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venerdì 31 agosto 2012

La fine della religione a Ca' Roman

Esplorando Ca' Roman (Pellestrina) mi sono spinto nella vecchia colonia abbandonata dalle Canossiane, là dove un progetto di edificazione vorrebbe impiantare una quarantina di bifamiliari. Una piccola chiesetta dalle semplici forme e piccolo portico laterale si affaccia attonita, con le bocche e gli occhi, porte e finestre, spalancati e strappati. Un edificio ben costruito abbandonato e devastato mi lascia sempre un po' d'amaro in bocca. A maggior ragione quando l'accanimento a far danni è gratuito. Luoghi che hanno ospitato una comunità, che hanno accolto preghiere e canti non meritano un trattamento tanto duro. Ma così accade e l'atmosfera che si assapora è unica: verdi giovani olmi, pioppi, robinie competono a riempire gli spazi, edera ed erbe pioniere entrano negli edifici, un'atmosfera da "Noi non ci saremo".
Si sono ritirate in disordine le suore canossiane da qui, son tornate a Padova e ora da Padova arriva il nuovo proprietario e la proposta di lottizzazione. Il cattolicesimo prosegue il suo lento declino. Si ritirarono sull'Olimpo e più sù gli dèi greci, se ne andarono nel crepuscolo quelli nordici sostituiti da altre forme e riti, spesso negli stessi luoghi e con una continua contaminazione tra vecchio e nuovo. Ma ora che il cattolicesimo si ritira cosa subentra? Ci sono altre confessioni cristiane, sette iniziatiche e poi l'Islam per chi vuole regole di condotta e chiare gerarchie familiari. I media mettono la loro lente di ingrandimento (e deformazione) su questi concorrenti e sembra loro sfuggire la novità essenziale di questi anni cosmopoliti e pieni di scambi tra Oriente e Occidente.
Molte persone hanno rinunciato a definizioni dogmatiche e hanno rifiutato le appartenenze di gruppo per ricercare liberamente esperienze spirituali. Percorrendo strade diverse hanno cominciato a mettere in discussione la divisione tra spirito e materia, tra cielo e terra, per lanciare ponti ed esplorare connessioni e stati di coscienza che ci portano ben oltre il corpo fisico senza sacrificarlo. Hanno sperimentato ciò in cui credevano e si sono resi disponibili a trasformare le loro credenze e il loro stile di vita in base alle nuove scoperte. Molti hanno sperimentato i benefici della meditazione e della disciplina interiore, ottenuta ad esempio con le arti marziali o lo zen applicato ad un'attività qualsiasi. Questa è la grande novità: si sono aperte e riaperte mille strade per riprendere coscienza che nella natura umana spirito e materia sono uniti, che è possibile provare la totale quiete interiore e l'estasi in noi. E tramite queste acquisizioni interiori superare i limiti apparenti della materia.
Il buddismo è una delle poche tradizioni spirituali che è riuscita a non consolidare una vera e propria religione ma che è rimasta una via, un invito alla ricerca interiore. Ma se si rileggono gli insegnamenti di Gesù di Nazareth con mente aperta si capisce che anche questo maestro non intendeva fondare alcuna religione ma liberare i suoi contemporanei dal dogmatismo, dall'ipocrisia e soprattutto dall'ignoranza, così che chi avesse voluto percorrere la via che li riconduceva "al Padre", avrebbe sperimentato la divinità presente in ciascuno, perfetta realizzazione dell'individualità umana. L'invocazione evangelica fondamentale è la ricerca della verità come via verso la libertà, non il giudizio morale o la ritualità. Il Mahatma Gandhi disse che Gesù era "un orientale frainteso dagli occidentali" e forse ora possiamo capire cosa intendesse.
Stiamo oggi superando anche l'ateismo materialista. La fisica ci ha dimostrato che la materia è un'energia "densa" che continuamente pulsa e si riconosce che la nostra coscienza ("spirito") può influenzare queste vibrazioni ("materia"). Dunque stiamo comprendendo anche razionalmente cosa intendessero e spiegassero "in parabole" i grandi ricercatori dell'umanità di tutti i tempi. In questo fermento continuo solo che si mette sinceramente in ricerca riesce a orientarsi. Solo chi si dota di una propria bussola (il proprio cuore libero? la fiducia nelle proprie esperienze?) può sperimentare la potenzialità liberatorie del tempo presente. Chi invece si affida a convinzioni puramente intellettuali o chi si arrocca in divieti e visioni imposte si limita e si condanna a nuovi conflitti, nuove sofferenze e nuove dipendenze.
scultura del progetto Pimp My Mary

