potrò tenere il mio passo, modificare man mano l'itinerario, seguire l'istinto senza contrattare con altri.
Scendendo a Borgo S.Giovanni saluto la statua del Fauno tra gli undici pini della stazione ferroviaria.
Saluto il vecchio platano, sopravvissuto a molte traversie e reduce del vecchio viale alberato. Con la sue tenaci cicatrici mi sembra un veterano, forse della campagna di Russia, che ora racconta ai posteri la sua travagliata storia.
Sul cavalcavia della statale Romea ammiro quanto verde ci sia ai margini, nei ritagli abbandonati tra il porto e il quartiere di S.Giovanni.
Poi decido, a cuor, leggero, di cambiare itinerario. Non affronterò il ponte transalugnare col fresco (relativo) del mattino ma prenderò per la chiesa vecchia di S.Michele su stradelle sterrate sconosciute.
La mia scelta è subito ricompensata da un bell'incontro con due coppie di Cavaliere d'Italia che mi onorano anche di fare un pezzo di strada con me, tra qualche orto, campi abbandonati, rottami e canali paludosi. (utile link alla guida all'identificazione ).
Procedo senza fretta: il viaggiatore non ha meta se non nell'andare stesso! Mi godo particolare e scatto foto come in una caccia fotografica.
D'un tratto un cancello aperto tra i prati alti mi seduce: troppo invitante per resistere mi avventuro nell'ignoto tra graminacee altre fino alle spalle.
Sbuco in un orto e una baracca, sospesi nel tempo. Non credo siano molto diversi dal primo rifugio costruito da Adamo ed Eva alla scoperta del loro nuovo mondo di conoscenza del bene e del male.
Proseguo tra roveti, quasi maturi, e campi con molte essenze fiorite in cui mi riprometto di tornare per rimpinguare le scorte per le tisane dell'inverno.
La strada sterrata a tratti è tutta inerbata, piacevolmente sinuosa e rialzata rispetto ai terreni ai lati.
Nascosto tra canneti e roveti scovo anche uno dei cantieri del consorzio Venezia Nuova per la presunta salvaguardia della laguna. Intorno rottami e discariche abusive nel verde.
Arrivo ai canali che dal Lusenzo e dalla laguna portano alla vecchia chiusa di Brondolo e devo fare dietro front in cerca di un passaggio.
Tra i pietroni uno splendido limonio in fiore. COmincia ora la stagione della sua lunga fioritura, ingrediente prezioso del miele di barena.
Accaldatissimo raggiungo la chiesa di S.Michele e la chiusa in disuso. Mi concedo nella vetusta ombra una bella pausa.
Rendo omaggio a S.Michele, patrono dell'associazione Amico Giardiniere, e anche al drago che ha domato, avvolgendo la bandiera associativa attorno alla robinia accanto al portale.
Ammiro al Brenta e le sue darsene tirate a lucido che fanno rivivere la memoria dell'antico porto di Brondolo, luogo di scambio tra mare e terra, e tra terra e fiumi, sin dall'epopea etrusca nell'Adriatico (l'antica Adria dista da qui una trentina di chilometri).
La bella cupola avvenieristica del mercato ortofrutticolo si staglia, trascurata, ma ancora capace di futuro.
Superato Brondolo e la sua accogliente frescura percorro l'argine tra la Brenta e la laguna, uno sterrato rialzato che sarebbe molto comodo se fosse sfalciato. Dopo poche centinaia di metri ripiego sulla strada asfaltata lì accanto perchè tra rovi e radicchi selvatici il passo si fa faticoso.
In laguna stanno collocando pali e protezioni per una presunta ricostruzione delle barene scomparse. Guardo dubbioso l'ennesima opera ingegneristica che sembra una caricatura dell'originale e non affronta le cause della riduzione delle barene: primo fra tutti il moto ondoso di troppe barche a motore.
Faccio poi un'incursione in barena, quella vera, a godermi la fioritura del limonio e il suo particolare aroma, tra decomposizone, salso e vago profumo.
Come appurato già quest'inverno l'argine della laguna sud è un immondezzaio, in parte alimentato dalla risacca e in minore misura dalla strada. Il Magistrato alle acque cosa fa in proposito? Le grandi opere...
Mi allontano con sollievo dalla trafficata strada dell'argine seguendo la laguna tra campi, in gran parte abbandonati e qualche trabocco. Mi accorgo di aver chiesto troppo alla mia macchina fotografica che si scarica. Continuo il viaggio nelle ore più calde trovando però insperata frescura nelle cavane disseminate lungo l'argine.
Arrivo stanco ma soddisfatto al ponte traslagunare, così ampio che potrebbe accogliere senza grandi spese uana comoda ciclabile su di un lato. L'immondizia abbonda e forse sarebbe ora di vietare la sosta notturna dei camion e di fornire ogni piazzola di almeno di cassonetto. A percorrerlo senza fretta, nonostante il traffico, riesco a momenti a godermi il privilegio di osservare come da un balcone la vita della laguna. Dopo 8 ore di cammino quieto e divagazioni arrivo nuovamente a Chioggia.

