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venerdì 21 febbraio 2014

Gli Elfi della Brenta

Pochi ormai hanno dimestichezza col piccolo mondo degli elfi, quelli veri, non quelli della letteratura (fantasy o tolkeniana ad esempio). Per elfi intendo quei piccolissimi esseri elementari, che di solito si manifestano collettivamente, che si prendono cura dei prati, delle erbe, che amano vivere nei prati alti e ricchi di essenze, si dondolano nel vento e cantano con le rane d'estate e di notte al chiaro di luna. Questi canti a volte vengono intessuti insieme a quelli di una fata in particolari cerchi vicino ad un albero deputato a queste speciali feste. Al loro lavoro prezioso è dedicata questa storia.

Era l'alba del 13 maggio 1503 e gli elfi si stavano stiracchiando tra le erbe alte accanto al fiume dove avevano dimora. Ben presto però furono presi da una strana inquietudine. Silenzio. Un forte silenzio regnava tutt'attorno. Dov'era la cara voce della Brenta che li cullava di notte e li allietava di giorno? Gli elfi balzarono all'unisono verso la riva e restarono ammutoliti e confusi. Il fiume era ridotto ad un rigagnolo flebile nel letto limoso che di solito riempiva completamente. Cos'è accaduto? Brenta cosa ti succede?

Come spesso fanno nei momenti di difficoltà gli elfi si unirono in un veloce canto per chiamare la fata che si occupava di quell'area, negli ultimi tratti del fiume prima di sfociare in laguna, proprio in vista di Venezia. Anche la fata era si era appena risegliata nel suo splendore ai primi raggi di sole. Appena si rese conto dell'accaduto cedette, cosa grave per una fata, ad un gran rabbia e disse che doveva essere colpa degli esseri umani, che da mesi scavavano la terra e tagliavano alberi per costruire argini e strangolare il fiume. L'aura lucente e azzurrina della fata cominciò a essere attraversata da lampi rossi e un velo di grigio si diffuse mentre si precipitava a vendicarsi facendo dispetti a tutti gli umani che incontrava, imbizzarrendo i cavalli, facendo inciampare le persone, facendo volare via cappelli e fazzoletti lontano sulle cime degli alberi.

Gli elfi restarono per un momento delusi ma poi si riunirono e decisero che avrebbero chiesto alla Brenta stessa di spiegare cosa le era successo. La voce del fiume però era così debole che dovettero aiutarsi con delle cannette palustri, chiedendo di abbassarsi fino a sfiorare il rigagnolo d'acqua. La Brenta sussurrò che le avevano sbarrato il corso con pali e terrapieni a Dolo che stavano portandole via la sua acqua. Gli elfi decisero di mettersi in cammino verso Dolo per cercare di aiutare l'amica Brenta. Chiamarono l'airone cinerino spiegandogli l'accaduto e quello si propose di portarli in volo per far prima.

Tra le case di Dolo gli uomini erano all'opera: falegnami, muratori, ingegneri stavano allestendo delle chiuse mentre il corso del fiume veniva deviato in un canale dritto dritto che si perdeva verso sud. L'airone deposito i piccoli amici nei pressi dello sbarramento ma in tutto quel via vai nessuno sembrava vederli o interessarsi a loro: asini e carri portavano carichi di terra, sassi e legname che veniva poi scaricato e messo in opera da squadre di operai. Solo un giovane garzone notò i piccoli esseri, affascinato e stupito. Gli elfi se ne accorsero e, invece di scomparire come sanno ben fare, si diressero verso il ragazzo, che si chiamava Cristoforo e gli chiesero in coro cosa stava succedendo e perchè avessero tolto l'acqua al fiume.

Ancora più sorpreso Cristoforo cominciò a guardarsi intorno per vedere se qualcun altro si fosse accorto del prodigio ma tutti continuavano intenti il loro lavoro. Gli elfi cantarono il loro disappunto e la debolezza della loro amica Brenta, ridotta a un filo d'acqua. Allora il ragazzo si sedette per terra un un posto appartato e, nascosto da una botte perchè nessuno lo vedesse parlare da solo, spiegò che la Serenissima Repubblica aveva deciso di deviare il corso delle Brenta fuori dalla laguna, perchè non portasse altri detriti. Aveva quindi ordinato ai suoi ingegneri di scavare un nuovo corso del fiume, dotato di argini, per portarlo al mare passando a sud della laguna, dalle parti di Codevigo.

