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giovedì 29 novembre 2012

Il cuore di luce della nuova Chioggia: Lusenzo.

Molte persone non sanno che Chioggia è un'isola dentro la laguna. Sanno vagamente che è vicino a Venezia e sul mare. Anche per me in verità è stata una scoperta recente. Il Goldoni scriveva: "Chiozza è una bella e ricca città venticinque miglia distante da Venezia, piantata anch'essa nelle Lagune, isolata ma resa Penisola per via di un lunghissimo ponte di legno, che comunica colla Terraferma". Quando si parla di Chioggia ancora meno persone capiscono la complessa articolazione tra l'isola di Chioggia, la grande Sottomarina con la sua spiaggia e gli altri quartieri e le innumerevoli e popolose frazioni. Non lo sanno anche perchè la città è ancora pervasa di un vecchio contrasto per l'egemonia tra Chioggia centro e Sottomarina, che oggi è la parte più ricca e popolosa grazie soprattutto al turismo di massa e allo sviluppo edilizio imponente e, purtroppo, disarmonico. Parlando con un padovano o un vicentino, tipico turista del mare estivo, sarà facile che ricordi Sottomarina come separata e autonoma da Chioggia. Credo sinceramente che i tempi siano maturi per un salto di paradigma che porti ordine e rilanci una nuova ampia e vitale "Chioggiamarina". Offro di seguito il mio contributo di mediatore elementare perchè ciò si realizzi presto col reciproco vantaggio di tutte le parti.
In Italia le nostre antiche città e le identità ad esse collegate (base di un sano municipalismo, che a volte scade in campanilismo) sono costruite attorno al concetto filosofico del "centro". Un'area della cittadina, fitta di aree direzionali, luoghi d'incontro e monumenti storici concentra in sè un'ampia gamma di funzioni e diventa l'emblema (nelle cartoline soprattutto) dell'intero abitato. Il dibattito che per decenni ha diviso ciosotti (abitanti dell'isola di Chioggia) e marinanti (di Sottomarina) verteva proprio su questo. E il confronto era così acceso da far parlare di una possibile separazione amministrativa tra queste due polarità. Due microculture si confrontavano: i pescatori e gli ortolani. Ora è venuto il tempo di integrare gli insegnamenti di tutte le memorie e identità che gravitano attorno alla Laguna sud per poter confrontarci con gli anni complessi e impegnativi che stiamo attraversando.
Per questo il primo passo simbolico, ma carico di potenti implicazioni e ricadute pratiche, è ridefinire il concetto di "centro" della città. E la mia proposta è che sia definita, tutelata e sviluppata come centro della nuova Chioggia la laguna del Lusenzo su cui si affacciano l'isola di Chioggia, l'isola dell'Unione, Sottomarina ma anche il popoloso quartiere di S.Giovanni e, poco discosto, Brondolo con le antiche vestigia dell'abbazia di S.Michele, nucleo originario di popolamento e di riferimento religioso prima dell'arrivo nell'isola di Chioggia del vescovo di Malamocco (XI sec.), lì giunto dalla romana Aquileia. Concepire una città europea con al centro uno specchio d'acqua è una rivoluzione, ma i tempi sono maturi per riconoscere e celebrare Chioggia come una perla dell'amorevole paesaggio della Laguna sud. Onorare la protezione, il sostentamento e la ricchezza che la laguna ha offerto nel corso dei secoli alle genti che qui hanno vissuto è vitale nel momento in cui quell'ambiente si sta degradando e la città con essa. Chi vuole trasformare Sottomarina in un divertimentificio senza spina dorsale come altre famose località turistiche aborrirà l'idea. Chi crede che uno sviluppo turistico equilibrato che promuova le specificità uniche del territorio sia la chiave del successo del futuro invece saprà cogliere in questa proposta una valenza paradigmatica.
La laguna del Lusenzo è stata valorizzata da un piacevole percorso ciclopedonale. Oggi sulle sue sponde ospita case, parchi, orti, attracchi e nelle sue acque qualche allevamento e i canali che collegano Brondolo alla Laguna. E' uno spazio che è già sentito come comune da tutti gli abitanti delle sue sponde. Risolverebbe il conflitto di prevalenza tra la più popolosa Sottomarina e la più antica Chioggia, anche perchè integrerebbe, supportato da una adeguata politica urbanistica, i quartieri ora "periferici" di Borgo S.Giovanni e Brondolo. Questa nuova identità della città si sta sviluppando da decenni, una spia illustre delle dinamiche energetiche che stanno conducendo a questa bellissima evoluzione è, ad esempio, la realizzazione dell'Isola dell'Unione e, in tempi più recenti, l'istituzione del Palio della Marciliana. Questo evento, di ventennale storia, celebra infatti una competizione tra balestrieri delle contrade di S.Giacomo (la migliore, dove vivo io :-), S.Andrea, S.Martino (Sottomarina), S.Michele (Brondolo e S.Anna), Montalbano (Valli e Piovini). Il messaggio della competizione, anche aspra, è anche quello del reciproco riconoscimento, la trasformazione da nemico ad avversario che mi stimola a dare il mio meglio perchè la posta in palio è la stessa.
Veniamo ora alla delicata questione del nome da dare a questa nuova città, con questo nuovo magnifico centro di luce e l'acqua. Il Lusenzo porta un nome antico, di certo pre-ellenico, che allude probabilmente alla qualità della luce riflessa, mentre Chioggia deriva dal nome romano Clodia. Non è credibile ribattezzare la città "Lusenzia", risolvendo così, con un taglio netto le diatribe campanilistiche. Ma di certo ci vorrebbe un nome che accolga le due anime principali della nuova città e io mi sento di proporre Chioggia Marina, anche perchè quel "sotto" con tutta l'acqua alta degli ultimi anni non mi sembra porti molto bene alle nostre cantine e garage. Inoltre "Sotto" si associa anche ad un giudizio di valore molto comune per cui ciò che sta in basso è inferiore. Dunque prepariamo le bottiglie per brindare con l'anno nuovo alla rifondazione della nuova Chioggia Marina, una città incantevole e vivace, capace di futuro. All'ordine del giorno il rilancio legato alla vocazione del territorio, lo sviluppi dei prodotti agricoli locali, il turismo di qualità, il porto, la tutela della laguna e delle attività di pesca e allevamento di mitili, l'inversione del calo demografico, il rilancio del senso e delle funzioni della comunità. Buon 2013 a tutti!

