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venerdì 10 dicembre 2010

Come sono partito per parlare con gli alberi...

Da ragazzo ho investito grandi energie nei giochi di ruolo di mondi di magia, elfi, draghi e maghi: dalle letture fantasy ai giochi di ruolo (Dungeons and Dragon). Nel cuore ho sempre desiderato che tutto quel mondo incantato esistesse per poter riscattare il grigiore della quotidianità. Vivevo in Valcamonica, terra che oggi riconosco profondamente incantata, ma pur vivendo nel verde lo davo per scontato. Ero così distratto dalle mie fantasie.

Il mio vero e vitale incontro con la natura è arrivato durante due anni difficili di continue depressioni, ho demolito la mia vecchia personalità, ho abbandonato la carriera di insegnante di lettere e in questa cappa nera che sentivo uno dei pochi sollievi era stare in mezzo agli alberi, imparare i loro nomi, riconoscerli, toccarli. E così sono diventato giardiniere.

Sono cambiate tante cose, quel periodo terribile mi ha riaperto anche alla rierca spirituale dopo anni di comodo agnosticismo e una gioventù da anarcoide materialista. Ho affrontato alcuni libri si Rudolf Steiner e ascoltato Enzo Nastati: benzina sul fuoco. Bisogna essere pronti per certe cose, ti bruciano dentro e rischi di far danni. Dopo parecchio tempo sono riuscito a riprendere in mano Steiner e capire qualcosa, ma soprattutto stare con i piedi ben piantati in terra, verificando nella mia esperienza le sue potenti visioni.

Il suo libro sulle “Entità spirituali nei corpi celesti e nella natura” mi ha fatto nascere il desiderio di sviluppare la percezione delle presenze da lui descritte. E' arrivato poi, consigliato da un saggio maestro trevigiano il bellissimo “Dialoghi con gli spiriti di natura” (Gesprache mit den Naturgeistern) di Verena Stael von Holstein. Mi ha fulminato. Lo leggevo e rileggevo. Lo leggevo spesso all'aperto sperando che qualche essere si manifestasse. Ma come potevo sviluppare la percezione? Come?

Ne parleremo nel gruppo di discussione Non siamo soli che ho aperto su facebook, se vuoi partecipare scrivimi a pace@amicogiardiniere.it

martedì 23 novembre 2010

San Martino riscoperto


11 novembre si festeggia S.Martino di Tours. Il culto del santo si è diffuso al seguito dell'espansione prima carolingia e francese poi. L'iconografia tradizionale immortala il gesto con cui Martino, in sella al suo cavallo, taglia in due il suo mantello per condividerlo con un mendicante in una fredda giornata invernale. A questo gesto di fraternità e calore umano viene associata la dolce “estate di S.Martino”, gli ultimi giorni di bel tempo e tepore prima della cammino definitivao verso il freddo e tenebroso l'inverno. Il 29 settembre si è festeggiata la Luce con i santissimi arcangeli, primo fra tutti Michele (il Sole), per fare una bella scorta da potare fino a Natale. Poi è arrivata la notte del 31 ottobre, con la possibilità di contattare consapevolmente gli esseri umani trapassati e altri esseri del sottosuolo. Ora arriva S.Martino: la celebrazione del calore, quello che fa maturare i frutti e che è la figura dell'amore fraterno sul modello della parabola del buon Samaritano.

La festa di S.Martino era di grande importanza nel mondo agricolo. Segnava la conclusione dei lavori nei campi, ci si incontrava per vendere, comprare e scambiare le ultime provviste prima dell'inverno. Si potevano tirare le somme e fare nuovi progetti con la manodopera libera dalla cura dei campi. In Veneto, come in molte altre terre, era il giorno in cui i mezzadri andavano dal padrone a portare la quota di spettanza e a contrattare il rinnovo dei contratti o i cambiamenti opportuni. Era quindi un momento di festa ma anche di tensione sociale perchè i rapporti di potere tra possidenti e semplici coltivatori venivano rimarcati. Ben rappresentava il gesto del mantello tagliato la divisione dei prodotti della terra data a mezzadria. I signori rimarcavano i loro diritti e di certo si identificavano col nobile Martino che, dall'alto del suo cavallo, poteva degnarsi di condividere col povero le sue ricchezze.

Una nuova comprensione del gesto del santo mi ha raggiunto vedendo la rappresentazione di Cima da Conegliano. Martino a cavallo procede verso la sinistra dell'osservatore. Divide il mantello rosso con la spada. Il mendico è quasi nudo e barbuto, sembra manifestare la polarità del maschile di contro a un Martino morbido e femminile. Le tre figure (cavaliere, cavallo e povero) disegnano una diagonale dall'alto a sinistra dove trionfa un monte dalla forma curiosa, come una torre con colonne, che il mantello completa come un flusso rosso che scende dall'alto. Se osserviamo con attenzione sono presenti nel dipinto tutti gli elementi: il monte (terra), il cielo con le nuvole (molte concentrate sopra Martino), l'acqua sotto la pancia del cavallo ed il calore del rosso mantello.


Il quadro rappresenta un sistema secondo me, parla della struttura dell'anima umana riordinata: il sentire - cuore Martino, il pensiero purificato che lo serve (il cavallo bianco) e l'anima senziente, l'istinto. In un'anima così ordinata può fluire l'Amore. Azzardo anche una lettura più ampia, un incitamento: l'umanità si è servita delle forze di pensiero (il cavallo) per forgiarsi l'intelletto (la spada) che gli ha permesso di sviluppare il libero arbitrio. Ora è il momento di usare questi strumenti per donare qualcosa a tutto il mondo di natura (il mendico, nudo perchè in sintonia con la madre terra) che abbiamo allontanato per poter fare la nostra evoluzione separata. Cosa doneremo? L'Amore consapevole che nasce dalla libera scelta e non dalla incosciente armonia con l'universo. Così potremo offrire il più alto risultato risultato dell'essere umano, aver realizzato il comandamento dell'Amore che abbiamo ricevuto da Cristo Padre, che Martino manifesta col panno rosso all'altezza del cuore sul pettorale dell'armatura.

mercoledì 10 novembre 2010

Guerrieri spirituali

Continuando la riflessione sulla spiritualità maschile non può mancare una riflessione sulla tradizione occidentale del guerriero per la difesa della propria fede, che le crociate hanno esaltato e cristallizzato in pochi tratti. Senza voler essere esaustivo possiamo ricordare le commistioni tra fede e spada nella leggenda dell'imperatore Costantino che sogna la croce con una voce dal Cielo che proclama “sotto questa insegna vincerai”. Le vite dei santi ci offrono una ampia schiera di martiri e santi guerrieri, guidati idealmente dall'Arcangelo Michele, il Principe delle Milizie Celesti, colui che seppe precipitare il drago sulla Terra (e non nella Terra, cioè sulla sua superfice dove ha potuto crescere e moltiplicarsi...). Una figura (nel senso medievale, come dire un avatar secondo la tradizione indù) di Michele è S.Giorgio che cavalca indomito contro il drago che si ciba di vergini e salva la principessa. Altro santo guerriero è S.Martino, di cui domani si celebra la festa e di cui spero scriverò presto. Un'evoluzione del connubio tra tradizione guerriera e servizio religioso è S.Ignazio da Loyola, ex militare che fondò la Compagnia di Gesù, fedeli ai superiori e quindi al papa “deinde ac cadaver”, cioè come se fossero corpi privi di vita autonoma.

Ma l'icona del guerriero della fede è costituito dal crociato che per antonomasia è il cavaliere templare: il monaco guerriero, servitore di Dio e impeccabile soldato, disposto al sacrificio e alla battaglia anche in condizione di schiacciante inferiorità numerica. Molti hanno scritto sui templari ma pochi ne hanno compreso la missione storica e la vocazione di quelle anime. Di certo è vero che alcuni templari furono mistici e ricercatori esoterici, nel profondo del cuore cercavano la Verità oltre ogni forma e ogni dogma e se si confrontavano sui campi di battaglia con soldati di altre confessioni religiose cercavano la profonda sintesi e gettavano ponti perchè l'umanità riconoscesse l'unico Dio Padre, invisibile e presente in ognuno (Dio-Io). Credo che proprio il loro sincretismo li espose alla persecuzione della chiesa cattolica, unita agli appetiti del re di Francia. Sembra questa la martoriata vocazione della Terra Santa: condurre l'umanità a riconoscere la relatività delle singole immagini di Dio proposte dalle diverse tradizioni per raggiungere una consapevolezza più elevata, frutto della ricerca e dell'esperienza interiore di contatto col Divino in Noi.


Molti sono i santi che vinsero il drago (l'ego?) come S.Benedetto da Norcia che lasciò un'apposita preghiera il cui acronimo è NDSMD (Non Draco Sit Mihi Dux: che non sia l'ego a guidarmi). Ma il più grande santo guerriero, nel senso più puro del termine è San Francesco d'Assisi. La mia affermazione potrà stupire ma bisogna ricordare che questo giovane borghese, di madre francese, crebbe nel mito della cortesia e della cavalleria: nella giovinezza alternò la galanteria con il duro allenamento per diventare cavaliere, e fu solo dopo le esperienze di guerra e di prigionia che maturò il rinnovamento di questa sua vocazione guerriera: la ferrea disciplina e l'esercizio divennero autodisciplina delle proprie passioni e astinenze durissime. La conferma della continuità tra la vocazione guerriera e quella spirituale viene anche dal culto tutto speciale che il santo coltivò per l'arcangelo Michele: praticava una speciale quaresima nei quaranta giorni prima della festa a lui dedicata (29 settembre). Proprio in una di quelle astinenze ricevette le stimmate sul monte Verna. Altro indizio è la partecipazione di Francesco alle crociate (partì da Venezia e restò via quasi due anni). Curiosa continuità: padre Pio fu a sua volta un fervente devoto dell'arcangelo Michele.

venerdì 15 ottobre 2010

Lottare e Amare


Sublime esempio di spiritualità maschile è il re Davide, agile e bello, valoroso in battaglia, amante appassionato ma anche interprete della sua voce interiore, del suo Signore, cui canta con la bella voce accompagnandosi con la cetra e la danza:

"Il Signore è la mia roccia,
la mia fortezza, il mio liberatore,
il mio Dio, la rupe in cui mi rifugio,
il mio scudo, la mia salvezza, il mio riparo."
(Samuele 22,3)

La sua immagine di Dio è prepotentemente maschile, Davide adora il principio divino maschile, il Signore degli eserciti, che colpisce gli empi e tiene fede alle promesse fatte a coloro che lo temono. Non c'è misericordia o perdono nella sua immagine del divino: Dio è giustizia, dà a ciascuno secondo i meriti o delitti.

"Il Signore mi trattò secondo la mia giustizia,
secondo la purità delle mie mani alla sua presenza."

E' profonda questa riflessione di Davide: il Signore (il mio Sè), mi tratta secondo il giudizio che do a me stesso, secondo la purezza che ha mosso le mie azioni. Questo Dio non giudica ma lascia che "sia fatto secondo la tua volontà" come spiegherà poi Gesù Cristo, ovvero per rispettare la libertà individuale lascerà che si creino le conseguenze delle nostre azioni sante o folli che siano, affinchè la nostra giustizia possa accrescersi e noi possiamo evolvere. E' il concetto del sistema evolutivo legato al karma.