martedì 23 luglio 2013

La Rovra del Po

“Ciao mamma! Vado a pescare sull'argine!”
gridò Lucio sfrecciando per la cucina. Sua madre fece appena in tempo chiedere se aveva fatto colazione che la porta si richiuse sonoramente. La giornata splendeva dopo un acquazzone notturno. La scuola era finita e Lucio non vedeva l'ora di riprendere la sua vera vita: vagare per campi, canali e argini.
Mentre sua madre protestava lui aveva già inforcato la bici blu e si era lanciato a precipizio per la strada. Cavalcava la sua mountain bike divorando la strada e godendosi l'aria tra i capelli castani. In spalla aveva la canna da pesca e uno zainetto con l'indispensabile: coltello, esche, ami, biscotti al cioccolato e acqua.
Da settimane sua madre gli aveva proibito di andarsene lontano da casa per rinchiuderlo a studiare. Quando suo padre era via, perchè lavorava sulle piattaforme in alto mare, lei cercava sempre di tenerlo a casa, a studiare, giocare o guardare la televisione. Ma ora Lucio non voleva più saperne.

Senza rallentare tagliò per il viale alberato che portava all'argine, zigzagando le pozzanghere sullo sterrato. Lucio cantava a squarciagola “Si sta bene quiii, seduti in riva al fossooo...” del suo idolo Ligabue, che ascoltava sempre con Italo. Scalò la salita dell'argine alzandosi sui pedali.
Superata la vecchia idrovora la strada svoltava bruscamente assecondando l'ansa del Po di Goro. Posò lo sguardo sulla golena e poi verso i campi. C'era qualcosa di strano, come se mancasse qualcosa... come se il cielo fosse troppo schiacciato sull'oro del grano e sul verde del mais. Rallentò, inquieto. Poi si accorse:
“Oddio è caduta la Rovra!”.

La vecchia quercia era come una persona di famiglia, da sempre suo padre lo portava qui, specie quando stava male. Lo faceva sedere appoggiato al tronco a chiacchierare. E il giorno dopo la febbre era passata, il mal di denti sparito. Era un posto sacro ma familiare e accogliente.
Lucio si fermò incredulo: i rami più alti lambivano la strada. Un'altra bicicletta rugginosa era ferma lì. Scese l'argine sfiorando di tanto in tanto i rami spezzati. Tra le radici divelte il vecchio Agostino, detto Tino, stava girovagando con lo sguardo fisso a terra.
“Tino! Cos'è successo?”
“Stanotte la Rovra ha ceduto di schianto”
“Ma era tanto forte e massiccia!”
“Da quando hanno alzato l'argine, coprendo le radici, è andata peggiorando ogni anno” “Cosa possiamo fare?”
“La quercia è morta, viva la quercia”.
“Come parli Toni? Cosa vuol dire?”
“Da due anni cerco di far germogliare le sue ghiande per piantare le sue figlie qua attorno ma finora son tutte marcite. Ne stavo cercando altre per provarci ancora”. “Ma ci metteranno tantissimi anni a crescere!”
“Lo so, la Rovra aveva conquecento anni, ma se riesco a piantare qualche ghianda oggi... forse i nipoti dei tuoi nipoti potranno avere un'altra Rovra che li protegga...”
“I nipoti dei miei nipoti...ma noi non ci saremo allora...” balbettò Lucio.
“Caro Lucio, gli alberi si piantano sempre per i nipoti! Mi dispiace non averlo fatto prima. Quanto vorrei trovare delle belle ghiande.... ma quelle nuove non sono mature...”.

