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martedì 21 gennaio 2014

Il tramonto di Jesi

Il 26 dicembre scorso sono stato per una breve visita a Jesi. Speravo di incontrare alcune vecchie compagne di strada ma, con l'implacabile puntualità del destino, mi sono ritrovato senza guide indigene ad ascoltare quei luoghi che mi avevano accolto negli anni scorsi durante importanti espansioni di coscienza. Sono arrivato al tramonto, un magnifico tramonto invero.
Non credo che nessuno qui abbia la stessa capacità di ascoltare il linguaggio elementare che scrive nei paesaggi, nelle piccole sincronie le stesse dinamiche che si studiano con complicati calcoli e difficili osservazioni del movimento degli astri. Solitudine 0 opportunità. Ho lasciato libero l'istinto senza dover spiegare o condividere con chi vive su altre frequenze. Jesi è un antico tempio del femminile potente. Aveva il compito di nutrire e formare un certo numero di "Jesus". Ora quel numero è completo.
Sono andato a visitare alcuni luoghi con cui avevo già seminato rapporti di confidenza. Già due anni fa mi era arrivato chiaro il messaggio che per costruire bisogna distruggere. Cominciava allora una fase di demolizione. Come spesso accade la semplicità del linguaggio elementare nascondeva una quantità di connessioni e significati su cui, allora, non mi soffermai. Qualcosa è morto. Forse ci si è illusi di poter costruire chissà quale struttura caleidoscopica su un cadavere privo di forza vitale. La clematide che ha colonizzato questo gelso secco forse si illude di poter toccare il cielo ma dovrà ricadere prima o poi svegliarsi dalla sua finzione sopportandone le conseguenze.
Raggiungo la piazza più famosa della cittadina: quella dedicata a Federico II di Svevia che qui nacque. Al centro un obelisco circondato da leoni (ma sembrano più leonesse) e pesci. Federico nacque proprio un 26 dicembre, ma del 1194, 819 anni fa. Di imperatori ormai non ce ne sono più, ma ancora uomini capaci di usare con discernimento la propria autorità. Non ricordavo coscientemente quella data e comincio a capire l'urgenza con cui avevo riconosciuto questo come il giorno giusto per venire a Jesi.
Avevo fantasticato di venire qui da mediatore, per raccogliere i pezzi preziosi di un complicato puzzle ma devo accettare che un'epoca è finita, che molto deve essere disfatto e il dado è stato lanciato. Mentre l'oscurità incombe, segnali di nuova vita, di nuove opportunità evolutive mi vengono incontro. Là dove il vecchio gelso moriva giovani pioppi neri si affrettavano a colonizzare il prato per creare un vero e proprio boschetto. Irriverenti e leggeri nel vento della sera, canticchiavano un saluto a questo lungo autunno. Erano fieri di sè e intenti a conquistarsi il loro posto al mondo.
Perchè sono qui? Per offrire a questa terra la mia energia, la mia benedizione, per annunciare ciò che alcuni aspettavano, che alcuni temevano e molti ignoravano: i fauni sono tornati! Più saggi, più umili ma implacabili e temibili nel diffondere l' impulso che è stato loro affidato. Vado anche a salutare il fiume Esino e offro anche a lui nuove forze per riprendere la voce gagliarda di un tempo, per chiamare a sè i suoi figli perchè lo risanino. Mi viene in mente il suo triste destino a Fabriano dove le cartiere lo devastano e la città lo ha tombinato per non vedere lo scempio. Tutto questo deve cambiare e cambierà. Parola di fauno!

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