Gli elfi restarono loro increduli questa volta. Se il buon Dio creatore e i suoi angeli avevano disposto così il fiume perchè l'uomo doveva ora deviarlo? Gli esseri umani avevano l'incarico di custodire il pianeta ma si erano consultati con gli angeli? Pareva proprio di no, come se pensassero di vivere in questo mondo da soli! Gli elfi decisero di andare, con l'aiuto dell'airone cinerino, fino a Codevigo e chiesero al giovane Cristoforo di accompagnarli per poter fare da interprete con gli altri umani. Il ragazzo arrossì di curiosità e imbarazzo. Come avrebbe potuto lui seguirli mentre loro volavano.

Gli elfi si avvicinarono alle acque vorticose della Brenta respinte dallo sbarramento e chiesero al fiume di aiutarli a rimpicciolire Cristoforo per poterlo portare con loro. La Brenta consentì e le sue figlie anguane distillarono una goccia d'acqua simile ad una perla azzurra. Una delicata mano femminile, dalle lunghe dita, uscì dall'acqua e la porse a Cristoforo che, ormai soggiogato dall'incanto, la prese e la ingoiò. In men che non si dica diventò piccolissimo e gli elfi lo portano in trionfo dall'amico piumato per sistemarlo al posto d'onore proprio all'attaccatura del collo dell'airone.

Cristoforo ammirò dall'alto i paesaggi che da anni percorreva, come garzone di un cartografo, per misurare, disegnare, verificare. Vide le campagne, le case, il fiume, i boschi, la laguna scintillante e laggiù Venezia. Arrivarono nei pressi di Codevigo seguendo il nuovo corso rettilineo del fiume. Gli argini alti e spogli venivano consolidati da altri operai. L'Airone atterrò poco lontano dall'abitato. Gli elfi, dopo una breve consultazione, chiesero a Cristoforo di intercedere per loro, visto che la loro fata li aveva abbandonati per la rabbia. Il ragazzo sembrava non capire: cosa avrebbe dovuto fare?

Gli elfi si guardarono tra loro delusi. Poi si decisero a suggerirgli che doveva pregare il Signore Gesù Cristo per chiedere aiuto su come risolvere questa situazione complicata. Cristoforo acconsentì un po' dubbioso in cuor suo di poter davvero essere utile. Le anguane gli porsero un'altra goccia cristallina colore verde che lo fece tornare alle sue normali, non enormi, dimensioni. Cristoforo si avviò verso la chiesa del paese ma arrivato al campanile notò una bella statua di Gesù in cima alla torre campanaria. Allora si inginocchiò e dopo avere recitato un pater chiese confusamente aiuto impegnandosi a rispettare i fiumi e che tutti gli esseri che vivevano attorno, anche quelli più minuscoli. Si sentì avvolgere da una presenza rassicurante e morbida come di due morbide ali e la statua, lassù, sembrò per un momento smuoversi e sorridere.

Poi un rapido bagliore discese verso Cristoforo: era l'angelo custode del fiume. Eh sì. pochi si ricordano che non solo gli esseri umani hanno un angelo custode ma anche tutti i fiumi e altri elementi ancora. L'angelo sorrise radiante e col pensiero comunicò a Cristoforo la sua benedizione e la sua gratitudine per averlo convocato. Poi si mise all'Opera secondo la Volontà che gli veniva ispirata. Per rispetto alla libertà umana accolse il cambiamento del corso del fiume. Consolò gli elfi e creò per loro un nuovo bellissimo villaggio in un canneto vicino a Codevigo. Parlò con la Brenta, la benedisse e la placò. Poi si volse verso Cristoforo e per ringraziarlo foggiò un copricapo di seta blu che non si sarebbe mai usurato e si sarebbe adattato alla sua testa crescendo. "A te Cristoforo Sabbadino dono questo cappello che ti permetterà sempre di vedere e parlare con tutti gli esseri invisibili che si occupavano del paesaggio perchè tu possa intimamente comprenderlo e proteggerlo".