Lucio risalì pigramente tra le erbe alte e la sanguinella. Riprese a pedalare guardandosi dietro di tanto in tanto, per controllare che era davvero caduto quell'albero antico.
Arrivato al sentiero che portava al suo rifugio preferito, nascose la bici tra l'erba alta e scese pensoso. Chissà cosa avrebbe detto suo padre alla notizia, sarebbe rimasto male, anzi malissimo. Strano che non avesse mai pensato, come Agostino, di piantarne una. Per la sua nascita aveva piantato un pero.
Qualcuno era passato di recente, bastonando i rovi che cercavano di chiudere i varchi. Il fiume era quieto e l'aspettava come sempre. Preparò la canna da pesca svogliatamente, sistemò il telo impermeabile e preparò una forcella per reggere la canna. Poi si distese nell'erba, ammirando il salice bianco accanto a lui, con quel colore argento sulle foglie viste da sotto. L'odore del Po, dell'erba umida, del salice e del fango lo ristoravano.
Si scosse quando qualcuno scese dal sentiero menando fendenti per farsi largo. Lucio restò stupito riconoscendo Martina, la smilza biondina della classe accanto. Calata in alti stivali di gomma violetti, pantaloncini corti corti e una maglietta rosa. Aveva lo zainetto a tracolla con tanto di … canna da pesca!
“No! Viene proprio da questa parte, speriamo non mi veda” pensò Lucio affondando tra le erbe alte. “Ciao Lucio!”.
Di malavoglia Lucio si sedette ricambiando il saluto con un gesto.
“Sono venuta qui spesso... mi sistemo qua vicino, così magari chiacchieriamo un po' e mi insegni i tuoi trucchi da vecchio pescatore indigeno”.
“Vecchio pescacosa?”
Martina rise.
“Indigeno! Nel senso che sei cresciuto qui e conosci un sacco di trucchi. Io sono arrivata da un anno e ho appena cominciato a pescare. Mi piace avere una scusa per venire tra gli alberi argentati”.
“Sono salici bianchi”
“Ecco... lo vedi quante cose sai... indigeno!”
Martina lo incalzò di domande a cui Lucio rispondeva con fastidio. Quella ragazzina lo aveva sorpreso proprio nel SUO posto e non la smetteva di parlare! A un certo punto Martina si azzittì soddisfatta e si mise a preparare lentamente la sua canna da pesca. Poi lanciò e si sedette a godersi l'attesa e la piccola vita della golena. Di tanto in tanto guardava Lucio e sorrideva.
“Sembri un po' mogio stamattina, è andata così male la scuola?”.
“Mogio? E che vuol dire?”
“Triste, con la faccia triste”
“Mah... la Rovra...”
“Cosa?”
“La Rovra è crollata stanotte”
“Cos'è questa rovra?”
“La grande quercia sull'argine, andando verso la Romea. Era vecchia più vecchia del nonno di mio nonno e grande come il campanile di S.Basilio...” e le spiegò tutto quello che gli aveva detto Tino.