Il dovere di ciascuno è quindi di agire secondo giustizia, ovvero la più alta idea di giustizia di cui ha consapevolezza in quel momento evolutivo. E qui ritroviamo il concetto induista del Dharma (agire secondo i propri doveri). Nel suo lungo regno, 7 anni a Hebron e 33 a Gerussalemme, Davide evolverà passando attraverso guerre, gravi delitti, ribellioni interne,, passioni, odi tradimenti fino ad incarnare, nella vecchiaia, l'equilibrio e la pace interiore. Solo allora, alla fine del percorso renderà vere le parole del salmo in cui canta:

"chi governa gli uomini ed è giusto,
è come la luce del mattino al sorgere del sole,
in un mattino senza nubi,
che fa scintillare dopo la pioggia
i germogli della terra."

Ed infatti prima di morire scelgierà tra i suoi figli quello più adatto e lo designerà suo successore, consolidandolo al trono in modo da evitare nuove lotte intere: su queste basi potrà infatti regnare Salomone.

Ma Davide fu prima di tutto l'eletto del Signore, colui che ne intendeva la Parola ed eseguiva i suoi comandi, colui che poteva chiedere consiglio al suo Dio certo di ottenere risposta. Ed è lui infatti che trasporta l'Arca dell'Alleanza a Gerusalemme, precedendola a piedi, cantando e danzando seminudo circondato alla folla degli Israeliti e dei Giudei. Davide riuscì, al termine della sua vita, ad incarnare un modello di perfezione maschile che viene rappresentato simbolicamente dalla stella di David, detta anche scudo di Davide o, ancora, sigillo di Salomone. Non ci sono notizie sicure sulla sua origine, non è nemmeno certo che sia direttamente collegato alla figura del grande re. Le sue letture sono molteplici ma indiscusso è il suo potere, anche nella forma tridimensionale con due tetraedri compenetrati. La stella è costituita da due triangoli: uno, che ha la punta rivolta verso l'alto e personifica il principio spirituale, a cui viene sovrapposto un altro triangolo, che ha la punta rivolta verso il basso e rappresenta il principio corporale in una perfetta integrazione ed equilibrio. E così il più potente re della storia di Israele, mai vinto in battaglia, non disdegnava di umiliarsi alla presenza del suo Signore, comporre e cantare salmi con la stessa voce con cui sedusse innumerevoli donne. Della sua sensualità Davide fece la sua forza, ponendola al servizio di ispirazioni e destini più vasti di lui.

mercoledì 15 settembre 2010

Modelli per il maschile: l'uomo selvatico

Lo psicoterapeuta Claudio Risè ha tracciato sapientemente nell'omonimo libro il modello dell'uomo in contatto con la sua forza istintiva, la sua aggressività, la sua ricerca spesso solitaria e il suo confronto continuo con la natura. Si tratta di un archetipo antico capace di ridare agli uomini il contatto con la loro energia primaria, offrendo sicurezza nei propri mezzi e la forza necessaria per affrontare ogni sfida che la vita offre. Si tratta di sviluppare un sesto senso per ciò che è essenziale, di ritrovare quella voce interiore che ci spinge a proclamare al mondo senza paura ciò in cui crediamo.

Un buon esempio di uomo selvatico è Giovanni Battista: vive in solitudine, nel deserto, vestito di peli di cammello (la parte istintuale) e si ciba di cavallette e miele selvatico. Sembra più un orso che un orso che un uomo. Ma proprio da quell'energia incontenibile che ha risvegliato in sè prenderà avvio la sua predicazione contro le ipocrisie e le ipocrisie del suo tempo, predicando un ritorno all'essenzialità e alla responsabilità individuale. Senza timore dei potenti dice chiaramente ciò che pensa. L'energia di Giovanni Battista impersona un aspetto essenziale della spiritualità maschile. Bella la lettura che ne dà Anselm Grun, nella galleria di archetipi maschili biblici intitolato efficacemente "Lottare e amare".

Ma Giovanni resta il precursore, l'energia della personalità che si prende le sue responsabilità, denuncia i compromessi e si mette in cammino verso il cambiamento. Il vangelo di Luca (3,1 e seguenti) riporta bene il senso della sua predicazione.

"La gente allora gli chiedeva: che dobbiamo fare?
Egli rispondeva: chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha cibo faccia altrettanto.
E vennero dei pubblicani per essere battezzati, e gli chiesero: Maestro, che dobbiamo fare?
Egli rispose loro: Non esigete niente di più di quello che vi è stato comandato.
E pure alcuni soldati gli chiedevano: E noi, cosa dobbiamo fare? Egli rispose loro: Non estorcete nulla a nessuno, nè pronunciate false accuse: accontentatevi delle vostre paghe.

Sono tutti uomini quelli che chiedono consiglio a Giovanni, che pretende rigore morale ed essenzialità. Mi sembra molto interessante la lettura interiore che ciascuno può fare: nel momento in cui riesce ad affrancarsi dai condizionamenti familiari per manifestare la sua personalità, ecco che tutti i suoi bisogni, i suoi pensieri, le sue azioni passate e le sue abitudini gli si fanno incontro per chiedere di essere portati ad un livello di coscienza superiore. Portare ordine in se stessi (cioè raddrizzare le strade del Signore, la nostra Verità interiore) e agire con umiltà (abbassare ogni monte) ma con determinazione senza cedere allo sconforto (ogni valle sia riempita). Per evolvere ulteriormente l'uomo ha bisogno poi di imparare ad amare. Un personaggio emblematico in tal senso è il re Davide di cui scirverò presto.

lunedì 13 settembre 2010

Uomini e Donne


Le donne sono più longeve. Le donne sono più precoci nello sviluppo. Le donne sopportano meglio la fatica e lo stress. Le donne stanno entrando in tutte le professioni maschili, esercito compreso. Ma gli uomini cosa fanno nel frattempo? Guardano le partite alla tv, bevono e aspettano che la mamma prepari la cena? Scherzi a parte viviamo in un momento di grande trasformazione, le donne stanno conquistando sempre maggiori spazi e spesso gli uomini si sentono intimoriti e confusi sul loro ruolo. Sono convinto che la società patriarcale affermatasi in occidente negli ultimi 5-6000 anni stia vivendo una crisi grave che ha un potenziale di sviluppo veramente notevole: la costituzione di una società dove, finita la guerra tra i sessi, cominci la collaborazione tra i sessi. Ma affinchè ci sia un dialogo e una collaborazione ci devono essere interlocutori solidi, non in crisi di identità o alla rincorsa di modelli fasulli.

Io credo sia molto stimolante e utile una divisione, non rigida, di ruoli tra uomo e donna. Non penso a quella ereditata dalla società contadina dei nonni (le "femene" a servire l' omo, el paron) ma piuttosto a quella ispirata alla cortesia medievale: il maschile guerriero educato ed ispirato dal femminile amorevole. Sono ben consapevole che le categorie maschile-femminile hanno valenza universale e che in ciascuno di noi convivono elementi dell'uno e dell'altra. Al principio maschile corrisponde la nostra parte destra, il coraggio, la razionalità, l'attività, la solarità, il fuoco, la vista, l'autorità, la forza, la linea. Al femminile associo la parte sinistra, la compassione, l'intuizione, l'adattabilità, la notte, l'acqua, l'udito, la maternità, l'accoglienza, il cerchio. Yang e Yin. Indispensabili ambedue nella loro diversità per far evolvere l'umanità e l'universo. Le polarità però devono essere entrambe forte, come due poli di una batteria: per far fluire l'energia ci deve essere differenza di potenziale! Ognuno deve sviluppare i suoi doni unici.

Che ne sarà di queste ultime migliaia di anni di predominio maschile? di guerre e di violenza? i maschi escono sconfitti? se non sanno cambiare i loro modelli di riferimento e lasciare sensi di colpa e incertezze si spengono, perdono energia. Hanno commesso così tanti errori... ma sono state esperienze che hanno anche offerto una crescente capacità creativa dell'umanità per ora sviluppato soprattutto sul piano materiale (scienza e tecnica), troppo spesso slegata dagli equilibri sottili dei cicli naturali e della lenta evoluzione delle anime umane. Proprio nel recupero del proprio intimo rapporto con la natura credo ci sia la strada maestra per recuperare e sviluppare un maschile sano ed energico capace di collaborare col femminile che ritrova la sua sacrosanta centralità nella nostra vita sociale, politica (speriamo!) e spirituale (il ritorno della Dea... ma anche del Cristo eterico!!!).

lunedì 30 agosto 2010

Perchè "La Piave"?

Ieri sera a coronamento di una bella serata in compagnia Simone mi ha chiesto perchè insistevo a dire "la Piave" e non "il Piave". Cercando di spiegarglielo, come spesso succede, l'ho capito meglio anch'io. Innanzitutto la mascolinizzazione (o se vogliamo fare i filosofi orientali la "yanghizzazione") del fiume è un dato storico e culturale che è coinciso con l'affermarsi della lingua italiana sui dialetti locali che la chiamavano (come la Brenta, la Livenza e altre fiume... fiumane?) la Piave. La trasformazione del toponimo si affermò durante la Grande Guerra, quando tutta l'opinione pubblica imparò a conoscere questo fiume di seconda grandezza. E lo conobbe da giornali scritti in italiano, da bollettini di guerra redatti nella stessa lingua e per di più da soldati, maschi e pregni di un ideale di virilità guerriera esclusivamente maschile. Il suggello lo mise la famosa canzone "Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei fanti il 24 maggio". La canzone di un autore napoletano divenne l'emblema di un'Italia che resisteva dopo la disfatta di Caporetto, ma anche dopo aver iniziato la guerra contro l'Austria-Ungheria e aver attaccato per 2 anni oltre i confini.

Tornare a dire "La Piave" è quindi un vezzo regionale? Una difesa xenofoba della patria cultura soffocato dallo stato centralizzato? Per me è far emergere un approccio più dolce e amorevole verso il territorio che è diventato, per scelta e non per nascita, la mia terra, la mia madrepatria. E' anche un modo per dichiarare finita l'epoca delle guerre, in particolare di quella Grande Guerra che qui in Veneto pare che sia appena finita e desta interesse e commozione che altrove nella penisola stupisce. Basta con il mito del soldato eroico nella morte. Sì alla riscoperta della dolcezza del paesaggio, del rapporto madre - figlio tra la madre-terra e l'umanità e gli altri esseri. E poi, sinceramente, mi pare proprio che molti elementi facciano intuire il carattere femminile del fiume: i suoi alti e bassi, estremi e rovinosi; la sua instancabile ridisposizione di ghiaie e isole come fossero mobili di una casa da ridisegnare ogni anno secondo il nuovo estro. Accogliente e insidiosa: potentemente femminile. Ha molti figli, con le sue acqua infatti alimenta i fiumi di risorgiva, primo fra tutti il Sile. In questo ricorda la Madonna: partorisce un figlio che poi ... risorge! Più femmina di così!