Marx affermò provocatoriamente che le religioni erano l'oppio dei popoli. Io credo che nelle religioni istituzionalizzate si perpetui il tentativo di pochi di consolidare posizioni di potere sui molti attraverso il monopolio di conoscenze e pratiche che potrebbero potenzialmente essere condivise da ogni essere umano. Io ho sperimentato tramite il Reiki che il tocco delle mie mani può togliere il mal di testa, lenire i dolori mestruali, aiutare la diagnosi e lo sblocco di problemi emotivi o fisici. Ho aperto la mente alla meditazione e mi sfiorano pensieri e intuizioni che non credevo di poter afferrare. Dunque si tratta di sperimentare tutti insieme quali sono le nostre potenzialità, ma quanti hanno il coraggio di mettersi in gioco? Il conformismo e la tradizione sono rassicuranti, perchè rinunciarvi, anche per poterle infrangere di nascosto col gusto del proibito?

"Per non scoprire in punto di morte di non aver vissuto"
(Henry David Thoreau)

venerdì 17 agosto 2012

Il bosco sommerso

A vederla dalle barche a motore la laguna è solcata da canali di navigazione segnalati dalle bricole, strutture formati da tre o quattro pali uniti insieme. La medesima struttura nella nomenclatura marinara internazionale viene chiamata anche duc d'albe o dalben o dolphin. Ogni bricola è numerata e porta una targhetta a segnalare il lato interno del canale. Le bricole sono state piantate quando le esigenze difensive della laguna vennero a cessare e fu possibile ai naviganti avventurarsi per i meandri che prima richiedevano l'esperta guida dei piloti veneziani. Guardando le centinaia di pali si può pensare che siano semplici pezzi di legno morto infissi nel fondo melmoso.
Ma navigando silenziosamente, a pelo d'acqua, sulla laguna, nei giorni senza vento, in certe ore del giorno, quando il velo che ci separa il mondo sommerso si fa liscio e più sottile pare di poter accedere ai misteri della laguna. Ed io che vi entrai posso testimoniare che quegli alberi sono viventi e che hanno formato un bosco sommerso con radici invisibili che li collegano. Un bosco unico e misterioso che ha colonizzato silenziosamente ogni anfratto e che, tenendo le barche nei canali, cerca di arginarne l'invadente moto ondoso e i rigurgiti di combustibile venefico. I suoi tronchi ospitano cozze e altri molluschi che li rendono taglienti alle mani dell'incauto esploratore.
Intere foreste furono depredate per costruire navi, remi e fondazioni delle case lagunari. Oggi quell'epoca va tramontando ma le bricole ancora rinnovano il bosco sommerso. Si tratta per lo più di belle querce, di almeno 30 anni. Ma vi si trovano , venduti all'incauto acquirente, anche degli olmi. Le roveri continuano il loro compito di proteggere le terre in cui si elevano. Piantate a testa in giù la loro fisiologia occulta si è trasformata attingendo nutrimento dall'aria e dal sole nella parte emersa e ossigenando l'acqua al di sotto mentre accumulano sale e residui di metalli. Gli olmi invece sono meno tenaci ma riescono a inviare e ricevere efficacemente informazioni tra il mondo sommerso e certi navigatori dei cieli che su di loro approdano.
Ho portato il Barakud entro i fondi melmosi dopo aver scoperto diversi passaggi eterici che mi hanno permesso, con poco dispendio di energia, di comprendere le connessioni profonde della laguna con l'intero pianeta. Mi sto convincendo che qui risieda una specie di organo planetario simile all'orecchio con la funzione sia di ricevere certe vibrazioni cosmiche ma anche di elaborare e mantenere l'equilibrio tra parti emerse e parti sommerse.
Dal Diario del Capitano Memo, 17 agosto 1923