Martina restò pensosa poi disse decisa: “Dobbiamo andare ad aiutare quel vecchio signore e piantare querce per i nostri nipoti”.
“I nostri nipoti? Ma come parli anche tu Martina... sono cose da vecchi!”.
“Ma a te piaceva quell'albero giusto? E non vorresti che altri potessero trovarsene uno così? Vieni con me a cercare!”.
Lucio era indeciso. Martina cominciò a raccogliere le sue cose lanciandogli qualche occhiata coi suoi occhi quasi grigi e luminosi. Si decise a seguirla. Lei cominciò a canticchiare “Per fare un albero, ci vuole un seme...” e aveva una bella vocina, intonata e simpatica.
“Fa troppe domande, però sa anche stare zitta... e le piace pescare e anche esplorare... strana ragazza” pensava Lucio mentre riprendevano le biciclette. Arrivarono veloci alla Rovra, di Tino nessuna traccia. Il sole era alto e cominciava a fare caldo. Martina scese l'argine correndo per andare a toccare il massiccio tronco, più alto di lei. Lucio invece scese lentamente e rimase stupito quando la vide risalire ... camminando sul tronco caduto!
Lei lo salutò con la mano e continuò la sua esplorazione per poi tornare giù. “Come sei salita?”
“C'è uno spuntone proprio lì, se ci metti il piede e poi ti attacchi alle pieghe della corteccia riesci a tirarti su, se vuoi ti aiuto...”.
“Ce la faccio!”
Con qualche sforzo anche Lucio salì in groppa al gigante caduto.
“Wow, che meraviglia. E' enorme”.
“Forza andiamo a cercare le ghiande!” lo incitò Martina.
“Non ce ne sono! Non sono ancora maturate” le spiegò Lucio e poi cercò fino a trovare un rametto con le piccole ghiande verdi appena formate.
Martina non voleva darsi per vinta. “Andiamo a cercare qui attorno, forse uno scoiattolo se ne è rubata qualcuna...”
“Ah ah ah... mai visto scoiattoli qui! Guardi troppi cartoni animati!”
In quel momento una bella ghiandaia dai vivaci colori si posò su un ramo vicino e gracchiò il suo richiamo come a zittirli. Li osservò ben bene, gracchiò ancora e poi spiccò il volo planando poco lontano e gracchiando ancora.
“Ci sta chiamando!” esclamò Martina emozionata “Andiamo!”.
Spinse Lucio a scendere in fretta, superando alla svelta le sue paure dell'altezza e poi correndo dove l'uccello si era posato che se ne volò di nuovo sulla Rovra.
Guardando ben bene tra le erbe alte Lucio scoprì una giovane quercia, alta fino alla sua coscia.
“Eccola! Eccola!” esclamò festosa Martina e lo abbracciò forte tanto da farlo arrossire e poi si mise a ballare.

“Vedi che ci parlava quell'uccello! Come nelle fiabe, gli eroi riescono sempre a vincere ogni difficoltà se sono gentili e coraggiosi!”.
Contagiato dall'inesauribile nuova amica anche Lucio si aprì in una bella risata e poi si mise a ripulire la terra vicino alla piantina. Martina corse a prendere il suo bastone, un bel ramo di nocciolo diritto, lisciato e inciso col fuoco. Portò anche carta e penna.
“Piantiamo il mio bastone e lasciamo un messaggio per Agostino! Chissà come sarà felice”.
“Anche mio papà sarà felice!” pensò Lucio. Mentre piantava con un sasso il bel bastone, Martina scrisse: “La Rovra è morta, lunga vita alla Rovra!”.
Sorridendo soddisfatti ammirarono il loro capolavoro. Poi tornano alle biciclette e si salutarono, dandosi appuntamento per una nuova avventura insieme.

Francisco "Amico degli Alberi"

(racconto omaggio alla plurisecolare quercia di san Basilio di Ariano Polesine crollata un mese fa, mi sono preso impegno con alcuni amici di andare a meditare la almento 4 volte l'anno, se ti va ci andremo anche stasera 24 luglio 2013, h 18.30, fammi uno squillo al 328 7021253 se vuoi partecipare a questo o altri incontri)

venerdì 19 luglio 2013

Omaggio a Maria Maddalena

Il 22 luglio il calendario della chiesa cattolica festeggia Santa Maria Maddalena, una delle figure femminili più discusse e misconosciute del canone. Per secoli si è cercato di sminuirne il ruolo e la credibilità, sia in quanto donna che in quanto "donna molto amata da Gesù". Non riuscendo a distruggerne la memoria si è lavorato per deformare, disinformare, occultare. Da un lato si è cercato di identificarla con la prostituta salvata da Gesù per renderla l'icona della debolezza della donna davanti al "peccato". dall'altra è diventata quasi l'icona della sensualità femminile sbrigliata e potente. Ma quasi tutti trascurano di approfondire la sua figura in quanto anima anelante alla libertà, prescelta da Gesù non per la bellezza o la seduzione ma per la sapienza, la forza d'animo e la fedeltà al suo insegnamento.

Considerate bene il significato del fatto che fu lei la prima a vedere Gesù Cristo risorto, che seppe sostenere quella vista per poi portare testimonianza fedele agli altri apostoli. Gli ALTRI apostoli: con questo intendo che lei, come altre donne dimenticate e fuse tutte insieme nella figura della Vergine Maria Madre, era un'apostola. In diverse tradizioni questo aspetto è riconosciuto come nello gnosticismo. Da questa corrente del cristianesimo originario ci è giunto anche un bellissimo e, ahimè, frammentario vangelo firmato Maria Maddalena ( leggilo su http://www.vangeliapocrifi.it/vangelo-maria.php). Dunque apostola ed evangelista! Nel cristianesimo celtico è una figura chiave, una delle portatrici del messaggio di Gesù Cristo in Europa continentale con S.Giacomo e S.Lazzaro.