Infine scegliere di cambiare il genere è un piacevole esercizio: sia per rompere vecchie abitudini, vecchi schemi induriti, che per far nascere nuovi accostamenti, nuovi suoni e nuove domande. Ad esempio: dove nasce la Piave? Qual è la sua sorgente? Dal monte Peralba scendono infatti due torrenti, grosso modo dalle stesse quote ma da due versanti diversi. Si incontrano appena fuori Sappada. Dopo la guerra la furia celebrativa non potè tollerare che il virile fiume che aveva difeso eroicamente l'Italia non avesse una madre certa (cioè una sorgente unica). Così una commissione ministeriale determinò l'attuale sorgente della Piave, dando all'altro torrente il nome di Piave di Visdende, con sdegno di quei valligiani che sostenevano la superiorità del loro corso d'acqua. Appena ho letto di questa vecchia diatriba ho subito pensato che io avrei dato nome al fiume proprio alla confluenza dei due torrenti equivalenti. Poi ho scoperto che in Valcamonica il fiume Oglio nasce proprio così. I torrenti Frigidolfo e Narcanello di uniscono a Ponte di Legno (proprio quello dove và il Senatùr) e nasce il fiume Oglio. E' bello pensare che un fiume abbia una coppia di torrenti come genitori...

mercoledì 18 agosto 2010

Eredità culturale dei Da Romano

Da alcuni mesi incrociavo per le più diverse vie la storia della famiglia Da Romano, ed in particolare del suo più famoso esponente, Ezzelino "il tiranno", alleato prezioso dell'imperatore Federico II di Svevia nella pianura padana. Subivo il fascino della sua figura controversa, ammiravo l'audacia bellica, la spregiudicatezza, i successi conquistati con volontà ferrea, la sdegnosa sfida alla morte (languì per 11 giorni rifiutando le cure dopo l'ultima sconfitta). Finalmente ho deciso di cominciare una ricerca che si concluderà la prossima settimana con una visita a Romano d'Ezzelino (VI), castello di famiglia dove venne sterminata tutta la linea maschile della casata. Dal 20 al 26 agosto c'è una rievocazione storica che si conclude col ricordo dell'ultima battaglia e dell'eccidio.

La figura di Ezzelino III è oggi manipolata politicamente: viene indicato come un precursore dello stato regionale veneto, cosa che non credo. Ezzelino fu alleato e vicario imperiale di Federico II, sposò la figlia naturale dell'imperatore Selvaggia e alla sua morte (1250) tentò di consolidare un dominio stabile sulle città comunali sottomesse (Padova fu il dominio più ambito e difficile da mantenere). La sua sconfitta da parte delle forze guelfe che si raccolsero in una crociata benedetta dal papa nel 1259 segnò di certo uno spartiacque: venne a mancare una forte leadership dei ghibellini e pochi anni dopo i francesi Angiò poterono marciare sul regno Normanno di Manfredi, altro figlio naturale di Federico II, mettendo fine all'epopea svevo-normanna e al centro culturale di Palermo. Di certo i Da Romano rappresentano una parte del patrimonio culturale sedimentato in queste terre (da Verona a Treviso, da Bassano a Padova) e credo che fossero, specialmente nella linea femminile, fortemente collegati con le energie di natura che fluiscono dall'altopiano di Asiago.

Ho scoperto con interesse un altro esponente della famiglia: Alberico. Fratello minore di Ezzelino, che riuscì a diventare podestà di Treviso e resse la città per anni, conducendo una politica autonoma che lo portò alla rottura col fratello per poi ricongiungersi negli ultimi anni quando una serie di poteri si coalizzò per distruggere tutto ciò che la famiglia Da Romano significava. Dopo essere stato scacciato da Treviso Alberico fu inseguito e assediato nel castello di famiglia a Romano d'Ezzelino. Cadde prigioniero con tutta la famiglia: le donne vennero bruciate al rogo come streghe, i figli trucidati davanti a lui ed infine martoriato fino alla morte per le strade del suo paese natale. Perchè tanto odio? La crudeltà del fratello Ezzelino era diventata proverbiale ma di certo anche la veloce ascesa della famiglia che in tre generazioni era divenuta da un'oscura famiglia di cavalieri di origine tedesca a una delle principali casate dell'Italia settentrionale.

Un'altra ragione deriva secondo me dall'accoglienza che trovarono presso i Da Romano astrologi e esperti di scienze arcane. Per alcuni anni Ezzelino ebbe a corte l'astrolgo Guido Bonatti, già a servizio dell'imperatore. Interessante anche il legame fortissimo della casata con le popolazioni cimbre del cansiglio e le loro vive tradizioni germaniche: erano cimbri tutte le guardie del corpo della famiglia. Inoltre l'accanimento verso le donne della famiglia suggerisce che proprio il ramo femminile custodisse conoscenze che la Chiesa bollò come stregoneria. Si tramanda che la madre di Ezzelino ricevesse in sogno una premonizione sul figlio che portava in grembo come di una fiaccola che avrebbe incendiato la marca Trevigiana (intesa come terra di confine tra Brenta e Piave). Sempre lei predisse al figlio che sarebbe stato in pericolo di morte se acesse combattuto nei pressi di Axanum (Ezzelino venne sconfitto vicino a Cassano d'Adda e morì a seguito delle ferite). Un particolare che andrebbe inoltre approfondito è che la chiesa di famiglia era presso Onara di Tombolo ed era dedicata alla martire Santa Margherita d'Antiochia. Qui venivano siglati i patti di famiglia come la riappacificazione tra Ezzelino e Alberico.

Ma la donna della famiglia che incarna potentemente il potere del femminile che venne così brutalmente avversato fu Cunizza, sorella di Ezzelino e Alberico. Si sposò tre volte, ebbe molti amanti ma fattosi anziana sciolse dai loro giuramenti le fedeli guardie cimbre e si dedicò ad opere di carità a Firenze, dove si parlò molto di lei e dove forse conobbe Dante. Il poeta la collocò nel terzo cielo del suo Paradiso (mentre confinò Ezzelino nel girone infernale dei violenti): quello di Venere, che raccoglie le anime che seguirono l'amore di Dio senza però riuscire a purificare completamente l'amore carnale. In quell'incontro Cunizza pronuncia una predizione, che suona più come una maledizione, sui nemici della sua famiglia: Feltre, Padova e Treviso. Curiosamente a Treviso il celebre ponte Dante cita proprio un passaggio del discorso di Cunizza censurandone le infauste conseguenze e celebrando la felice intuizione dantesca di non nominare Treviso se non come "dove Sile e Cagnan s'accompagna".

Ma l'accusa più grave che Cunizza sembra rivolgere ai trevigiani, o meglio ai veneti, sembra quella di aver perso le qualità che avevano resa famosa la loro terra come "marca gioiosa et amorosa". Accanto a lei si trova in quel cielo l'anima di Folco di Marsiglia, poeta provenzale che incarna l'amore cortese, ormai dimenticato dalla "turba presente che Tagliamento e Adice rinchiude". Una conferma che un profondo cambiamento culturale stava rompendo una lunga tradizione di celebrazione del potere femminile, potere dell'amore, fu anche il sanguinoso scontro in cui si trasformò il famoso torneo del Castello d'Amore nel 1214. A Treviso si indiceva tradizionalmente un torneo aperto a tutti i giovani cavalieri delle zone limitrofe: divisi in squadre per provenienza avrebbero dovuto assediare un castello di legno protetto giocosamente dalle dame, conquistandone quindi l'amore. Nel 1214 una compagnia di cavalieri padovani venne allo scontro col gruppo di giovani veneziani: la festa si concluse tragicamente con morti e feriti.

Si chiudeva un'epoca che oggi è solo un'ombra sbiadita che cerca però riconoscimento e nuovi interpreti come sostenne con geniali intuizioni Goffredo Parise in "Veneto Barbaro". Oggi è necessario ridare spazio al potere del femminile amorevole, creativo, potentemente legato ai ritmi e alle forze della terra, del ventre, dei genitali che la chiesa cattolica ha deliberatamente demonizzato per esaltare il potere, il pensiero, il predominio del maschio, la condanna della sessualità.

lunedì 9 agosto 2010

Storia di un uomo e di un sacco galleggiante

L'uomo camminava spedito : aveva tardato parlando con un amico e ora gli premeva ritornare in Giudecca a concludere il lavoro e tornarsene a casa, in terraferma. A pochi metri dall'imbarcadero delle Zattere vide un sacco d'immondizia galleggiare sull'acqua. Un gabbiano navigava accanto cercando di squarciarlo con becco. L'uomo si fermò, pensoso. Il sacco distava almeno 4 metri dalla riva. Desiderava raccoglierlo e liberare l'acqua da questo macabro regalo. Chiese sommessamente scusa al gabbiano per avergli insegnato a vivere di rifiuti, a frugare nelle discariche e a correre dietro ai ritmi umani. L'uccello, non gradendo questo osservatore statuario prese il volo.

Che fare? Stare o andare? E se io chiedessi aiuto agli esseri di natura? Acqua, aria aiutatemi! Spingete il sacco verso riva che io possa prenderlo e buttarlo via. Il tempo passa, l'uomo tituba. Gli sembra che il sacco avanzi lievemente tra un'onda e l'altra, ma potrebbe essere illusione... oppure potrebbe volerci molto molto tempo e il lavoro chiama. No, pensò l'uomo ad un tratto risoluto, concediamo tempo agli esseri che ho invocato perchè manifestino il loro intervento. Ascolterò il cuore, mi fermerò qui per tutto il tempo necessario. Si inginocchiò e fissò il sacco, desiderando fortemente poterlo agguantare. Un minuto. Due minuti. Si avvicina in modo inequivocabile alla riva adesso. Il tempo passa interminabile, ma non più inquieto. Quanto, non si sa. Ma quel sacco arrivò a portata dell'uomo, che lo afferrò, svuotò la preziosa acqua penetrata all'interno e poi lo restitu+ì alla comunutà umana.

Questa è una storia vera. Quell'uomo ero io la scorsa settimana a Venezia. E' proprio vero che il cuore purificato e acceso di desiderio attira ciò che brama. Potessi sempre concedermi di ascoltarlo il mio cuore-maestro, non conoscerei indecisione, rabbia, paura. Come dice un saggio detto: il viaggio più lungo che possa intraprendere un uomo è quello dalla sua testa al suo cuore. Ma che gioia, che realizzazione! Buon viaggio a tutti, io parto per il centro del mio cuore, il sacro cuore!

domenica 8 agosto 2010

Donare acqua alla Piave


Martedì scorso ci siamo trovati con Cristian e altri amici e amiche in riva alla Piave a Fagarè della Battaglia. L'acqua era così bassa che si poteva guadare il fiume senza problemi, arrivava appena sopra al ginocchio. L'acqua era calda. Invitante per farci il bagno ma assolutamente innaturale. Il calore e la scarsità d'acqua hanno avviato processi di eutrofizzazione (wiki: eccessivo accrescimento degli organismi vegetali acquatici che si ha per effetto della presenza nell'ecosistema acquatico di dosi troppo elevate di sostanze nutritive come azoto, fosforo o zolfo) e il fiume si è rinverdito di alghe. L'acqua ci sarebbe ma gli invasi a monte la deviano in diversi canali di irrigazione e ne centellinano pochi metri cubi al fiume. Il fiume muore, l'acqua si ritira nel letto sotterraneo, aumenta la subsidenza (wiki: lento e progressivo abbassamento verticale del fondo di un bacino marino o di un'area continentale).