domenica 5 agosto 2012

La Sirenissima

L'isola si distendeva come un cavalluccio marino teso nello sforzo di risalire la corrente del golfo. Di fronte la terra ferma separata da qualche miglio di basse acque salmastre. Un miracoloso equilibrio tra fiumi, terra, cielo e mare aveva formato incantevoli lagune e l'isola, che si inarcava per una decina di chilometri, era una delle protettrici di quel delicato e sottile legame tra lo specchio quieto e ricco di ogni forma di vita e l'esigente Madre Mare alle sue spalle. Sulla sua schiena infatti le onde del mare si infrangevano senza sosta animate dalla Sirenissima, o grande Sirena. Seducente di canto e di mare continuava a lambirlo o flagellarlo per convincerlo in un modo o nell'altro ad arrendersi a lei, voltarsi e sprofondare nell'abisso con lei.

La grande sirena Pellestrina era formata in realtà da uno stuolo di sirene e ancelle ondine. Insieme come un corpo unico e un'unico spirito portavano avanti il compito affidatogli dalla Mare. Poco distanti, a nord est, altre sue sorelle, Lidia e Fausta, spingevano l'acqua marina con le ampie code dentro le bocche della laguna perchè si rinnovasse lo scambio vivifico del dolce e del salato formando quell'impasto unico e gustoso detto salso. Delle tre sorelle Pellestrina era la più minuta e flessuosa, ma anche la più appassionata e seducente. Pur non riuscendo a smuovere l'isola intera riusciva ad attirare a sè ogni anima che vi si trovasse: bastava che fissasse lo sguardo nel mare per un secondo e lei appariva e ammaliava senza scampo. Per questo l'isola era rimasta a lungo disabitata ed evitata dagli uomini che temevano di perdersi nello sguardo profondo della Sirenissima Pellestrina.

Venne però un giorno un uomo dall'oriente con una lunga nave a remi, una grande vela arancio col sole dorato al centro, spinto dal vento Furianèlo. Era un vecchio nocchiero, esiliato per aver servito troppo fedelmente la Verità invece del Potere. Aveva visitato i porti adriatici e ancora cercava un luogo dove potersi stabilire. Quando vide Pellestrina il suo cuore esultò, qualcosa nell'aria gli sussurrava che aveva trovato la sua nuova casa. Ordinò all'equipaggio di sbarcarlo solo su quell'isola disabitata, con un otre di vino, fichi secchi e formaggio di capra. Loro avrebbero proseguito in cerca di scorte d'acqua fresca e sarebbero tornati a prenderlo al ritorno. Prese con sè gli ami, un coltello di rame affilato e il mantello di montone.

Mentre guadava il braccio di mare dal fondo sabbioso cominciò ad avvertire la presenza della sirena. Esperto e scaltro com'era dovette farsi forza per continuare ad avanzare verso l'isola senza gettare tutto a mare e nuotare verso il largo. Capì allora che era questo il motivo per cui era arrivato fin là. La Dea del Mare gli offriva una nuova casa e forse una compagna degna di lui, ma tutta da conquistare. Raggiunse le ampi spiagge e percorse l'isola scoprendone la doppia faccia: quella marina e quella lagunare. Di sottecchi sbirciava le acque attento a non lasciarsi sorprendere ma divorato dal desiderio di scorgere la sirena. A sera si stese sotto le tamerici e si addormentò pregando di ricevere in sogno un aiuto su come incontrare la sirena senza esserne schiavo.