Poi l'angelo si fermò. Sorrise e staccò una candida piuma dalla sua ala sinistra. La offrì all'airone cinerino che la accolse rispettoso: gli sarebbe servita per volare dritto nell'alto dei cieli quando si fosse stancato della vita terrena. Con un ultimo bagliore salutò tutti lasciando intendere che aveva ancora un compito importante da svolgere. Vi ricordate la fata arrabbiata? Beh stava seminando il putiferio tra gli abitanti della zona. L'angelo raggiunse la fata, sempre più scura e imbruttita dalla rabbia e da piacere che le procurava provocare guai sempre più grossi e pericolosi per le sue vittime. L'angelo le chiese di tornare ai suoi compiti e di perdonare gli esseri umani, rispettandone la liberà.

La fata si rifiutò sdegnosa. Al che l'angelo, ascoltando la Volontà del suo Signore, avvolse la fata e la accompagnò fino a una ricca dimora veneziana dove una donna della famiglia Foscari stava partorendo. Appena in neonato uscì dall'utero l'angelo costrinse la fata arrabbiata a incarnarsi in quella bambina per imparare a rispettare gli esseri umani, sperimentandone la difficile condizione. E quella bambina divenne una donna irascibile. I suoi genitori la relegarono allora nella villa che avevano costruito vicino al nuovo naviglio Brenta. Per anni visse in una ala riservata, con un giardino incolto dove nessun giardiniere aveva il permesso di tagliare un solo filo d'erba. Per il suo carattere inquieto tutti la soprannominarono la Malcontenta e il nome poi passò alla villa.

Se questa storia dedicata alla Brenta ti ha incuriosito forse ti piacerà il mio libro "La Forma dell'Acqua: pellegrinaggio a risalire la Brenta 2012" (vedi la scheda)

martedì 11 febbraio 2014

Fermare lo stupro di Venezia

Venezia città mondiale, Venezia decadente e perduta, prostituta del turismo di massa, servetta di eventi culturali preconfezionati ma ancora bella da far innamorare, da accendere il cuore e muovere i piedi di molte persone. Marghera fu devastata nel Novecento, sacrificata sull'altare dello sviluppo industriale, della chimica di sintesi e del porto commerciale. Venezia già da un secolo prima veniva seviziata e progressivamente ridotta ad un campo di gioco per gli abbienti di ogni provenienza.

La fine dell'insularità a Venezia, prima con la ferrovia ma soprattutto col ponte automobilistico (inaugurato ironicamente il 25 aprile 1933) ha esposto questa delicata struttura alla più insidiosa delle invasioni che nella sua storia abbia dovuto fronteggiare: quella dell'industria pesante del turismo di massa, che livella, intasa e ingoia ciò che sfrutta riducendo a poltiglia le comunità, alzando i prezzi delle case, intasando di negozietti di ninnoli insulsi prodotti chissà dove.

Venezia ha in sè la capacità di vivere ancora una vita autonoma? Oppure è destinata a diventare un villaggio turistico, una lagoonDisneyland? O ancora un quartiere della vitale e grande Mestre? Me lo chiedo da anni, ci sono dei semi che tessono coraggiosamente e festosamente legami di comunità. La Giudecca e Castello ancora difendono una loro dimensione vitale, Lido si scopre capace di lottare, Burano ancora sogna mentre S.Erasmo affonda e Murano si spegne piano.

Io credo che sia possibile per le comunità insulari che hanno dato vita al "progetto Venezia" attorno al Ponte di Rialto riprendere il filo di quel sogno acquatico di bellezza, equilibrio, indipendenza. A patto di saper integrare le nuove comunità che stanno colonizzando venezia: prime la fra tutte quella cinese, poi quella ebraica internazionale. E poi affrontare con coraggio il tema dell'insularità, dell'agricoltura e dell'allevamento in laguna, della condivisione della ricchezza del turismo, del limite necessario da imporre agli accessi.

Venezia è nelle tue mani! Proprio di te che ci vivi! Partecipa il 12 febbraio alle 14.30 - 17.30 a "Venezia, il Giardino di Giada". E' un laboratorio itinerante sul paesaggio emotivo dedicato alla città lagunare e alla sua rinascita come entità creativa e come comunità insulare. L'attività è rivota ai soci di Amico Giardiniere e convenzionati (ma è possibile tesserarsi al momento). Prenotazione obbligatoria al 328 7021253