E noi cosa possiamo fare? Stare a guardare fa male, sento i polmoni che mi fanno male, la tristezza mi prende la gola e altre acque, salmastre stavolta, bussano agli occhi. Passiamo la sera in un pub a parlare delle bellezze che l'ecosistema attorno al fiume ci offre. Ci voglio anni per visitare ogni angolo di paradiso che offre. E' un parco naturale stupendo... perchè non riconoscerlo come tale??? L'indomani al lavoro, poi il giorno dopo ancora. Venerdì vado dal mio maestro di canto e, prima della lezione, vado a provare il mio primo pezzo accanto al fiume: l'Amore è una cosa meravigliosa. E lo è davvero, ci avvolge in forma di aria, acqua, calore, madre terra... mi scoppia il cuore di tenerezza! ma la rabbia è in agguato, sterile e fiammante: devo agire! devo creare! Quella notte lancio su facebook un evento "Dare acqua alla Piave" invitando tutti gli amici in zona a portare simbolicamente un po' d'acqua al fiume, o in alternativa a risparmaire acqua domenica ventura. Di un centinaio di invitati 8 aderiscono, 2 "forse". Cosa vuol dire forse? Misteri della natura umana...

Domenica a mezzogiorno mi preparo per questo gesto simbolico al centro del ponte di S.Donà. Al mattino passando Casale mi sono fermato a chiedere al Sile, fiume di risorgiva figlio anche delle acque che la Piave fa filtrare per vie sotterranee nella pianura, di donarmi la sua acqua più pura per sua madre. Riempio una bottiglia di vetro da mezzo litro. Non è certo la quantità che conta ora. Stiamo lavorando su piani sottili, simbolici ed emotivi ma non meno importanti e capaci di portare frutti anche sul piano materiale. Volevo anche donare alcune gocce di fiori di Bach. Ho scelto di miscelare l'Impatiens, il fiore che insegna la pazienza. L'arte di attendere, di godere, di essere presenti in ogni istante senza accelerare o farsi prendere da una rabbiosa bulimia d'esperienze. Verso l'acqua del Sile e il mio regalo mentre suonano le campane di mezzogiorno di San Donato. Ho scelto di guardare il fiume che mi viene incontro in modo da poterlo percepire meglio, incontrarlo e accoglierlo con un amorevole sguardo. Ogni volta che faccio "terapia" sui regni di natura sento che sto facendo ben più terapia su di me. D'altronde è proprio vero che dando si riceve (e che perdonando si è perdonati, come recita la preghiera semplice di un anonimo francese).

Nel pomeriggio vado a S.Andrea di Barbarana. Cerco una porzione di fiume che possa essere mia: solo io e lei, la madre Piave. Passeggio nell'acqua fresca, non ho più voglia di fare il bagno. Porto i miei problemi, i miei dubbi sul nuovo periodo che sto cominciando, sui necessari cambiamenti... mi vengono suggerite risposte ma soprattutto quiete, lento fluire, pazienza: chiedi e ti verrà dato. Aspetto che la corrente del fiume mi porti qualcosa, che la vita mi porti le sue possibilità... vedo qualcosa che galleggia discendendo. Lo aspetto trepidante... una ciabatta rotta, nera e rossa con scritto Freend. Cosa vuol dirmi il fiume? E' un gioco di parole Friend (amico) ma anche free end (fine libera), cioè? Forse un finale anocra da scrivere o Liberazione Finale? Illuminazione!

Prendo la posizione del mezzo loto seduto sui sassi in un piccolo flusso d'acqua ai margini del corso principale. Guardo l'acqua venire verso di me, prendere la mia forma e fluire via. Desidero diventare come un ciotolo della Piave. Medito per alcuni minuti. Poi inizio a costruire due mezzi cerchi di pietre attorno a me, come le chele dello scorpione si allungano davanti a me ad afferrare la corrente che rallenta lievemente nello specchio d'acqua davanti a me per poi fluire via. Lascio uno spazio aperto dietro la mia schiena, là dove si troverebbe la coda del mio scorpione lascio che l'acqua lavi via il veleno e il desiderio di possesso. Sono felice, un'insolita allegria canterebbe Gaber. Sempre meno insolita per me da quando mi concedo momenti di comunione in natura. Quando sento di aver preso abbastanza ringrazio tutti gli esseri di natura attorno a me e mi alzo. Trasformo i due semicerchi in un cuore di pietre a pelo d'acqua. Guardo con amore questa madre amorevole e riprendo il cammino. Non sono solo. Lei è entrate dentro di me.

sabato 31 luglio 2010

Il lago delle cave di Predil


Domenica 25 luglio abbiamo concluso in bellezza il raduno dei migliori canadesisti italiani (! prendo la percentuale sui nuoivi iscritti sapete...) al lago delle Cave di Predil. Il gruppo si era splendidamente affiatato nei giorni (e nelle sere alcoliche e canterine) precedenti. Il tempo variabile di sabato ci ha donato una splendida mattinata, così abbiamo potuto apprezzare lo stupendo panorama montuoso che circonda il lago. Le informazioni tecniche (wikipedia) dicono che il lago si trova a 959 m, è lungo 1,5 km, largo 500 m e profondo circa 30 m, ed è per dimensioni il secondo lago del Friuli-Venezia Giulia dopo quello di Cavazzo. La sua conca, che si apre a metà circa della valle del Rio del Lago, è dominata a sud dalla Cima del Lago (2.125 m), e a nord-est dalle Cinque Punte (1.909 m, quella che si vede sullo sfondo della foto allegata, unica veramente).

L'atmosfera di questo lago è molto diversa dagli altri, io ho avvertito un senso di precarietà, di trasformazione non completata. Il ristorante rustico sul lago ha il piazzale ingombro di materiale di scavo e sul retro si intravedono i pilastri del nuovo edificio che sostituirà (forse, un giorno) le strutture provvisorie in legno e metallo. Ho potuto fare tutto il giro della riva meridionale sul bagnasciuga dato il livello dell'acqua era di un buon metro sotto la massima. Ho trovato un po' di immondizia, due piccoli insediamenti "balneari" che ho trovato poco intonati all'ambiente. Tanta plastica e colori sgargianti, un campo di pallavolo con sabbia di riporto che stava meglio a Jesolo, uno scivolo di tappeti di plastica verde per lanciarsi sul lago con i gommoni o grossi salvagenti. Inoltre la strada costeggia proprio il lago su questo lato portando rumore e smog. Al di sopra pendii scoscesi e in diversi punti frane in movimento. Abete rosso, faggio, pino silvestre le essenze più diffuse lassù. Le cime e il cielo bellissimi.

L'origine del lago è raccontata in una bella leggenda come punizione dell'avarizia e della durezza di cuore degli abitanti di un ricco paese che, dopo aver rifiutato di accogliere una donna con un bambino (o bambina?), venne sommerso in una notte di tempesta che formò il lago (trovate tutti i dettagli sul sito: http://www.minieradiraibl.it/). Nel paese vicino (Cave di Raibl) esisteva una miniera, chiusa negli anni ottanta del secolo scorso (fa impressione a dirla così), che estraeva piombo e zinco. Da allora il paese è passato da 1200 a 400 abitanti e della miniera hanno fatto un bel museo che non ho fatto in tempo a visitare.

Devo ringraziare questo bellissimo lago per molte nuove esperienze: su queste sponde ho cominciato la mia attività pubblica di lettore di tarocchi secondo l'insegnamento di Alejandro Jodorowski. Consiglio a tutti la lettura del suo agile libro "Psicomagia" ed. Feltrinelli che vi fa conoscere agilmente l'uomo e la sua opera di artista geniale, sconsiderato e follemente innamorato della vita. Ma soprattutto ho potuto iniziare a esplorare, grazie al solito Cristian, il Rio del Lago. Apparentemente era in secca a vederlo dal lago ma, risalendone il corso ho incontrato prima un piccolo serpente, poi una rana ed infine... l'acqua scrosciante, proprio quella Rock Water che il dr. Bach usa come rimedio per curare chì si sente schiavo di dogmi e rigide regole e ritrovare un'armoniosa flessiilità. Ci sono angoli di quella gola che invitano proprio alla comunione con gli elementi naturali. Ho scoperto proprio ieri che Mikao Usui, scopritore giapponese del Rei-Ki, passò 21 giorni su un monte a pregare, meditando anche regolarmente sotto una cascatella.

mercoledì 28 luglio 2010

Weisensee... lago bianco


Secondo giorno del raduno canoisti: si parte da Tarvisio per l'Austria verso il Weisensee, in realtà si scrive Weißensee. Per arrivarci abbiamo passato Hermagor (credo sia il fratello di Belfagor, il fantasma dell'opera). La meta ha meritato il viaggio. Il lago ha una forma allungata, è molto lungo (quasi 12 km) e largo meno di un chilometro. Si tratta di un lago di origine glaciale, orientato in direzione est-ovest e affiancato sui lati nord e sud da montagne. Ho scoperto su Wikipedia che si trova a un'altitudine di 930 mt s.l.m. è il più alto lago alpino balneabile d'Europa. L'acqua è stupenda, trasparente e incantevole, nei bassi fondali mostra un mondo di melma chiara e rami d'albero che compongono un paesaggio singolare, una foresta sommersa di grande bellezza.

C'è un comodo parcheggio con dei pontili galleggiante per portare le barche in acqua. Ho affrontato la titanica impresa insieme ad Oliver, veterano di ben 4 uscite mentre io ero alla prima... Abbiamo trovato un bellissimo approdo lungo la riva boscata. Ci ha attirato lì un cerchio di sassi costruito nel lago, una specie di recinto largo un metro e mezzo e sembrava un recinto sacro. Con quanta semplicità di può creare bellezza in natura, è la base della land art e secondo me è una grande opportunità evolutiva per l'uomo. Imparare a creare cose belle (e quindi anche utili perchè come si può vivere senza bellezza?) incastonate nel contesto naturale senza soluzione di continuità. E' un bellissimo messaggio per il futuro dell'umanità. Passeggiando nel bosco, dove i boscaioli avevano fatto un buon taglio selettivo, ho trovato un sacco di fragoline... mhm, che gioia quel gusto e quel profumo da cicca che riporta a dolci sensazioni d'infanzia!