Francisco Panteghini

Mediatore Elementare

Consulenze di Ecologia Olistica

domenica 18 novembre 2012

Gli alberi: pilastri del paesaggio

Il dott. Zanzi, il maggiore esperto italiano di arboricoltura, ci fece sorridere amaramente ad un corso di aggiornamento dicendo che in Italia il giardiniere è l'unico professionista che i clienti pagano per fare danni alle loro proprietà. Si riferiva agli interventi di mutilazione continua cui gli alberi vengono sottoposti, in contrasto con lo sviluppo degli studi del settore e con l'esigenza sempre più pressante di tutelare gli amici verdi per il loro ruolo chiave nell'ecosistema. A Varese la capitozzatura, cioè la rimozione di oltre il 50% dei rami, è vietata e sanzionata dal regolamento comunale. Qui in Veneto invece, a parte la notevole eccezione del Comune di Venezia e qualche altro, la capitozzatura è pratica consueta e anzi sostenuta da errate convinzioni di origine contadina. Mi riempiva un tempo di rabbia assistere alle capitozzature dei monumentali platani lungo le principali arterie di comunicazione. Oggi mi resta la malinconia di un'occasione perduta, di un gesto ormai meccanico e privo di valore progettuale, ecologico e persino economico.

E' cominciata la “potatura”, ovvero lo scalpo dei platani del Terraglio. Il comune di Mogliano provvede solerte a rendere sicure le strade di sua competenza riducendo i maestosi platani a gigantesche mani dalle dita mozzate. Si adduce anche la necessità di tutelare gli alberi stessi dal terribile “cancro del platano”. Sono informazioni tecnicamente scorrette: ogni grosso taglio è la via primaria di infezione e riduzione della vitalità degli alberi. Non si dice mai che il tre - cinque per cento degli alberi vetusti capitozzati in questo modo muore l'estate successiva (con successivi costi di abbattimento). Comprendo la difficile situazione degli amministratori che spesso non hanno a disposizione personale competente e hanno risorse ridotte.