Si trascura spesso di ricordare che nell'ebraismo di duemila anni fa c'erano numerose figure sacerdotali femminili, con proprie gerarchie autonome e luoghi di istruzione. Molto c'è ancora da riscoprire sugli Esseni, ancora di più sulle donne Essene che parlavano con gli Angeli. Ne è un esempio la profetessa Anna citata nel vangelo di Luca che vide Gesù bambino e lo riconobbe subito come Messia. Maria madre di Gesù era anche lei una sacerdotessa (si dice infatti che viveva nel Tempio prima di andare sposa a Giuseppe). Sacerdotesse che si sposavano e vivevano tutte le fasi della vita in modo rituale (verginità, maternità, maturità - vecchiaia), cambiando modo di vestire e spesso anche nome ad ogni fase e servendo in differenti ambiti sociali e religiosi. Anche i sacerdoti ebrei si sposavano e procreavano, il celibato era assolutamente scoraggiato, così come l'omosessualità.

Dunque, secondo me, se nel cuore troviamo il desiderio di avvicinarci alla Maddalena dobbiamo riconoscerla come un'anima antica, profonda, saggia e illuminata prima di ogni altro aspetto. Poi possiamo anche discutere sul suo rapporto con Gesù e soprattutto sulla discendenza che, secondo varie fonti, dette a Gesù di Nazareth, da cui nacquero poi stirpi reali. Non vi sfuggiranno tutte le conseguenze di questa ipotesi, tutt'altro che peregrina, per i cristiani e in particolare per le gerarchie cattoliche. Il significato di "Santo Graal" è stato sempre più spesso avvicinato a Sang Real (sangue reale) della casate francesi e inglesi, scozzese in particolare. Un capitolo che va ancora ben scandagliato ma che non deve distrarci dall'essenziale: riconoscere in Maddalena un sorella spirituale, potente e sapiente a cui rivolgersi per trarre ispirazione.

Vi riporto ad esempio un passo del vangelo a lei attribuito, dalle vibrazioni cosmiche: Il Salvatore disse: " Tutte le nature, tutte le formazioni, tutte le creazioni sussistono l'una nell'altra e l'una con l'altra, e saranno nuovamente dissolte nelle proprie radici. Poiché la natura della materia si dissolve soltanto nelle radici della sua natura". Pietro gli disse: Giacché ci hai spiegato ogni cosa, spiegaci anche questo. Che cosa è il peccato del mondo? ". Il Salvatore rispose: "Non vi è alcun peccato. Siete voi, invece, che fate il peccato allorché compite azioni che sono della stessa natura dell'adulterio, che è detto "il peccato".

Questo prossimo 22 luglio 2013 sarà un giorno di particolare energia, con la luna piena. Vi invito a meditare sul nome di Maria Maddalena, il suo insegnamento. Io sarò alle 21.30 sul ponte di Vigo a Chioggia per onorare la santa che mi ha sempre ispirato bellissime storie, che forse potrebbero interessanti:

Le figlie della luna e gli amici delle donne

La danza della luce e delle tenebre

Potresti infine trovare utile e interessanti visitare questa pagina facebook: Holistic Christianity

Buona ricerca!