Pellestrina intanto modellò un corpo d'acque e conchiglie e si fece vicina a sbirciare quell'uomo che, primo fra tutti i suoi simili, gli resisteva. La pelle scurita dal sole, la struttura tarchiata ma agile, i capelli neri striati di bianco e portati lunghi in una treccia fissata da monili d'oro. Lo trovò bello e iniziò a modellare il suo corpo in modo da prendere la fattezze femminili della più incantevole donna di quella razza. Intanto l'uomo sognava. La Dea del Mare, bellissima e seducente, emergeva dalle acque e gli chiedeva ospitalità in una casa degna di lei: sarebbe venuta a lui con la Luna Nuova.

E così al risveglio l'uomo fece alcune offerte agli spiriti del luogo: vino, fichi dolcissimi e un canto in una lingua sconosciuta. Chiese aiuto per costruire una casa dove ospitare la Dea Mare che tre giorni dopo, alla notte di luna nuova sarebbe venuta a lui. Raccolse tronchi portati dal mare, fronde odorose di alloro e tamerici, canne e fasci di erbe per costruire un'ampia capanna sulla spiaggia, aperta verso il mare. Gli spiriti dell'isola parteciparono gioiosamente a questo prodigio mai visto: granchi portarono conchiglie preziose, il ginepro fece maturare le sue bacche, i gabbiani portarono pesce perché l'uomo potesse nutrirsi senza interrompere il lavoro e lo spirito dell'isola fece emergere dalle sabbie i tesori che custodiva da tempo: coralli, monili e madreperla per ornare la dimora della Dea. Pellestrina assisteva dal mare, le sue figlie erano sempre più ammaliate da quell'uomo e le chiedevano il permesso di andare a raggiungerlo di notte. Ma solo lei si riservò il privilegio di avvicinarsi a riva

Arrivò la notte scura della Luna nuova, l'isola taceva in attesa del misterioso evento. L'uomo aveva dato forma ad una capanna simile ad una conchiglia a chiocciola: l'ingresso ornato di coralli e fronde era rivolta al mare ma la struttura continuava curvando verso sinistra. Accese due piccoli fuochi alla destra e alla sinistra della capanna, affumicò il pesce intriso di spezie, preparò un banchetto dal profumo squisito all'interno del rifugio. Si sedette poi sull'ingresso con le spalle verso il mare e cominciò a cantare. Cantò della sua vita, della gioia del nuoto, la passione per la pesca, l'ardire della navigazione, il timore panico delle tempeste, i cieli stellati e in eterno movimento, il calore del sole sulle terre gialle di frumento e d'orzo. Pellestrina prese corpo e si avvicinò divorata dalla curiosità e dal desiderio, spinta dalla Madre Mare che la sospingeva dolcemente. Senza accorgersene avanzò sognante lasciandosi alle spalle le acque in cui era sempre vissuta. La sabbia della spiaggia aveva la consistenza della terra ma la forma mossa delle distese di onde battute dai venti.

Silenziosa e annunciata solo dal suo profumo intenso raggiunse l'uomo che sentendola vicina tacque. La prese per mano e la portò dentro, tenendo gli occhi bassi per non cadere ammaliato dai suoi occhi di mare. Ne ammirò le caviglie, le snelle gambe, intravide appena i lunghi capelli neri e la delicatezza della mano. La servì offrendole i cibi che aveva preparato e Pellestrina per la prima volta mangiò e bevve. Il vino la scaldò e sentì in sé nascere un sentimento nuovo, della stessa qualità del fuoco. Non potè allora resistere e attirò a sé l'uomo, che a sua volta la sospinse più oltre, dove aveva preparato un giaciglio. Lì nel buio più completo si amarono saziando le bocche di baci ed esplorando avidi i reciproci corpi. L'amoroso conflitto si protrasse con diversi assalti e sussulti per alcune ore, poi i due giacquero pieni di stupore e dolcezza.