La gestione del verde è diretta da geometri o membri dell'ufficio tecnico senza formazione specifica di botanica e gestione del verde pubblico. Lavorare allo stesso modo le ditte incaricate dalla Provincia di Venezia e Treviso. Oltre alla mancanza di professionalità, che le ditte private potrebbero compensare, c'è il costo: moncare le branche principali è un lavoro veloce che richiede poca competenza, potare a regola d'arte, riducendo il carico del vento, eliminando solo i rami pericolosi è richiede operatori qualificati e tempi maggiori. Più tempo si traduce in più denaro.

Quanto costa potare un albero di grosse dimensioni? Nei capitolati le cifre sono molto basse. Troppo basse. L'Anas ad esempio nel 2011 prevedeva un costo di 160 euro + IVA per ogni albero più alto di 12 metri, inclusa l'asportazione e lo smaltimento delle ramaglie. Cifra ridicola considerando che per questi lavori si utilizza una squadra di 5 persone e mezzi adeguati. Gli operatori se vogliono “guadagnarsi lo stipendio” sono costretti a potare un albero monumentale in meno di due ore. Se rimaniamo in questo sistema di pensiero siamo in un vicolo cieco. E' necessario allargare la visione per poi trovare altre strade. Innanzitutto dobbiamo accettare come punto irrinunciabile il ruolo ecologico chiave degli alberi nel paesaggio. Una terra con pochi alberi è una terra che si vota alla sterilità, alla desertificazione, alla povertà. Non possiamo più contare su nessun “polmone verde” a livello globale. L'Amazzonia è ridotta ad una savana alberata con qualche angolo di fitta boscaglia. Qualsiasi serio studioso di ambiente lo può confermare. Partendo da questo presupposto dobbiamo sviluppare politiche di gestione e sviluppo del patrimonio arboreo che coinvolga sia i privati che le istituzioni. E' un obiettivo comune, una delle maggiori eredità che lasceremo ai nostri figli.

In quest'ottica tutelare il singolo albero è poco significativo, l'importante è che si affermi la visione d'insieme. I platani del terraglio sono testimoni storici di un paesaggio che è scomparso: piantati in epoca napoleonica per ombreggiare le carreggiate sterrate dove si viaggiava a piedi o traino. Ora che contengono lingue d'asfalto con sofisticati “autonavi” metalliche, con l'aria condizionata, capaci di sfrecciare a velocità inimmaginabili cent'anni fa sono fuori posto. Sono pericolosi perché la velocità delle nostre macchine li trasforma in pilastri mortali quando ci schiantiamo. Il famoso architetto Paolo Pejrone invita da anni a riconsiderare questa tradizione dei viali alberati: conservarla nei centri storici e sostituirla con boschetti ritmati accanto, ma non rasente, le strade a forte traffico e velocità.

Dobbiamo avere il coraggio di trasformare il paesaggio in modo da armonizzare le esigenze della modernità con gli imperativi ecologici, pena il tracollo ambientale. Io sono fiducioso che il Veneto, ferito da uno sviluppo industriale impetuoso e dalle lottizzazioni sfrenate, possa diventare la guida della sintesi di un nuovo paesaggio dove “naturale” e “artificiale” trovino un reciproco equilibrio. Qui da noi c'è il ricordo e l'amore del paesaggio campestre, dei boschi e delle montagne innevate. Abbiamo le risorse economiche e di competenza perché abbiamo amministratori locali tra i migliori d'Italia: lo dimostrano ad esempio i comuni virtuosi nella raccolta differenziata. Si tratta quindi di ridefinire le prospettive e implementare le politiche che coniughino funzioni ambientali con sviluppo civili ed economico, che è proprio il compito dell'ecologia olistica e della geomanzia moderna. Quali sono le fasi operative per gli enti territoriali? Costituire un ufficio del Verde con personale qualificato, censire il patrimonio, redigere un regolamento comunale che preveda anche sanzioni, sollecitare la partecipazione attiva dei cittadini, stabilire aree di riforestazione, reperire fondi anche comunitari e collaborazione coi privati.

Francisco Panteghini

Mediatore Elementare

Consulenze di ecologia olistica

sabato 10 novembre 2012

Acque alte in laguna: fenomeno naturale o indotto?

