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sabato 5 gennaio 2013

Oltre la siepe: le funzioni ecologiche dei nostri giardini

Ho vissuto intensamente questi 7 anni di lavoro, studio e ricerca sui giardini. Ho fatto una gavetta intensa: sono diventato manutentore, poi operatore del verde, giardiniere responsabile di un parco, giardiniere in proprio, arboricoltore, progettista, geomante, consulente e formatore. La mia visione del verde urbano si è mano a mano ampliata: dal giardino al parco storico, dai parchi pubblici alle aiuole stradali, dai fossi di scolo alle terrazze fiorite. Mi sono messo ad osservare con interesse persino le aree dismesse e le erbe pioniere che tenacemente crescono nelle crepe dell'asfalto. Tutti questi scenari, così diversi, si sono integrati nella visione possibile di un paesaggio densamente antropizzato. Un paesaggio capace di ospitare ampia biodiversità e di svolgere funzioni ecologiche che sono state sconvolte dalle nostre lottizzazioni, dalla gestione meccanizzata delle campagne e dalle nostre infrastrutture, soprattutto quelle degli ultimi 100 anni. E' molto importante acquisire una visione storica e ecologica del territorio: così può trovare pace il catastrofismo. E' ora di seminare speranza e di costruire il nuovo paesaggio armonico.
I processi naturali non conoscono la parola fallimento o fine, sono in continuo mutamento, più che cicli chiusi e ripetitivi sono spirali in continua evoluzione e cambiamento. Diceva una grande verità il saggio cinese Lao Tzu quando affermava che l'unica costante osservabile sul piano materiale dell'esistenza è il mutamento continuo. Gli faceva eco negli stessi anni (circa 2500 anni fa), con sfumature originali e ricche di insegnamenti, il greco Eraclito. Ho sperimentato questa verità in molti contesti, in particolare quando mi sono preso cura per anni di un preciso pezzo di terra. Si crea un rapporto di interazione continua che può arricchire o impoverire l'insieme. Inoltre, nei cicli naturali, non esistono confini delimitati ed esclusivi come quelli che tracciamo tra il "mio" e il "tuo". Là dove territori diversi si incontrano ci sono aree di transizione, membrane più simili a quelle cellulari che alla muraglia cinese. Aree di incontro, scambio, filtro e regolazione. Applicando questo approccio ai giardini emerge una nuova prospettiva: se guardo oltre la siepe mi accorgo che tutti i cicli viventi che si svolgono nei miei confini fanno parte di scambi ancora più grandi e in grado di influenzare tutto il paesaggio intorno.
Le nostre piante producono ossigeno per tutti e fissano l'anidride carbonica e altri inquinanti senza chiedere da dove vengano. Insetti, uccelli, roditori e piccoli rettili si spostano tra i giardini come oasi in mezzo al deserto. Spesso però trovano cibo avvelenato: gli insetti che sono la base di un'ampia catena alimentare vengono perseguitati e avvelenati, portando le macabre conseguenze di questa implacabile lotta alla vita biologica nella pancia dei loro predatori uccidendoli (le colorate cince, le coccinelle, le agguerrite vespe e altri ancora). Ancora più amara la sorte degli insetti che si nutrono dai nostri fiori: api, farfalle e altri impollinatori cadono stecchiti per i nostri trattamenti contro afidi e bruchi (che sono le stesse farfalle in uno stadio di sviluppo precedente). Attualmente se analizziamo il quartiere di una città scomposto nei brandelli in cui lo suddividono i confini di proprietà troveremo un numero ristretto di varietà, qualche albero troppo potato, siepi monospecifiche, prati concimati e tagliati corti corti, aiuole di piante esotiche tanto di moda. Sempreverdi in abbondanza, che ci illudano che il tempo non passa.
Carini questi giardini fatti con lo stampino e con le piante tanto di moda. Carini ma poveri, monotoni, composti da piante fragili. Per tenere "tutto in ordine" le piante che formano le siepi sono potate 2-3 volte l'anno come muri verdi e non riescono a fiorire (addio nettare) e neanche a produrre bacche (addio cibo invernale). Nei prati tagliati tutte le settimane non si sviluppa la ricca varietà di erbacee da cui le nostre nonne sapevano trarre cibo e medicina. Guai se il tarassaco o il trifoglio fa capolino tra i fili di graminacee (poa, festuca e poche altre). I giardini vengono spesso scolpiti e modellati come fossero architetture minerali e perenni. Fino a quando saremo così freddi e schematici sarà impossibile innescare la formazione di un nuovo paesaggio armonioso in cui ogni proprietario diventa custode di un bene più prezioso e più vasto del suo giardino: custode dell'intero paesaggio vivente in cui vive, lavora, alleva i suoi figli e muore. E sì, muore. Mi dispiace ricordare questa incresciosa condizione ma qui sulla Terra tocca a tutti lasciare il corpo, i soldi, la casa ecc. ecc. Lasciamo il posto a qualcun altro.
Perchè allora non cominciare a riscaldare col nostro cuore una visione più ampia e accogliente, che includa noi, i nostri antenati, i nostri discendenti, gli alberi, le api e gli uccelli? Perchè non guardare curiosi oltre la siepe e chiedersi semplicemente come possiamo interagire positivamente con tutto il paesaggio attorno? Se diventassimo più tolleranti con insetti, uccelli e altri animali? se coltivassimo siepi miste (inserendo anche biancospino, ligustro, corniolo e altre specie boschive) e le lasciassimo sviluppare in forme più libere che possano fiorire e far bacche? Se lasciassimo un angolo di prato tranquillo, da sfalciare una volta l'anno. Prendiamo le cose con più calma, nutriamo gli uccelli d'inverno, raccogliamo erba e foglie in un angolo a compostare e ridiamo quello stesso materiale alla siepe, agli alberi e alle aiuole. E se ci fermassimo a scoprire le sorprese che la nostra gestione più rilassata ci porterà? Allora, da questi angoli della città, si formerebbe un tessuto contagioso di cibo, semi volanti, fertilità che contagerebbe il grigiore attorno e ci insegnerebbe forse a goderci ogni stagione della vita, anche quel lento tramonto che ci prepara all'ultimo viaggio.

Testi e foto di Francisco Panteghini
Mediatore Elementare
Consulenze di Ecologia Olistica

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