Abbiamo ripreso l'esplorazione ammirando fondali, falesie, boschi. Il tempo incerto ha cominciato a peggiorare. Le prime gocce d'acqua ci hanno messo in allarme, eravamo in acqua da qualche ora ormai ed eravamo ben lontani dall'approdo. Si è alzato un po' di vento, il lago si è mutato mostrandoci un altro suo aspetto: forte, turbolento, grigio. Quello stupendo specchio di cielo e monti si è trasformato in pochi minuti in un piccolo mare agitato, facendo temere un'ulteriore peggioramento (dal punto di vista umano, semplicemente manifestava altre qualità). Ci siamo accaniti sulle pagaie per riguadagnare terra, il gruppo si è diviso nel lungo interminabile tragitto. Con Oliver abbiamo speso molte energie a dare la massima velocità alla bella canoa canadese, prestata da openacanoe-openmind. Sembrava di partire per la guerra: muscoli, sudore, tensione, attenzione al ritmo dell'altro rematore, l'approdo lontanissimo, le onde in aumento... Poi il tempo ci ha graziati, le raffiche di vento si sono calmate e la pioggia è scemata.

Terra! Quanto è bello rimettere i piedi per terra dopo aver viaggiato nel mondo liquido, magari anche inginocchiati a pagaiare con le caviglie ormai insensibili dopo molto dolore. All'arrivo il sole è ritornato, così ho atteso il rientro del gruppo sdraiato sul pontile, con i piedi in acqua mentre lasciavo vagare l'attenzione e cercavo di non badare ai miei pensieri. Meditazione. Mi sono rilassato fin quasi ad appisolarmi. Quando ho deciso di alzarmi per un po' tutto sembrava normale ma poi a cena e per molte ore mi sono accorto che mi ero portato via il lago. Ce l'avevo dentro, risentivo l'oscillare della canoa, l'ondeggiare sberluccicante dell'acqua, la sua limpidezza, la forza quieta delle piccole montagne boscose che lo accolgono. E' bello essere un lago, allo stesso tempo ben definito e stabile ma continuamente in movimento nella profondità (nell'interiorità). Voglio essere un lago!

lunedì 26 luglio 2010

Solcando acque tranquille

Quanto sono belli i laghi. Ne ho visitati tre questo fine settimana col gruppo canoistico opencanoe-openmind: il Bohini in Slovenia, il Weisensee in Austria e quello di Predil in Italia. Abbiamo fatto base appena fuori Tarvisio in un ostello del parco naturale della Foresta di Tarvisio. L'ostello è un recentissimo restauro e si inserisce delicatamente nel contesto di una piccola frazione. Accanto parte una strada bianca che sfila sotto un portale formato da due enormi e bellissimi vecchi olmi. Poco oltre sui pascoli ho incontrato alle 6 e mezza due cerve che sono fuggite saltando e correndo: grazie e potenza superbamente interpretate. Il gruppo era composto da appassionati della canoa canadese (milanesi, veneziani, trevigiani, torinesi, triestini e perugini) e della natura.

Il lago di Bohini si trova all'interno del parco nazionale del Triglav in Slovenia. E' molto frequentato da gitanti, bagnanti e corsi di vela e surf, specialmente dal versante dove si amplia la valle formata dalla Sava Bohiniska. Con le barche è però possibile raggiungere abbastanza facilmente delle piccole spiagge sassose sul lato settentrionale, lontano dalle carreggiabili. L'acqua è profonda e riflette un bell'anfiteato di monti che lo accolgono su tre lati. Sono montagne austere, serie e di altezza riguardevole. Se il lago di Bled è la meta del turismo romantico, Bohini è più avventuroso e crudo. E' molto intonato la fedele statua bronzea di un camoscio che fa bella mostra su un masso che accoglie i visitatori. La piccola Sava, che qui è un timido torrente, è attraversata da un ponte al di là del quale merita una visita la chiesetta di S.Giovanni Battista. Sulla parete meridionale sono visibili ben tre affreschi dedicati a s.Cristoforo, il gigante eremita che traghettò Gesù bambino oltre un fiume, patrono di tutti i mestieri di fiume. Ad esempio Treviso vanta un grandioso S.Cristoforo alto almeno sette metri nella navata destra della chiesa di S.Nicolò.

Nella chiesetta si può incontrare la testa di Giovanni Battista: una testa di legno appoggiata su un tavolino a destra dell'altare. Giovanni infatti, dopo aver preannunciato fin dall'utero di sua madre, l'avvento della divinità incarnata in un essere umano (Gesù di Nazareth che manifesterà la forza di Cristo per tre anni), perderà la testa. Il mito racconta che Erode lo imprigionò stanco della sua accesa predicazione moralizzante che non ne risparmiava neanche a lui, il re dei Giudei. Non osava però ucciderlo, in quanto profeta, finchè la bella Salomè gli fece "perdere la testa" a sua volta e gli chiese la decapitazione di Giovanni. Dopo questa terribile morte Gesù di Nazareth manifestò apertamente la sua provenienza divina con miracoli e predicazione incessante.

Ma cosa rappresenta l'impulso di Giovanni Battista in noi? E' la voce di uno che grida nelle solitudini, la voce della coscienza che porta ordine nella nostra personalità seguendo una legge morale, una profonda etica che trasforma il nostro modo di ragionare dividendo nettamente il bene dal male. E' quella parte che testimonia a favore dell'uomo, che ci vuole impossibilmente perfetti. Dico impossibilmente perchè l'uomo da solo non ha la forza di trasformarsi anche seguendo le più alte leggi karmiche, se non in tempi geologici. E' qui che arriva la Grazia, la Parola che ci chiama ad alzarci e prendere il nostro lettuccio per camminare sulla strada evolutiva seguendo l'unico comandamento: amatevi gli uni gli altri, come Io ho amato voi. Una bella scorciatoia la Grazia e di sicura potenza, in grado di resuscitare persino i morti!

mercoledì 21 luglio 2010

Due anni senza tv... e senza frigo

Quando mi sono separato da mia moglie ho avuto una grande opportunità: ho vissuto per un anno in un rustico (un po' malconcio) nelle campagne di Oderzo. Si chiamava "borgo Lippi" ed era bellissimo. Ci ho abitato da giugno 2008 a luglio 2009. Ci sono voluti mesi per rederlo presentabile. Contrattavo ogni miglioria e ammodernamento tecnologico con me stesso, interrogandomi ogni volta con rigore se avevo davvero bisogno di questa o quella comodità... ci ho messo un mese a riaprire il contratto con l'acquedotto. Avevo installato una cisterna per l'acqua piovana che usavo per lavarmi. Andavo a prendermi fusti di acqua ad una fontana. Due mesi per l'elettricità, prima stavo al lume di candela e ho superato la mia paura infantile del buio. L'elettricità ha posto un bell'interrogativo: quali elettrodomestici installare? beh, a me serviva la luce e la possibilità di ricaricare la batteria del cellulare. Poi è arrivato anche un computer portatile con chiavetta usb per internet (rigorosamente sole 10 ore... al mese!).

Un fornelletto da campeggio faceva da cucina, insieme alla cucina economica a legna. Tenevo un piccolo orto davanti a casa e avevo la vista su campi aperti dal primo piano. Fagiani che scorazzavano, anatre e rane nel fosso dietro casa (e pure zanzare sì), una coppia di scoiattoli che rosicchiava le pigne dei due grandi abeti rossi del giardino e le noci abbondanti del bosco intorno (su ben 3 lati c'era un giovane bosco... bello bello bello) e tante lucciole e anche una famiglia di ricci per qualche tempo. I picchi avevano nidificato nella soffitta. Che incontro da brivido nella notte, dopo un battito selvaggio sulla porta della soffitta, a lume di torcia a led... un piccolo picchio che faceva pratica e io blu dalla paura, ah aha ah!!! Grazie Dio per quelle esperienze, belle-brutte ma tutte intense.

Non mi ha mai sfiorato il pensiero di prendermi un tv. Finalmente mi ero liberato da questa tentazione che spesso uccideva le serata, le riempiva di cose che, intelligenti o sceme, non mi servivano. A me Francisco, come essere umano in evoluzione, i contenuti e l'intrattenimento proposto non serviva. Mi piacciono i film ma io non riesco ad usare il video per acculturarmi. Vedo le cose e poi le dimentico, ho bisogno di fare in prima persona: leggere, ascoltare, chiedere, discuetere, provare, sperimentare.

Sul frigo ho riflettuto un po'. A cosa mi sarebbe servito? D'inverno c'erano un sacco di davanzali in tutte direzioni cardinali, quindi bastava poggiare la roba là e si conservava benissimo. Il latte ho cominciato a berlo sempre meno, da quando ho cominciato a capire quale costo emotivo aveva: pochi giorni dopo la nascita il vitellino viene allontanato dalla madre che così viene spremuta dalla mungitrice meccanica. A suo figlio danno gli avanzi e qualche integratore. Se gli va bene altri vitellini con cui condividere la triste sorte. E per me che non ho potuto assaggiare il latte di mia madre che lo ha perso poco dopo il parto è una cosa troppo brutta. Non avere il frigo nella stagiona calda implica disciplina: mangio quello che compro, modo spartano per ridurre gli sprechi e anche i consumi di energia elettrica. Non dico che sia necessario rinunciare al frigo ma che 1- si può vivere anche senza (se non come campavano fino a 60 anni fa?), 2- senza si sta attenti a cosa e perchè si compra una cosa deperibile, 3 - la nutella non ha bisogno del frigo...

Oggi vivo in una bella porzione di rustico ristrutturata a Scorzè. Ho elettricità, riscaldamento a gas (a Oderzo avevo una vecchia e fumosa stufa economica... che affumicate!), prese ethernet in ogni stanza (il mio padrone di casa ci lavora con internet). Però il frigo ancora non c'è. Marcello e Cinzia, i padroni e amici, me lo hanno offerto, ne avevano uno in più. E' rimasto in garage per qualche mese. Poi ho pensato che poteva serivirmi per fare preprare i semi prima della semina (simulando un inverno si stimola la germinazione appena vengono messi nel terreno) e così l'ho portato in casa, nel mio castello di 40 mq. Ma è ancora lì, adesso è diventata la mia dispensa di fiori di Bach. Ho una collezione quasi compelta ed ho cominciato a prepararmi le tinture madre delle essenze che conosco. Non è male come scrigno delle meraviglie anche spento!

martedì 20 luglio 2010

XI - Ascensione

Incontro una colonia intera di aironi cinerini. Non ne avevo mai visti tanti! E' uno degli uccelli che più mi affascina, chissà a quale forma pensiero è collegato? Saranno più di cinquanta in un'ampia ansa di ghiaia e boschi, la mia presenza li disturba, anche se cerco di avanzare lentamente. Se ne vanno! Spettacolare danza di ali! Arrivo alla diga di Segusino, è la seconda che incontro. E' molto più vecchia di quella di Nervesa, da qui parte il canale Battaglia che va alla centrale elettrica di Castelviero sotto il Montello. Sulla facciata dell'edificio di controllo c'è ancora l'aquila che regge il fascio e accanto il leone di san Marco. L'acqua che viene lasciata alla Piave deve inchinarsi sotto le saracinesche che ne centellinano il flusso. La diga è di vecchia concezione, di quelle a terrapieno e forma un ampio lago palustre. Riattraverso la Piave a poche centinaia di metri dalla diga, la osservo e questa volta non mi lascio intimidire e prego per il fiume e per il cuore degli uomini che ne riconoscano la dignità.