Suonano le sirene nella notte, sei lunghi fischi. Mi vesto e scendo a installare le paratie. Per centomila abitanti della laguna comincia un'altra giornata di acqua alta. Probabilmente. Le previsioni infatti non sono sempre affidabili, il gioco dei venti ancora sfugge ai modelli e una variazione di 10 e più centimetri è cosa già accaduta. Per chi non vive in laguna dieci centimetri sembrano pochi, ma quando sono la differenza tra stare coi piedi all'asciutto o dover spostare mobili e passare ore a spazzare diventano molto molto importanti. La qualità delle previsioni e della comunicazione ai cittadini potrebbero essere molto migliori ma preferiamo investire 700 milioni di euro l'anno in un progetto sperimentale che dovrebbe proteggerci dalle acque alte, ad eccezione di quelle eccezionali. E' ancora una questione di centimetri: io finanzio un progetto che lascia irrisolto il mio problema iniziale. Mi dovrò vestire, scendere e montare le paratie: solo che dovrò farlo più in fretta perché se la marea salirà oltre il livello massimo mi avvertiranno poco prima.

Quando mi sono trasferito in un centro storico lagunare ho messo nel conto di accettarne gli inconvenienti: maree, parcheggi lontani, scomodità dei trasporti. Pago questo prezzo volentieri perché mi sento privilegiato a vivere in questo luogo unico. Amo la città, il riverbero della luce sull'acqua e amo poter prendere la barca a remi ed essere in mezzora nell'ecosistema più complesso e ricco del pianeta. Le lagune infatti sono degli scrigni di biodiversità ed efficienza energetica: trasformano l'energia solare grazie alle acque basse e all'afflusso di nutrienti dai fiumi in un clima temperato e ricco che fa aumentare la produzione di biomassa a 15-20 g al m quadro, contro 1 g delle praterie. Quest'abbondanza si trasforma a cascata in alghe, batteri ecc. arricchisce tutte le catene alimentari (vongole, granchi, granchi e quindi uccelli ecc.).

Io sono cresciuto in montagna e ricordo le nevicate degli anni Ottanta, quando avere venti centimetri in una notte era consueto. Ci si svegliava presto, si spalava la neve, si liberava l'auto, si montavano le catene e si evitava di uscire se non per le cose indispensabili. Qui in laguna molte persone considerano le acque alte qualcosa di estraneo e nemico, ma a me sembra naturale. Se vivessi in una casa (magari anche abusiva) in golena non potrei certo lamentarmi per le piene del fiume! In certi quartieri, in certe isole si avverte ancora nei momenti di difficoltà il risorgere del senso di comunità, di trovarsi tutti sulla stessa barca (che affonda?) e sostenersi con consigli, parole e azioni. Questa spontanea coesione sociale è uno degli ingredienti dell'identità isolana che lo stato di Venezia seppe tradurre in una sistema politico che godette di invidiabile stabilità in confronto ad altre città stato come Milano o Firenze.

Il primo passo per capire cos'è e che funzione ecologica abbia la marea in laguna è rinunciare ai giudizi ma accettare che c'è e indagare le relazioni di causa, effetto e sincronicità. Se rimaniamo fermi nel giudicare il fenomeno (“buono” o “cattivo”) rimaniamo bloccati e non possiamo sviluppare strumenti operativi efficaci. La marea è un fenomeno naturale che mantiene in vita l'ecosistema lagunare con il ricambio delle acque. La funzione di pulizia delle acque marine è quanto mai vitale dato il progressivo aumento degli scoli delle nostre fognature, industrie e barche a motore diesel. Se blocchiamo il flusso delle maree trasformiamo la laguna in una vasca da bagno buona solo a metterci i pesci rossi. Declineranno inevitabilmente tutte le altre squisitezze protagoniste della gastronomia lagunare. Possiamo paragonare la marea e il suo movimento in laguna al nostro respiro: il polmone è la laguna, la marea il flusso d'aria. Il respiro ha ritmi regolari se siamo a riposo, ma di tanto in tanto dobbiamo prendere un respiro un po' più profondo per ossigenarci meglio. Quando invece siamo in attività dobbiamo respirare più velocemente e più a fondo. Oggi l'ecosistema lagunare è sotto grande sforzo e ha accelerato il suo respiro nel tentativo di rivitalizzarsi.