mercoledì 10 luglio 2013

50 anni di Diabolik ed Eva Kant

Nel 1962 usciva nelle edicole italiane il primo numero di Diabolik "romanzo a fumetti" ideato da Angela Giussani. Si è festeggiato il 2012 come anniversario dei 50 anni del protagonista incontrastato del noir italiano, quest'anno invece a fare 50 anni è l'incontro con Eva Kant, una ricca e bella vedova accusata di aver ucciso il marito, che avvenne nel terzo numero di Diabolik nella primavera del 1963. Presto si imporrà stabilmente nelle pubblicazioni, soppianterà la vecchia amante del ladro e scardinerà lo stereotipo del "criminale solitario".
Diabolik e Eva sono dei ladri molto sofisticati, padroni di un preciso e personale codice morale, ma non appartengono alla categoria dei ladri gentiluomini. Uccidono per impossessarsi delle fortune altrui, ma (almeno negli ultimi anni di vita editoriale) evitano, potendo, i delitti, magari narcotizzando le loro vittime. Allo stesso modo si è evoluto il personaggio di Eva: nelle prime storie la donna aveva un ruolo decisamente subalterno a Diabolik, e spesso veniva ritratta mentre si disperava per essersi trovata in una vita da incubo, dalla quale non può fuggire per il grande amore da lei nutrito per il grande criminale.
In un albo, Diabolik arriva addirittura a tentare di strangolarla dopo una sua disobbedienza (salvo poi retrocedere in nome del suo amore). Col tempo però il rapporto uomo-donna e di partnership tra Diabolik ed Eva è divenuto via via di perfetta uguaglianza, diversamente da quanto accade nella quasi totalità dei rapporti tra partner in altri fumetti. "Lady" Kant è diventata la controparte ideale di Diabolik, mutuando da lui i caratteri fondamentali del suo essere; lo stesso è accaduto a lui, che ha acquisito dalla sua donna alcuni lati del suo carattere.
Eva si è inoltre imposta al lettore come modello di stile, in particolare per la sua indipendenza e negli anni è apparsa come icona visiva nella pubblicità e nella moda femminile, ma soprattutto come moderno modello di femminilità (caratteristica accentuata in particolare nel periodo compreso tra la fine degli anni sessanta e gli anni settanta).
Del personaggio di Diabolik si conosce poco: solo in un episodio trapelano notizie sul suo naufragio da bambino che lo fece sbarcare orfano in un'isola misteriosa, covo di un'organizzazione criminale dove il brillante ragazzi venne ribattezzato "Diabolik" dal nome della tigre impagliata del capo banda. La scelta del nome fu una vera e propria provocazione in un'Italia governata dalla Democrazia Cristiana l'evocazione del demonio e la trasformazione in eroe di un ladro e assassino destò scalpore.
Più volte le sorelle Giussani dovettero affrontare la censura e i sequestri. Oggi l'evoluzione del personaggio ne ha definito una personale etica: l’onore, la tutela dei più deboli, il senso dell’amicizia e della riconoscenza, il rispetto degli animi nobili e perciò odia mafiosi, narcotrafficanti, strozzini e aguzzini. Ma soprattutto c'è il rapporto d'amore, fedeltà e complicità con Eva che mostra un uomo capace di sentimenti sinceri e non solo di eccitanti fughe. Curiosamente il "demoniaco" Diabolik, pur senza sposarsi, vive una lunga storia di coppia con fedeltà!

sabato 6 luglio 2013

A piedi, on foot, marchant, Fuß ...

Al Bed and Breakfast Palazzo Goldoni a Chioggia sono arrivati la sera del primo luglio due coniugi francesi affardellati da pesanti zaini. Sono i coniugi Carriou, che vivono in Bretagna e hanno deciso di concedersi ben più che una vacanza... Hanno realizzato un sogno con un viaggio a piedi di oltre 1800 chilometri dalla cittadina bretone di Larmor alla laguna di Venezia. Dopo due giorni a Chioggia, hanno percorso Pellestrina e hanno concluso idealmente il viaggio in piazza S.Marco. Del viaggio hanno pubblicato foto e descrizione di ogni tappa sul loro blog http://carriou.jimdo.com/, che è ovviamente tutto in francese.

Lo scorso Francisco Merli Panteghini aveva portato a termine un singolare pellegrinaggio da Chioggia a risalire il Brenta (anzi La Brenta come ama dire lui) da cui a tratto un agile e ispirato libretto intitolato "La forma dell'acqua". Aveva percorso 170 chilometri in kayak e a piedi fino al lago di Caldonazzo. Durante quel viaggio aveva incontrato un altro viaggiatore: lo svizzero Hans che scendeva da Zurigo alla foce della Brenta col suo fedele cane Pelouche. Anche Hans fu ospitato in quell'occasione a Palazzo Goldoni e ricevette un'ampolla d'acqua della Brenta da riversare nel fiume Reno che nasce poco lontano dalla sua casa.