Sotto la diga, nella Sinistra Piave, c'è una ampia vasca di contenimento profonda meno di un metro che termina sotto la provinciale, 6-7 metri più alta. L'ho subito eletta a piscina, per non dare scandalo mi sono messo pure il costume e via come un bimbo a camminare e giocare con l'acqua. E' fredda e ci ho messo un'ora prima di immergermi. Mi sono proprio immerso e ne sono uscito alla velocità della luce, poi ho fatto qualche simbolica bracciata. Ho trovato un bellissimo tronco d'albero che ho soprannominato "il coccodrillo" e l'ho usato per navigare spingendomi con un palo. Mi ha preso una grande gioia infantile. Mi sono messo a cantare una improvvisata canzone alla Piave sulla falsariga di Paloma in chiave gioiosa. Mi sono anche messo a pregare, ma quella solita preghiera all'arcangelo Michele mi stava ormani stretta.

Ad un certo punto l'acqua del lago ha cominciato a tracimare... impressionante ricordarsi di essere sotto il livello del fiume. Mi sono ritirato in buon ordine, domando l'inquietudine. Mi restava nel cuore il desiderio di raggiungere un luogo elevato e qui, all'inizio della gola del Piave, sciogliere la mia per trovare le Parole che, a partire da San Donà, stavo cercando. Arretrando per alcune centinaia di metri ho scoperto lo sterrato che risaliva sulla strada provinciale e appena ci sono sbucato mi si è parata di fronte una strada di pietre che saliva sul monte. Sono rimasto indeciso, come aspettando un'indicazione. Un fiorino l'ha imboccata ed è sparito tra gli alberi... ho rotto gli indugi e, attraversando, ho notato un'indicazione del CAI per un sentiero che prometteva di portarmi in 40 minuti alla chiesetta di San Gervasio e Protasio, qualche centinaio di metri più sù. Ho trovato anche un bastone di sambuco appoggiato lì accanto. Non potevo proprio rifiutare un così bell'invito.

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Così sì è concluso il viaggio accanto alla Piave ed è cominciato un viaggio più interiore. Sarò felice di condividerlo con voi, ma non lo pubblicherò sul blog: scrivetemi o lasciate un commento con una mail e ve lo manderò.

domenica 18 luglio 2010

Bigolino - X

Bigolino è un paesetto della Sinistra Piave, la riva è alta e scoscesa ma il rapporto col fiume è profondo: il nome deriva dal "bigolo", la pertica che gli zattieri usavano per manovrare le zattere di legname lungo il fiume. La piazzetta centrale è tagliata in due dalla provinciale (che peccato): a destra si staglia un monumento ai caduti con un fante che avanza impavido sotto a due colonne con un leone (senza ali e senza vangelo); a sinistra sagrato un po' degradato, una fontana secca con la statua del Cristo e la chiesa parrocchiale. La facciata è semplice e riporta la scritta latina "Qui ut Deo?", cioè "Chi è come Dio?", è il significato del nome ebraico Mikael, infatti la chiesa è dedicata all'arcangelo Michele, principe delle milizie celesti e volto di Dio, cioè colui che ne manifesta maggiormente lo splendore. A sinistra, lato sud, dell'edificio c'è una meridiana accompagnata da una intrigante frase latina "Meam noscis, tuam nescis", ovvero "Conosci la mia (ora), non conosci la tua".

Mi riposo il pomeriggio e alla sera usciamo con degli amici di Andrew, quasi tutti inglesi (lui invece è neozelandese ma il commonwealth effettivamente funziona!) per salutare una coppia che si trasferisce (insieme con l'ufficio Northface) in Svizzera. Al tavolo tiro fuori il mio mazzo di tarocchi, rispolverato e benedetto da poco. Andrew accetta di fare una domanda alle carte e, una volta di più, mi accorgo di quanto sia potente questo linguaggio. Ne sono rimasto sempre affascinato ma anche un po' spaventato, solo da poche settimane, grazie alla scoperta dell'uso che ne fa Alejandro Jodorowski come strumento di diagnosi e aiuto alla guarigione, ho ricominciato a studiarli e provarli. Finchè li provo su di me il rischio di raccontarmela è alto, per questo desidero condividere questa abilità con gli altri, per affinarla e renderla uno strumento utile, non uno strumento di superstizione ma un alfabeto che parla forte all'inconscio.

Al mattino parto con calma, è il quinto giorno di viaggio. Comincio a sentirmi prorio bene, si è rotto il ciclo di pensieri e abitudini che mi incatenava e ora mi godo sempre più la bellezza che mi viene incontro. Molte strade, alcune bruscamente interrotte dall'erosione della Piave, costeggiano il fiume. C'è una bella area attrezzata con bei passaggi, ponticelli in legno e boschetti dove trovo una famiglia di asinelli veramente belli, quelli con la croce nera sul dorso grigio, che acccettano volentieri un po' dei miei crackers. Gli alberi stanno cambiando: comincio a vedere qualche carpino, qualche pino silvestre, ginepro. Le montagne sono vicine, il fiume prende sempre più il carattere del torrente. Passeggiando disturbo una coppia di gheppi che si alzano stridendo per allontanarmi dal loro territorio. Poco oltre un piccolo coniglio saetta tra le erbe alte. Parlando con un cacciatore scopro che è proprio una razza di lepre nana. Trovo un punto dove guadare la Piave e, tolti gli scarponi, mi lascio massaggiare i polpacci dalla corrente. Proseguo sulla Destra guardando con un po' di tristezza i "castelli" di una cava di ghiaia. A forza di estrarre in alcuni punti abbiamo abbassato il letto del fiume tanto da drenare acqua dalle risorgive più a valle. E per farne poi cosa? E' proprio ora di cambiare e mettere sulla bilancia del nostro cuore le nostre scelte anche economiche.

Il Montello - IX

A Nervesa ho osservato la diga, il primo sbarramento sulla Piave salendo dal mare. da qui parte il canale della Vittoria che porta via una grande quantità d'acqua per l'irrigazione della Destra Piave. L'acqua passa sia attraverso un condotto che al di sopra della saracinesca che regola il deflusso. Ho raggiunto un piccolo isolotto in mezzo all'acqua vorticante e mi sono messo a sentire. La diga mi faceva un po' paura, ho cercato allora di raggiungere immaginativamente un punto luminoso, il cuore della Piave che ho immaginato al termine di una lunga galleria alla mia sinistra, sotto il Montello. Ho attinto timidamente un po' di luce da donare al fiume, ma non ero soddisfatto. Ho ripreso il cammino deciso ad andare incontro alle mie percezioni in solitudine.

Ho percorso la strada dei croderi fino alla centrale di Castelviero ma non ho trovato le indicazioni per il Tavaran grande. Forse non era saggio andarci da solo, meglio andare avanti e trovare un posto per la notte. Dormirò all'addiaccio, vicino al fiume. Trovo un angolo con vista fiume, raccolgo legna e immondizia per preparare un piccolo falò che mi faccia compagnia. Lascio una piccola offerta di cibo agli spiriti del luogo, sono un po' agitato. Aspetto il tramonto e contemplo la luce del fuoco che gioca coi sassi e mi toglie l'umido della notte di dosso. Vedo passare gabbiani e aironi che scendono in volo il corso. Lascio consumare il falò e mi infilo sul sacco a pelo. Dormo poco e male, qualche zanzara mi disturba. Accolgo inebetito l'alba. Decido di alzarmi quando vedo qualcosa che nuota in acqua a poche metri da me, qualcosa di grosso e marrone... mi alzo ma l'animale si spaventa e non riesco a identificarlo. Per fortuna poco dopo un altro esemplare risale il corso e identifico una bella nutria che nuotando e spingendosi sulle pietre appena sott'acqua comincia la sua giornata. Faccio colazione e vedo gabbiani, aironi, garzette che risalgono la Piave.

Avanzo sulla strada dissestata e piena di acqua, tra campi coltivati, prati e qualche boschetto. Ad una svolta sorprendo una daina che corre via. Ma al prato successivo ho il tempo di rivederla con una compagna. Che bello svegliarsi presto e sentirsi gli unici essere umani ad entrare nei regni di natura. Sembra molto più facile goderne le bellezze, entrare in una sensuale sintonia coi luoghi ed i loro abitanti. Ci sono angoli bellissimi in questa lingua di terra tra Montello e Piave. Per alcune decine di metri il fiume raggiunge ed erode la pietra composita del monte. La strada è ridotta ad un sentiero erto che sale irregolarmente fino ad una caverna avamposto della guerra e poi ridisce. Sembra proprio che la Piave voglia entrare nel Montello in questo punto, gli strati di roccia affioranti sono levigati e formano uno scenario mai visto prima. Più avanti tra terre incolte trovo un bellissimo bosco, un arioso pioppeto dove trovano posto pioppi neri, ibridi di pioppo bianco, ontani neri, robinie, piccoli salici e un sottobosco ricco e vario. Qui incontro anche uno scoiattolo nero nero.

Tutt'altra impressione ricevo poco oltre in un puro bosco di giovani robinie che oscurano la luce tanto sono fitte. Non lasciano spazio a nessun'altra essenza, spingendo verso il limitare del gruppo gli sparuti cespugli del sottobosco. Mi imbatto in un buco, largo oltre un metro e profondo pco più di due. Mi fermo a meditare, mi calo immaginativamente nel pozzo, immagino di cadere giù, poi decido di rallentare e mi fermo a fluttuare sull'acqua scura. Esito. Mi immergo con un brivido e vedo che una galleria laterale porta verso una luce. Mi ritrovo di nuovo al cospetto del cuore di luce del Montello. Chiedo di ricevere un globo di luce da portare in superficie. Lo plasmo nella mani e rifaccio la strada fino al mio corpo. Libero la sfera luminosa e vedo un bel paesaggio, c'è un orso che sta litigando con un pescatore perchè vuole provare la sua canna da pesca... che strana immagine!

Continuo il cammino e mi imbatto nel canale battaglia. Su consiglio di un contadino lo seguo fino a Ciano del Montello. In alcuni punti la vista sulle grave della Piave è spettacolare: il canale procede in lievissima pendenza con un dislivello di una decina di metri dal corso del fiume. Sono stanchissimo, dopo una notte così! Cerco una corriera per arrivare a Montebelluna o Valdobbiadene ma senza successo. Allora chiamo Andrew che, genitilissimo, mi propone di venirmi a prendere durante la pausa pranzo. Mi arrendo con qualche ritrosia alla sua insistente cortesia. Poi mi rilasso e lo ringrazio: mi concedo una bella pausa e un piccolo riposino.

sabato 17 luglio 2010

Nella Piave al ginocchio - VIII

Decido di arrivare all'isola di Papadopoli guadando la Piave. Poco a monte del ponte trovo un posto adatto, tolgo scarponi e calzini e cammino nell'acqua. E' FONDAMENTALE non bagnare gli scarponi, i piedi si possone sempre asciugare invece. La corrente mi mette alla prova, controlla se sono in equilibrio ad ogni passo. Mi bagno poco sopra le ginocchia ma in breve sono sull'isola dove mi godo un meritato bagno di sole con dormitina: oggi nessuna fretta, nessun obiettivo da raggiungere. Chiamo Fulvia e le propongo di raggiungermi a pranzo al Vecio Morer, nel frattempo esplorerò l'isola. E' grande! lunga almeno 4-5 km e larga 1 è forse la più grande isola fluviale d'Europa. I ponti ci hanno ormai fatto dimenticare questa sua insularità.

