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martedì 18 ottobre 2011

Ti ricordi Asmè?

Sono uscito a far due passi per smaltire il malumore: in dieci minuti mi sono ricordato di non aver pagato una rata irpef e mia madre mi ha avvisato che è arrivata una multa. Faccio due passi, cerco un posto tranquillo che mi aiuti a ricentrarmi. Attraverso viale Vespucci, a Mestre, per esplorare il canale lì accanto. Erbe alte, bottiglie rotte, qualche approdo per barche isolate. D'un tratto una gatta elegante, di nero e beige striata con una stella bianca in fronte mi fissa tra le sterpaglie. La saluto e la supero sbirciando il pontile lì vicino. Oltrepasso il guardride per raggiungere il pontile con la speranza di aver trovato il luogo dove ristorarmi ma sento un tonfo e mi giro.

Asmè, la gatta, è stesa sull'asfalto mentre la macchina si allontana. Mi avvicino come sognante, altre macchine stanno arrivando ma io quasi non le vedo. Mi chino, incredulo, è proprio la stessa gatta, forse l'ho spaventata? La trasporto a bordo strada e mi accorgo che ha preso un colpo in testa ma ha anche l'ano sfondato. Eppure mi sembra che respiri ancora, le tengo una mano sul ventre caldo, sento il cuore e resto là, di sale. Prego per lei e sono ancora
intorpidito. Mi si avvicina un pescatore, gli chiedo se c'è un veterinario vicino. Lui stupito scuote la testa e dice che ormai non c'è niente da fare, protesta contro chi non si è fermato e dice che lui, da cacciatore, non sopporta l'agonia degli animali e le avrebbe dato una morte veloce piuttosto. Se ne va ed io resto, stupito di me, immobile e attonito. Ricordo una scena simile, aver assistito impotente all'agonia di un altro gatto qualche anno fa.




Poi mi viene in mente anche un mio malore in auto: avevo accostato e mi ero accasciato a vomitare sul marciapiede alle 2 di pomeriggio ed ero rimasto là semisvenuto. Sono passate almeno quattro persone e nessuna mi ha soccorso. Quella volta sono riuscito a estrarre il cellulare e chiamare aiuto. Quest'ultimo ricordo mi scuote, non mi volterò dall'altra parte come il sacerdote del tempio o il levita. Trovo una tavoletta di legno, sposto Asmè e la porto in furgone. Parto verso casa di Dio: dove troverò un veterinario alle otto di sera? Chiamo un amico e lui sa proprio di una clinica, dedicata a S.Francesco, qui a due passi in via Paganello.

Ci arrivo in pochi minuti, una dottoressa che sta prendendo servizio accorre e mi apre le porte ma la sua collega esperta, appena la poso sul tavolo scuote la testa, la ausculta e poi mi conferma che Asmè ha reso l'anima al grande Spirito dei Gatti. Propongo di seppellirla, la dottoressa riflette e si consulta ma preferisce consegnarla domani perchè venga incenerita. Non insisto, anche se io preferisco riconsegnare il mio copro alla terra e non vederlo finire in fumo. Esco col passo strascicato, gli occi ora finalmente velati di lacrime che non scenderanno però. Accosto dopo poco, mi appoggio ad un bell'acero riccio e do parola a questa esperienza.

Ho cercato un nome per la gatta e per un istante mi è sembrato di averla accanto che si leccava una zampa e mi ha ispirato un nome lungo e complicato, forse egizio. Io ho tagliato corto con Asmè e lei è parsa soddisfatta. Cosa sei venuta a insegnarmi cara Asmè? Non provo rabbia per chi ti ha investita, sembrava un incontro di destino, ma mi pesa questa grigia malattia fredda e strisciante fatta di velocità, macchine, asfalto. Forse io posso ancora guarire perchè è morta con te un po' della mia indifferenza alla sorte degli amici animali. E pensare che nel 2008 ho fatto per un anno il pendolare: Treviso - Piavon di Oderzo. Avevo notato stupito che quasi ogni giorno incappavo in un animale morto sulla strada.Qualche volta mi sono fermato a spostare il corpo a bordo strada. Poi ho cominciato a mandare una breve preghiera che dico tuttora "Pace alla tua anima e all'elementare del tuo corpo".

Avevo persino cominciato una macabra contabilità delle vittime. In circa 200 trasferte ho salutato poco meno di cento gatti, una decina di ricci, qualche pantegana, un paio di civette, tortore, gazze, fagiani e persino una cornacchia, probabilmente travolta nell'espletamento della sua funzione di beccamorti. Chissà se la famiglia ha ricevuto qualche indennizzo o una medaglia al valore civile. Ecco che l'amara ironia porta a galla un filo di rabbia. Mi son rotto del valore sproporzionato che diamo alla vita umana disprezzando tutte le altre. Gesù rincuorava i suoi dell'Amore del Padre che nutre i passeri e veste i gigli dicendo: "Voi che siete i figli, non valete forse più di molti passeri?". Mi ha sempre colpito che dicesse "molti" e non "tutti". Come a dire che tutto ha un peso e forse, aggiungo io, che l'estinzione di un'intera specie è più grave della morte di un uomo. Abbiamo costruito una società dove solo una parte degli esseri umani ha diritti e possibilità. Un po' come la celebre democrazia ateniese, dove le donne, gli schiavi e gli stranieri non avevano diritti. Beh... a me non piace questa società che non accoglie tutti, umani e non, i viventi che insieme condividono questa esperienza sul nostro pianetino blu. Perchè non ne facciamo un'altra fondata sull'amore, la lentezza e pandemocrazia di tutti gli esseri visibili e invibili?

2 commenti:

  1. grazie, questo momento vissuto mi ha fatta piangere d'amore.

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  2. anche se espando la coscienza e vedo il mutamento continuo e supero la paura della morte, porta di passaggio, mi addolora il senso di impotenza davanti alla sofferenza insensata. grazie a te!

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