In tutta Europa aumenta il numero di coloro che passano le loro vacanze o un tempo indefinito per cercare qualcosa camminando (on foot, marchant, Fuß ecc. ecc.). In Italia rifiorisce la via Francigena, le alte vie tra le montagne, il cammino di San Francesco, di Sant'Antonio e altri. Sulle tracce di antichi pellegrini o montanari sempre più persone trovano un'altra dimensione fatta di lentezza, confronto con gli elementi, relazione col paesaggio e coi suoi abitanti. Ed ogni volta nascono incontri, amicizie, illuminazioni. Un amico giornalista ha percorso per una settimana gli Appennini sulla via Francigena ed ha incontrato un ragazzo calabrese che scendeva da Milano verso casa dei suoi, dopo che non gli era stato rinnovato il contratto di lavoro. In cinque giorni sono diventati grandi amici, come si conoscessero da anni.

Tornando al diario dei coniugi Carriou, "dall'Atlantico all'Adriatico", così descrivono così l'epilogo del loro viaggio:

69° tappa, arrivo a Venezia

"Ieri abbiamo fatto la nostra ultima marcia, ma nonostante questo, sembrava che qualcosa mancasse. Nelle nostre teste il viaggio non era davvero concluso, e noi non sapevamo perchè... Questo finale si scriveva coi punti di sospensione e non con il punto a capo. Ma questa mattina, durante la colazione, Giulia e suo figlio Michele ci hanno presentato il marito, Francisco, un kayakista che era molto interessanto alla nostra aventura. Prima di salutarci ci ha donato un piccolo flacone, riempito d'acqua della laguna perchè lo mescolassimo con quella dell'oceano. Questo gesto, del tutto inaspettato, ci ha molto commosso. Noi abbiamo capito che in quel momento il nostro viaggio raggiunto il suo vero finale. Ora, dentro di noi, sappiamo che il sogno e l'utopia posso diventare realtà a condizione di crederci e agire concretamente in questa direzione. Grazie a tutti, per il vostro aiuto, senza di voi il viaggio non si sarebbe potuto fare in così buone condizioni. Non è tutto perduto! Durante questi due mesi noi abbiamo ricevuto solamente amicizia, conforto e solidarietà. Du fond du coeur,très sincèrement merci encore. (Dal fondo del cuore, molto sinceramente, grazie ancora)".

La novissima leggenda sulla nascita di Venezia

Sono stato invitato in una libreria veneziana per animare un pomeriggio. Ero onorato dalla trasferta in una città che amo ma che sento anche soffocata da una ragnatela di interessi mercenari, invasa da uomini-topo che ne rosicchiano la prestigiosa storia. Mi chiedevo cosa avrei potuto fare per contribuire a quelle energie di risanamento che, silenziosamente, incessantemente cercano sempre di riparare la trama dei destini e della rete della vita. Ho deciso di rischiare, di andare ad accogliere i bambini (e i genitori!) che sarebbero arrivati per coinvolgerli nella creazione di una nuova e originale storia sulla nascita della città. Abbiamo cominciato a lavorare per costruire un modellino della nostra città e delle sue barche. Abbiamo raccolto strada facendo elementi i più disparati che ciascun partecipante offriva. Infine mi sono messo a tessere una storia, una nuova leggenda sulla nascita della città e che ora potrete leggere anche voi. Riscrivere la propria storia è un grande opportunità, un gesto potente e liberatorio che ridefinisce la propria identità. Qui ci abbiamo lavorato giocosamente, ma con un intento elevato e salvifico. Ecco a voi la "Novissima leggenda sulla nascita di Venezia".

C'era una volta il grande mare, che ondeggiava di qua e di là senza posa. Pesci, alghe e balene si muovevano agitandolo e allietandolo. Lentamente la vita vegetale sul fondo del mare cominciò a salire verso la superficie e a iniziare un nuovo sviluppo. Unendo le loro radici formarono un'isola galleggiate sulle acque e poi iniziarono a elevarsi al cielo in veri e propri alberi. Col passare del tempo una grande foresta crebbe con le sue radici rinsaldò le provvisorie isole primigenie fino a dargli un'apparente solidità, che oggi chiamiamo terra. Il mare assisteva curioso a queste novità ma spesso giocava a riprendersi un po' del suo spazio affondando ora questa e ora quella sponda. Tra il mare e la grande foresta nacque anche una fascia che, con le maree, diventava mare per sei ore e poi terra per altre sei ore, restando un miscuglio dei due per un'ora intera mentre l'acqua andava e veniva. Lì decise di andare a morire molte vecchie balene, cullate dal mare, che diedero vita alle famose barene tra terra e mare.