La cantina S.Giorgio domina l'accesso da Salettuol, coi suoi vigneti e il suo logo nero e bianco su fondo verde. La forma del cavaliere è stata scomposta in un triangolo che si incastra nei due triangoli veri che sono il cavallo. la lancia attraversa diagonalmente il logo. San Rocco da un lato, San Giorgio sull'isola e San Michele sulla sinistra Piave, non c'è male come trittico. Ho scoperto poi che nella provincia di Ferrara il culto di san Giorgio è molto diffuso perchè, nell'alto Medioevo, il Po ed altri corsi minori venivano considerati la tana di un drago che il santo avrebbe ucciso salvando gli abitanti. Il drago era una metafora della pericolosità delle piene del fiume che rischiavano di distruggere Ferrara.

Mentre camminavo lungo la provinciale ho assistito ad uno spettacolo tristissimo: un'ape morente girava in cerchio a bordo strada, continuava a girare e rigirare, incurante di tutto, stordita, avvelenata probabilmente da tutti quei bei prodottini che viziano la nostra agricoltura e distruggono le basi della vita organica. Ci costa troppo cara questa falsa abbondanza materiale. Chissà cosa voleva dirmi quella piccola ape, un'operaia amorevole che abbiamo ripagato così. E' proprio ora di cambiare, sento che è così ma ho paura di mettermi coscientemente al servizio di questo impulso. La comodità dell'abitudine e il quieto vivere in società sono insidiosi avversari dell'evoluzione.

Spesso ho cercato nei mesi scorsi di considerare il fiume come un unico organismo e cercavo corrispondenza basandomi su una comparazione con l'essere umano, in particolare a livello dei chackra. Dove e quali sono i chackra, i centri vitali della Piave? L'isola di Papadopoli la collocherei nell'apparato digestivo, forse lo stomaco? In questa zona collocherei il terzo chackra del fiume. Nella zona di San Donà il secondo, nel mare antistante la foce il primo. Più a monte nella zona del Montello il cuore, il quarto chackra e poi, nelle gole ovviamente, il quinto, nella zona di Pagogna ho avuto un'esperienza relativa alla visione (sesto). Ci vorrebbe un'indagine più intensa, per ora lascio che l'intuito mi guidi senza rigidità. Girovago senza troppa convizione per l'isola e accolgo con gioia l'arrivo di Fulvia per un piacevole pranzo al ristorante e una chiacchierata.

Mi accorgo che fatico a condividere cosa mi sta succedendo dentro, il senso che comincio a dare a questo viaggio. Anche le perle più preziose a raccontarle si sviliscono. Mi sento un po' solo anche se voglio proprio evitare di ritrovarmi veramente solo con me stesso. Sì, faccio resistenza, ho un po' paura di conoscermi un po' di più lavorando in silenzio nell'interiorità. Approfitto della cortesia di Fulvia e mi faccio accompagnare fino a Nervesa per riprendere il viaggio. Passiamo appena fuori S.Michele di Piave e intravedo la scintillante cupola della parrocchiale che mi riprometto di visitare in futuro. A Nervesa prendo la via dei croderi. Ho ancora tutto il pomeriggio davanti e spero di poter raggiungere ed esplorare la caverna del Tavaran grande.

mercoledì 14 luglio 2010

Il terzo giorno... - VII

Sveglia presto, complice il camion di raccolta rifiuti che è passato sotto la mia finestra aperta. Scendo le scale in penombra, faccio colazione e via con lo zaino. saranno le sei, l'ora esatta non ce l'ho più visto che ieri mi è caduto il cellulare in acqua. Stamattina si è acceso (grazie) ma non so dove trovare l'ora. Meglio così, meglio lasciar andare gli schemi esterni, i programmi che non lasciano spazio alla novità, al fuori programma, alla vita in definitiva. Parto e vado, dove? Dovrei continuare a risalire la Piave ma sento di aver ancora molto da capire sulle Grave di Papadopoli e in particolare su quel minuscolo campanile della chiesa di san Rocco a Salettuol. Fulvio ieri mi ha raccontato che il campanile è in miniatura e che è stato colpito da un fulmine anni fa. La chiesa pare che sia anche stata violata. Non credo nel caso, troppi curiosi indizi per non ascoltare.

Salgo sull'argine e torno verso Salettuol, poi scendo dove c'è il ponte dell'autostrada. Belli i monumenti alla pace costruiti con residutati bellici ricomposti. A quanto pare questo è un posto per incontri gay, c'è un signore cinquantenne che fa l'indifferente ma non passeggia, aspetta. Proseguendo trovo preservativi, fazzolettini, un'aria pesante. Ridurre il sesso ad una sbattutina tra le frasche è proprio un peccato. Che rapporto intimo e appagante può essere un incontro sessuale, almeno tra un uomo e una donna che si compenetrano fisicamente ed emotivamente. Lascio la Piave ad una confluenza con un canale e cammino tra i campi, i vigneti. Mi fermo a parlare con due operai in un vigneto, sono curiosi e sentito che viaggio ho intrapreso uno dei due dice che ha sempre pensato di prendere lo zaino e andare a passeggiare nei dintorni del passo san Boldo ma ha sempre rimandato. Forse è ora di non rimandare più: c'è bellezza che aspetta di essere scoperta, amore da dare alla nostra terra, degrado da soffiare via.

Con fatica raggiungo Salettuol. Il campanile sembra proprio una miniatura: la porta d'ingresso sarà alta 1 metro e trenta o giù di lì... appesa a un chiodo vedo la chiave. Non resisto, nascondo lo zaino nei cespugli, mi guardo intorno che gli abitanti non mi sono sembrati molto socievoli e poi apro e sgattaiolo dentro. Il primo incontro è con uno scoprione, cioè un altro scorpione (come me...). Evito di fargli male, penso quale significato possa avere come in un viaggio iniziatico. Ci sono delle barre di metallo infisse sulla parete, bisogna salirle senza protezioni per qualche metro. Ormai ci sono: salgo raccomandandomi al mio angelo, anzi meglio al "mio" arcangelo protettore. Arrivo, passo da una stretta apertura e DON sbatto con una delle campane. Sì perchè di campane ce ne sono due. Sbircio attorno, sono poso sopra il livello del ponte. Risbatto la testa sulla campane, sempre quella di destra. Lo prendo come un invito. Con timore la faccio risuonare lievemente. Chissà da quanto non risuona quella campana. E perchè ce ne sono due? mi riprometto di indagare, magari il 16 agosto quando ci sarà la sagra di San Rocco e scopirrò meglio i riti che si facevano per chiedere allontanare le piene. Scendo felice, ho fatto quello che dovevo, esco con circospezione e chiudo. Con aria indifferente mi rilasso sulla panchina lì accanto.

martedì 13 luglio 2010

Verso le grave - VI

Fa caldo, il sole picchia, non c'è una vera e propria strada o sentiero che costeggia la Piave risalendo da Fagarè. Attraverso campi di proprietà privata, ho la sensazione che da un momento all'altro qualcuno salterà fuori, magari col cane, e mi romperà le balle. Svelto e furtivo, per quanto la stanchezza possa concedere procedo. Mi fermo però incantato alla foce di un fiumiciattolo, che poi solo oggi ho scoperto chiamarsi Zero. Mi spoglio e mi rinfresco brevemente nelle sue acque fredde. E' bello e rasserenante muoversi nudi in mezzo alla natura, mi sembra di rinascere. Salgo sulla provinciale per Maserada, fuori Candelù mi fermo ad ammirare una casa dipinta con un tripudio di esseri mitologici marini (sirene, tritoni, cavalli e carrozze marine, barche...). Peccato che Treviso abbia lasciato scomparire le sue affascinanti case dipinte.

Chiamo un vecchio amico per un passaggio. Andrea lavora in un vivaio, conosce e ama le piante in un modo che fatico a reggere a volte, al confronto sono un balbettante neofita. Mi consolo sempre pensando che con gli alberi me la cavo molto meglio. Sempre a far confronti noi uomini, io ne so di più, io c'ho la macchina più grande ecc. ecc. Lo stemma di Maserada (Macerata recita la scritta forse latina) mostra un ragazzo su una barca sovrastato da due stelle. La Piave era il cuore dei mestieri di fiume: barcari, zattieri, pescatori, raccoglitori e intrecciatori di canne. Le Grave raggiungono in questo punto una delle ampiezze maggiori e al centro la più grande isola della Piave. Ripreso il cammino mi accontento di un paio di chilometri e al ponte di Maserada mi incontro con Edoardo che mi ospita squisitamente per una bella cena con Fulvio. A nanna presto perchè domani voglio partire presto presto.

Edoardo, Fulvio e Antonio hanno risalito tutto il fiume in 9 giorni, su su fino alle sorgenti con tappe calcolate e faticosamente conquistate. E' stato Claudio a parlarmi di loro, poi li ho seguiti via blog che Edoardo aggiornava ogni sera collegandosi con portatile e chiavetta. Per quei giorni sono diventati una specie di eroi e il nascente consorzio turistico TVB (treviso-venezia-belluno) ha salutato la loro iniziativa calorosamente aiutando a dare spazio sui giornali a queste inusuali vacanze. Inusuali ma non rare, infatti anch'io da mesi sentivo questo richiamo, ma solo dopo la loro partenza sono passato alla fase organizzativa. Ho conosciuto anche un signore di cinquantanni che oltre 20 anni fa risalì il corso con un amico, zaino e tenda in spalla. Adesso speriamo di ricominciare a vivere a misura d'uomo questo bellissimo territorio. Mi muovo come in un gioco di squadra: qualcuno ha già raggiunto le sorgenti, quale voglio che sia il mio contributo alla conoscenza della Piave? Forse la lentezza. Di certo la dimensione sottile del paesaggio, emotiva ma culturale. Non qualcosa da attraversare ma da assaporare, con le appropriate pause e senza troppi programmi.

lunedì 12 luglio 2010

Di qua e di là dalla Piave - V

Raggiungo il Ponte di Piave e lo attraverso. Mi fermo a guardare dal parapetto, regalo al fiume alcune gocce di fiori di Bach e soppeso incuriosito la folla di bagnanti: quel pescatore in mezzo al fiume sembra proprio fuori posto tra mamme, bimbi, lettini, ragazzine spalmate di crema, giovani che giocano a palla sui sassi bollenti. Son di buon umore, anche oggi attraverso la Piave: vorrei proprio che il mio viaggio oscillasse di qua e di là. Nel trevigiano e forse anche nel veneziano si sente forte la differenza, se non la rivalità, tra chi vive a Sinistra o a Destra (quella orografica... non quella politica!) della Piave. La frattura si deve essere consolidata con l'occupazione austroungarica del 1917-18 ma probabilmente è precedente. Io sento le rive un po' polarizzate: a Sinistra più femminile, inquieta, ricettiva, creativa; a Destra più maschile, conservatrice, concreta, prevedibile.