Ma l'acqua alta è sempre stata così frequente e intensa? Disponiamo di dati sistematici di rilevamento delle maree dal 1872. La cosa che colpisce osservando il grafico è che le maree eccezionali (acqua alta) è diventata cosa comune (passando da 2-3 volte l'anno a 30 e più) nel corso degli anni Sessanta, con un aumento continuo. Dunque questo fenomeno naturale è stato stravolto da qualche altro fattore? Cos'è successo negli anni Sessanta di così sconvolgente in laguna? Tra il 1961 e il 1969 è stato scavato il canale dei Petroli, ovvero un canale largo 200 metri e profondo 15-16 metri (in una laguna profonda in media 80 cm) che serve tuttora a consentire il passaggio di navi (petroliere in particolare) dalla bocca di porto di Malamocco alle raffinerie di Marghera. Una "grande opera" di quei tempi che serviva alla scelta politica di privilegiare un certo tipo di sviluppo economico (industriale) senza curarsi sulle ricadute ambientali dannose per la pesca, l'allevamento di molluschi e la tutela della laguna negli anni a venire. Era la logica del tutto subito, quando il boom mondiale dei consumi, di cui siamo stati protagonisti, ci illudeva che le risorse naturali fossero inesauribili e che il petrolio e i suoi derivati (dalla benzina alla plastica) fossero la chiave irrinunciabile della modernità. Quel tempo è tramontato ormai.

Il legame tra lo scavo del canale (e il suo continuo mantenimento), l'aumento del traffico navale, con conseguente moto ondoso, e il maggior ingresso d'acqua marina è evidente ma le scelte economiche e le politiche da esse influenzate le hanno volutamente taciute. Quel canale è una ferita profonda in un ecosistema unico. Una ferita che sta uccidendo la laguna, ma non temete la vita è continuo mutamento e la morte è solo una continua trasformazione: sta nascendo qualcos'altro. Una specie di grande golfo marittimo, che battezzerei il Golfo di Porto Marghera, non più di Venezia che è la prima condannata a soccombere al venire meno delle condizioni ambientali che l'hanno vista nascere e fiorire. Insomma stiamo costruendo qualcosa come il Golfo di Taranto qui in Veneto, buttando via secoli di politica idraulica della Serenissima per la tutela della laguna, che come le valve di una conchiglia custodiva la preziosa perla di Venezia. A me non piace questa prospettiva ma si può ancora cambiare strada. E tu cambieresti?

Francisco Panteghini

Mediatore Elementare

Consulenze di ecologia olistica

mediatorelementare@gmail.com

domenica 4 novembre 2012

La funzione ecologica dell'umanità (II)

Verso una visione olistica ed energetica. Parte II

Ho appena finito di leggere l'accorata testimonianza di vita di Francesco Tassone nel suo libro “Ecologia consapevole”. Da agronomo di grande esperienza Tassone integra la sua ricerca personale con la pratica lavorativa. L'ho sentito molto vicino in questa tensione tra insoddisfazione personale e scontro con logiche distruttive e avvilenti sul lavoro. Con ironia ed esempi mostra i limiti della politica agraria europea e poi inizia a ridimensionare le teorie economiche e i modelli di pensiero che stanno alla base di un approccio riduzionistico e meccanicistico del reale. Limpida la sua consapevolezza che le teorie sulla realtà non sono LA REALTA', ma sono delle finestre da cui guardiamo prozioni del reale e che usiamo per prevedere cosa succederà e orientare il nostro comportamento.

Anche lui, come me e molti altri, arriva alla conclusione che è tempo di un cambiamento di paradigma (di visione scrivo io). Gli ingredienti essenziali di questa trasformazione sono l'accoglienza dell'essere umano integrale (HOMO empaticus lo chiama Tassone, superamento dell'indurito e incattivito Homo economicus), il rispetto per la Terra, il saggio uso delle sue risorse limitate secondo una nuova visione di ecologia globale, la rinuncia all'antropocentrismo e lo sviluppo di ascolto intuitivo. Sì avete capito bene: ascolto intuitivo. Tassone lo chiama “istinto ecologico” ovvero, partendo dalla sua esperienza, porta alla luce una capacità innata nell'essere umano di entrare in sintonia con l'ambiente decodificando messaggi e stimoli senza passare dall'intelletto ma che possono poi venire verbalizzati, tradotti e concretizzati. Captare questo flusso continuo di stimoli ambientali che passano attraverso il corpo e l'emotività permette di individuare, con una specie di bussola interiore, il comportamento migliore per noi e contemporaneamente per l'insieme.