Quella notte d'amore aveva mescolato le loro energie, reso più terrestre lei e più marino lui. All'annuncio dell'alba lei si divincolò e solo allora lui la vide nella sua piena bellezza e i loro sguardi si incrociarono ora resi identici dall'alchimia della dea Mare. Stupiti dal vedere i propri occhi in quelli dell'altra compresero che la loro unione sarebbe durata per tutta la vita, tutta la vita del mortale che la sirena sarebbe vissuta per secoli e secoli. Accettarono il loro nuovo destino diventando i primi abitanti dell'isola. Accolsero l'equipaggio di ritorno che fu preso da sacro timore alla vista della nuda bellezza aliena della sirena. E così nacque la stirpe di pescatori e ortolani che diedero all'isola il nome della loro progenitrice e protettrice: la sirenissima Pellestrina. E ancora oggi i giovani dell'isola costruiscono capanne sulle spiagge per amare, nelle notti senza luna, le loro donne silenziose ma dagli occhi profondi e misteriosi.

foto e testo ispirato a Francisco, mediatore elementare

venerdì 3 agosto 2012

La Valle della Rabbia

Sono appena tornato da una visita alla Valcamonica, la terra dove sono cresciuto dai 2 ai 20 anni. Vado a trovare mia madre, qualche parente ed amico, uno scatenato nipote, le montagne, i boschi dietro casa, l'ampia vista e certi luoghi potenti e ispirati che sto scoprendo o riconoscendo solo ora. Sono andato a vedere la frana che è caduta na settimana fa e ha ostruito la statale e parzialmente anche il fiume Oglio tra i paesi di Rino e di Sonico.

La frana si è mossa dalle alte quote, oltre i duemila metri c'è un deposito di materiali del ghiacciaio ormai ritirato e sono scesi giù nel catino della Val Rabbia e si sono riversate mirando un punto preciso giù nella valle principale. Mi ha colpito molto questo evento. Sono andato a constatare di persona cosa è successo, ad ascoltare i luoghi: sì perchè sempre più spesso preferisco ascoltare i luoghi che le persone. Dato che non ci sono stati morti e la strada in poche ore è stata ripristinata non fa più notizia la frana.

Certo se la ricorderanno bene gli abitanti di Rino che si sono visti spazzare via il ponte, cavi e tubature che univano le due rive della Val Rabbia. Ma credo che ci sia ancora molto da fare per imparare la lezione che le montagne cercano di inculcarci. E' la terza frana che scende in 10 anni, nel 2006 si era già fatta vedere bene. Adesso ci risiamo e ho la netta impressione che non si fermerà qui, che presto si rimetterà in movimento.

La Valle della Rabbia vomita conati di quarzi, tonaliti, porfidi, sabbia, radici e terra in Valcamonica. La rabbia di una montagna sempre meno ascoltata mentre la Valle si "sviluppa" e costruisce nuove funivie e spera che il turismo di massa, la speculazione edilizia e qualche nuovo capannone possano rilanciare un'economia fragile. Sento la mia rabbia insieme a quella della montagna: per l'agricoltura e l'allevamento in abbandono, per l'esaltazione di stili di vita che nulla hanno a che fare con la tradizione di questa terra e le lezioni importanti che ha insegnato ai suoi valligiani.

Terra di emigranti in tempi recenti, un tempo di streghe e fabbri abili: mentre la corsa al benessere accelera si addormenta in molti l'intuitiva sintonia con gli elementi vivi del paesaggio, l'amore profondo e il rispetto per le acque, i boschi, gli alpeggi. E la montagna chiama, pretende l'attenzione dei suoi figli non certo per tornare indietro ma per imparare a tessere una nuova alleanza, senza svendersi al consumismo passepartout.

Mi auguro che i camuni ricordino quando un sogno premonitore li avvisava di quello che sarebbe poi accaduto, che si stringano insieme per sviluppare il loro territorio secondo logiche comunitarie e lungimiranti che includano la tutela del paesaggio come irrinunciabile bene per l'uomo, come per gli alberi, le fate, i camosci e le poiane. L'uomo che ritorna umilmente alla madre terra ritrova il senso e la misura del suo agire.

testi e fotografie di Francisco Panteghini dei Polentù de Bièn, scatti del martedì 31 luglio 2012