La sapete quella canzoncina:

Di qua, di là del Piave
ci sta un'osteria.
Là c'è da bere e da mangiare
ed un buon letto da riposar.

E dopo aver mangiato,
mangiato e ben bevuto.
Oi bella mora se vuoi venire,
questa è l'ora di far l'amor.

Mi si che vegnaria
per una volta sola.
Però ti prego lasciami stare
che son figlia da maritar.

Se sei da maritare
dovevi dirlo prima.
Sei sempre stata coi vecchi Alpini,
non sei figlia da maritar.

E dopo nove mesi
è nato un bel bambino.
Sputava il latte, beveva il vino,
l'era figlio d'un vecio Alpin.

Mi piace e mi mette di buon umore perchè parla d'amore, anche se un po' garibaldino, e non dell'eroismo machista che soffoca la generosa e multiforme natura della Piave. Anche per questo insisto e mi educo a chiamarla al femminile, come si faceva in dialetto prima della guerra (la Grande Guerra, che qui in Veneto spesso sembra sia appena finita), quando la lingua italiana e il mito guerriero vollero virare il sesso del fiume dalla parte "giusta".

Riprendo il cammino in allegria, all'uscita del ponte incontro un matrimonia strombazzante: saluto e l'auto degli sposi mi suona. Che bello poter realizzare in se stessi un'unione equilibrata tra la propria pare femminile e quella maschile. Probabilmente questo viaggio mi serve anche a far pace con la mia parte intuitiva, femminile, amorevole. Imparare a prendermi cura di me senza essere divorato dal bisogno di appoggiarmi ad una donna-madre. Cammino cammino ed ecco che scorgo un'altra immagine simbolo di una sintesi interiore: un fiore-drago. Una casetta porta sulla facciata un medaglione scolpito, con la fantasia vedo entrambe le figure (il fiore, la testa di drago). E' proprio ora di smetterla di ucciderlo sto drago, bisogna abbracciarlo e trasformarlo mutando noi stessi. Alchimia.

domenica 11 luglio 2010

Sulla Piave da S.Donà a Maserada - IV

Il secondo giorno sono ripartito a piedi, con il piccolo zaino frutto di molte scelte e accompagnato da una nuova consapevolezza: sto cercando le Parole. Quelle forti, vive, potenti, che arrivano a tutti. E com'è questa Parola? E' vissuta in prima persona, fiorisce nel silenzio, viene pronunciata con convinzione. Mi appresto a fare una tappa lunghissima, sarà la più lunga in assoluto, 10 ore in solitudine a macinare e poi abbandonare molti pensieri attraverso i bellissmi sentieri che da S.Donà portano a Noventa, belli da camminare, avventurosi da fare in mountain bike. La Piave mi viene incontro quieta, non ha fretta lei mentre io mi sono imposto un obiettivo e alterno 50 minuti di camminata a pause di 10-15 minuti per dosare le forze.

Ieri ho fatto tanti chilometri in bici e le gambe tengono (il sedere un po' meno). Oggi chiedo una prova ancora più dura a spalle e gambe: sto chiedendo troppo forse? E' una domanda che ritorna spesso e che servirà a trattarmi con più misericordia. Avrò l'umiltà di chiedere aiuto (ben due passaggio) per arrivare in serata da Edoardo che gentilmente mi opsiterà stanotte, pur non conoscendoci di persona. Fino oltre Noventa i sentieri serpeggiano vicini alla Piave attraverso boschi dominati a tratti dai salici, altre volte dalle robinie. Niente di più spinoso di un giovane e virente bosco di robinia, persino il sottobosco si impoverisce e regnao i rovi e poche altre piante.

Comincio a faticare per il caldo, la copertura alberata si dirada salendo verso Ponte di Piave, non vedo l'ora di raggiungere Casa Parise, punto di sosta ideale. Sembra non arrivare mai, nonostante le belle tavole di legno con le indicazioni del percorso che il Comune ha posizionato, "Dal Peralba al mare" recitano. Arrivo appena in tempo per salutare Moreno, uno dei proprietari che conosco, e fare il pieno di acqua (ho bevuto un litro e mezzo in poco più di 4 ore). Mi rilasso, scrivo, mi stendo sul tavolo di legno e mi appisolo pensando a Parise e alla sua ricerca di uno stile minimo, capace di raccontare tutte le emozioni umane. Mi sveglio ad un rumore improvviso: vedo sul gelso sopra di me uno scoiattolo che agilmente saetta via. Un po' scosso metto lo zaino in spalla e scappo via. Appena lasciata l'ombra dei gelsi e dei pioppi di Casetta Parise sento il rumore di un'auto che arriva. Appena in tempo... per prolungare quella strana solitudine, venata di misantropia, che mi culla.

sabato 10 luglio 2010

Sulla Piave : meditando- III

E dopo un'intera giornata di viaggio eccoci finalmente, io e claudio, sulla strada per l'argine della Piave per arrivare a San Donà. Sfrecciamo in bicicletta sulla strada rialzata e poi ci tuffiamo nella piccola grava alberata. Rumore di auto assedia il placido fluire del fiume: per chilometri le strade corrono sull'argine, con un inquinamento acustico e uno smog che fa sentire il suo peso. Il percorso è bello, uno sterrato in gran parte in ombra, ogni tanto qualche prato, qualche nuovo pioppeto o impianto di robinia, un campo coltivato, un unico vigneto. Dopo il ponte di Eraclea la grava si fa più larga. Abbiamo assaporato la nostra parte di more del gelso approfittando per una breve pausa: il mio sedere dopo un giorno in bicicletta ne aveva un gran bisogno.

Claudio mi ha portato a conoscere un pioppo bianco monumentale che si innalza accanto alla pista, ma che rischia di passare inosservato a chi sfreccia in bicicletta. Alto almeno una ventina di metri, con un diametro di oltre un metro e mezzo è di certo l'albero guida dell'intera zona. Poco oltre ci siamo fermati in un prato in vista di due maestosi pioppi neri: li abbiamo salutati e ci siamo messi a meditare scambiandoci esperienze e consigli sulla pratica. Il tempo si è fermato, immagini di un mondo di isole fluviali boscose, lambita da acque di smeraldo e unite da piccoli ponti di lego e corda sono emerse nella mia coscienza. E poi via per andare all'appuntamento con Michelangelo. Pedala e vola. La bicicletta è proprio una macchina geniale, che rivoluzione nei mezzi di trasporto. Però resta sempre una macchina, se non la dosi scivoli attraverso i paesaggi senza incontrarli. E infatti non si è rivelata il mezzo giusto per continuare il viaggio: dopo pochi chilometri ho bucato la ruota anteriore (la seconda volta in un giorno!!!).

Faticosamente abbiamo guadagnato il ponte di San Donà dove ho salutato la mia virgiliana guida Claudio e ho atteso Michelangelo che, insieme a Virginia, Sebastiano, Alessandra, la gatta Micius e il loro criceto mi hanno accolto per la cena e la notte. Con Michelangelo e Claudio ci siamo conosciuti poche settimane fa, partecipando alla protesta contro il taglio degli alberi che è iniziato nella golena destra della Piave. La Regione ha approvato un piano da 2 milioni di euro per fare un "taglio selettivo" di tutti gli alberi che potevano costituire una minaccia in caso di piena. Sarebbe dovuta essere anche l'occasione di ridurre la presenza, a tratti soverchiante, della robinia a favore delle specie autoctone (in quel punto salice bianco, pioppo nero e ibridi in particolare). Il lavoro, di scarsa utilità per la sicurezza idraulica a dire di molti tecnici, è stato fatto male e ha ferito molte persone che godono la bellezza del lungo fiume e l'amichevole presenza degli alberi. Il taglio in grava è una vecchia pratica di consolidata tradizione. Purtroppo oggi i tempi sono cambiati: gli alberi sono sempre di meno e la nostra coscienza collettiva sta capendo che dobbiamo invertire la tendenza.

giovedì 8 luglio 2010

Sulla Piave - II

E' stato il mio primo bagno della stagione quello alla foce della Piave a Cortellazzo. E' stato un gesto simbolico, una specie di battesimo per lavar via tutto ciò che io sono stato prima ed aprirmi in ogni poro ad assorbire le esperienze che il viaggio mi avrebbe offerto. Volevo capire di più l'acqua, volevo capire questo fiume e perchè sia un "fiume sacro". ma anche capire meglio me, in un momento di infuocati assestamenti in ogni ambito della mia vita. E' fredda l'acqua della Piave. Il suo flusso continua visibilmente per un bel po' anche quando si tuffa in mare, come quando si butta una goccia di colore in un bicchiere d'acqua pulita: il colore crea volute che lo fanno mescolare ma al centro continua ad avanzare fino a sciogliersi e confondersi. Crea una specie di sistema radicale fatto di vortici d'acqua di diverse qualità: fredda, dolce e carica di sedimenti quella della Piave, più calda, salata e leggera quella dell'Adriatico.

Ho intitolato il primo post "pellegrinaggio lungo la Piave". Per me non è stato solo un viaggio. O meglio secondo me ogni vero viaggio è un pellegrinaggio, una ricerca, una quest come quella del Santo Graal, di quella parte preziosa di noi stessi che ancora sfugge alla nostra coscienza ma di cui sentiamo la mancanza. Perchè risalire il fiume e non discenderlo? Non nasce forse a monte? Di questo ho parlato anche con Marko Pogacnik, il rifondatore della moderna geomanzia. Scendere il fiume è come accompagnarsi alla sua corrente, sto accanto al fiume, il suo flusso agevola il mio movimento e la mia attenzione tende a scivolare via anch'essa. Risalirlo vuol dire andarci incontro, come ad una persona che vuoi abbracciare. Ci si guarda in faccia, si risale il corso e si aumenta anche la quota, si "scala" il corso del fiume che segue le pendenze impercettibili della pianura che ha contribuito a formare nelle ere precedenti. In un certo senso ci si eleva.

Mi confrontavo con Pogacnik anche su una mia impressione: l'acqua del fiume scende a valle, ma qualcosa credo che risalga contro corrente. E' un po' come se il mare soffiasse la sua vita liquida dentro la dura terra emersa, dando vita a questi embrioni (i continenti) che ha fatto emergere per arricchire ancor più le possibilità evolutive dei suoi figli animali, vegetali, minerali. Le dolomiti non erano forse fondi di oceano? Qualcosa risale: risale l'acqua salmastra con le maree, risalgono alcune specie di pesce, risalgono gli uccelli che fanno la spola tra mare, laguna ed entroterra ed usano i fiumi come autostrade. Secondo me piccole gocce di varia provenienza compiono il miracolo: ritornano alla sorgente. Dall'energia che libera una grande cascata che riversa decine di metri cubi di acqua nel baratro si alza un vapore continuo, microgocce si librano nell'aria e contraddicono l'universale legge dell'entropia tornando al di sopra del salto. E così io credo qualcosa di sottile, eterico risalga dalle foci alle sorgenti mettendo in comunicazione la sensualità creativa dei mari alla celeste serenità delle montagne.