Condivido e testimonio che è possibile sviluppare questo senso, che più che “sesto senso” chiamerei sano “buon senso” di esseri umani coi piedi ben piantati per terra che si rendono conto delle conseguenze del loro agire e non giocano a fare gli struzzi. Il presupposto di questa possibilità è che noi come esseri umani individuali siamo interconnessi con tutto l'ecosistema. Lo sviluppo dell'ecologia negli ultimi cento anni è proprio lo studio delle relazioni tra tutti gli elementi della biosfera e oltre. L'asserragliarsi in teorie scientifiche, economiche e altro che non sappiano aprire il loro sguardo a questo approccio è un comportamento infantile e distruttivo. Riconosciamo serenamente i nostri limiti, le esperienze e i fallimenti per poi metterci a disposizione della vita. Poesia? No, è un cambiamento di paradigma: passiamo da una visione che riduce e analizza, porta inquinamento e disperazione perché perde di vista che ogni cosa influisce sull'insieme e che azioni che danneggiano l'insieme si trasformano poi in danni per me.

E per sviluppare un cambiamento sociale, economico e tecnologico adatto all'ambiente in cui viviamo dobbiamo prima cercare di capire chi siamo, o se preferite ricordare chi siamo. Citando Tassone, che ingloba le conseguenze delle ricerche di fisica quantistica : “Certamente noi siamo anche personalità, siamo un copro, siamo DNA, ma principalmente siamo ciò che anima la materia, che si relaziona ad altre forme di energia che animano altre forme di materia. Siamo energia che si vuole evolvere e che lo fa attivando i suoi programmi evolutivi relazionandosi con l'ambiente circostante nelle sue diverse frequenze e dimensioni (non solo quelle visibili). Riceve continuamente impulsi di risposta alle sue domande e questo avviene in termini che superano la razionalità”.

Siamo in un momento di passaggio che ci impone di cambiare la nostra visione. L'uomo si è evoluto fino a mettersi in cima alla catena alimentare, è diventato il primo predatore, ha cominciato a costruire un ambiente completamente elaborato da lui dando vita a materiali, forme, organismi che non esistevano prima. Dunque è diventato un distruttore di paesaggi ma anche un creatore. Ora può accedere ad un altro livello: quello del creatore consapevole che collabora con il flusso energetico per sviluppare la ricchezza e la diversità della biosfera guarendo le ferite che ha inflitto. E' il movimento evolutivo planetario: possiamo cominciare a percepirci come la coscienza avanzata della Terra, la sua funzione creativa, un po' come nella visione ebraica del giardino dell'Eden possiamo portare consapevolezza (“dare il nome alle cose”) e diventare i custodi dell'evoluzione generale, accettandone i ritmi e sviluppando progressivamente la comprensione delle interrelazioni.

Il sistema terrestre sta evolvendo e sta attivando i suoi anticorpi alla devastazione: sia cambiando il clima ma anche risvegliando tra gli esseri umani una nuova coscienza. Come si estinsero i dinosauri l'umanità potrebbe estinguersi se non fosse più utile a Gaia, e forse l'eredità di specie più evoluta passerebbe ai delfini. La nostra scelta è libera se aderire e sviluppare nella nostra vita questa prospettiva che è implicitamente ecologica, senza diventare ambientalista e oppositiva. Dobbiamo portare al centro i valori, l'etica, la responsabilità, capire che il mezzo e il fine si influenzano a vicenda. Pensare l'economia con al centro un'etica dello sfruttamento e della competizione ha portato lo stato di attuale degrado ambientale. Se vogliamo permettere un'ulteriore evoluzione dobbiamo mettere al centro un'etica collaborativa, basata sulla fiducia e la percezione attenta della realtà piuttosto che delle teorie intellettuali su come la realtà dovrebbe funzionare.

Ebbene da dove cominciamo? Se avete letto fin qui e sentito di aderire in qualche modo non tanto ai contenuti informativi ma a quelli più sottili ed emotivi, che la vostra parte empatica di donne e uomini desiderosi di ulteriore evoluzione riconosce, seguite questo consiglio: abbracciate gli alberi. Con le braccia, il cuore, la mente abbracciate gli alberi. Tassone ha trovato il coraggio di dire ciò che sentiva a partire dall'incontro con un antico Kauri in Nuova Zelanda. Io ho trovato il coraggio di cambiare il mio modo di fare giardinaggio dormendo e dialogando interiormente sotto un grande platano. Fatelo e facciamolo, riconosciamoci e sosteniamoci a vicenda in questa evoluzione così necessaria per noi e per tutto il pianeta.