Un giorno, inaspettata e audace, una nave, proveniente da chissà dove entrò in queste terre tra mare e grande foresta e si incagliò. L'equipaggio era composta da terribili pirati che percorrevano tutta la terra alla ricerca di più grandi tesori. Erano questi pirati originari del pianeta Venere, costretti a prendere corpo umano per vivere un eterno esilio dalla loro patria, che in qualche modo avevano profondamente offeso. Incagliati tra le maree i pirati, che si erano dati il nome di "bizantini", restarono incantati da quell'ambiente cangiante che non era nè terra nè mare. Decisero che lì avrebbero costruito la loro città. Si accorsero anche che in quei momenti di passaggio tra le maree un piccolo omino verde compariva ora qua e ora là. Si rivolsero a lui chiedendo notizie su quella terra e spiegando la loro intenzione. L'omino verde disse: "Se volete fondare una città dovete innanzitutto sceglierne il nome e poi andare a parlare col mare per chiedere che non la affondi ogni volta che riprende il suo dominio qui". I pirati si consultarono e decisero che la città si sarebbe chiamata "Venezia" (Venusia nella parlata antica) in onore alla loro origine venusiana.

Disfando la loro nave costruirono barche più piccole e mandarono una delegazione al mare che fu sorpreso e contento della loro innovativa proposta. Riflettè, ribollì e poi rispose: "Accetterò e proteggerò la vostra città a patto che le diate la forma di un pesce che salta in mezzo alla mia acqua". I pirati accettarono e tornarono dall'omino verde per chiedere altri consigli su come realizzare materialmente questa città. L'omino serenamente rispose che avrebbero potuto chiedere aiuto agli alberi più antichi della Grande Foresta, quelli che avevano guidato la crescita della grande foresta e la nascita della terra emersa. Fu così che i pirati si misero a esplorare la grande foresta cercando i patriarchi degli alberi e, dopo giorni e giorni, li trovarono alti come nessuno altro e spiegarono la loro richiesta. Gli alberi pensarono lungamente in silenzio e poi formarono le parole della loro risposta adagiando alcune foglie davanti ai visitatori. La scritta diceva: "Vi forniremo i nostri alberi per sostenere la vostra città ma in cambio dovete sottoscrivere un accordo di proteggere la foresta e dividere con noi i tesori della vostra città".

I pirati tornarono pensosi alla loro nave e chiesero all'omino verde quale tesoro mai custodisse la loro città. Commosso dalla loro tenacia l'omino gli rivelò che sommersi sotto di loro stavano alcuni massi che recavano incisi a fuoco lettere in grado di scrivere tutte le lingue di tutti i mondi e di imprimerli ovunque: sul legno, sulla pietra e altro ancora. I pirati si immersero coraggiosamente e, faticosamente, portarono in superficie e pulirono i massi da cui impararono a scrivere e, su una corteccia d'albero, scrissero l'accordo da sottoscrivere con gli antichi alberi. Con la preziosa corteccia arrotolata tornarono nella Grande Foresta e siglarono l'accordo per costruire la loro città. Da quel momento smisero di essere pirati e diventarono uomini d'affari. Così iniziò la costruzione di Venezia: con palafitte, moli e barche, altane e torri per guardare le stelle e la lontana e scintillante Venere. Mentre lavoravano gli uomini si sentivano sempre più soli, presi dalla nostalgia della loro patria. Cercarono di rendere la loro città più bella che poterono con statue, iscrizioni e canti in tutte le lingue dei mondi.

Un giorno, mentre abbattevano un albero cantando malinconici della loro patria e delle bellissime donne venusiane, accadde un prodigio: dall'albero tagliato uscì Gesù! Li guardo dolcemente e disse loro che avrebbe potuto aiutarli a portare donne e risate nella loro città se si fossero impegnati a farne una città dedicata all'amore in ogni sua forma. Gli uomini d'affari acconsentirono e fu così che su alcuni alberi presero forma frutti enormi che, maturando, lasciarono uscire donne bellissime benedette da Gesù e amiche degli uomini. E così finisce la leggenda novissima della nascita di Venezia e comincia la sua storia che durerà fino a quando la città avrà la forma di un pesce, rispetterà gli alberi e cullerà tutte le forme d'amore.

Francisco Merli Panteghini

Mediatore elementare