Bigolino è un paesetto della Sinistra Piave, la riva è alta e scoscesa ma il rapporto col fiume è profondo: il nome deriva dal "bigolo", la pertica che gli zattieri usavano per manovrare le zattere di legname lungo il fiume. La piazzetta centrale è tagliata in due dalla provinciale (che peccato): a destra si staglia un monumento ai caduti con un fante che avanza impavido sotto a due colonne con un leone (senza ali e senza vangelo); a sinistra sagrato un po' degradato, una fontana secca con la statua del Cristo e la chiesa parrocchiale. La facciata è semplice e riporta la scritta latina "Qui ut Deo?", cioè "Chi è come Dio?", è il significato del nome ebraico Mikael, infatti la chiesa è dedicata all'arcangelo Michele, principe delle milizie celesti e volto di Dio, cioè colui che ne manifesta maggiormente lo splendore. A sinistra, lato sud, dell'edificio c'è una meridiana accompagnata da una intrigante frase latina "Meam noscis, tuam nescis", ovvero "Conosci la mia (ora), non conosci la tua".
Mi riposo il pomeriggio e alla sera usciamo con degli amici di Andrew, quasi tutti inglesi (lui invece è neozelandese ma il commonwealth effettivamente funziona!) per salutare una coppia che si trasferisce (insieme con l'ufficio Northface) in Svizzera. Al tavolo tiro fuori il mio mazzo di tarocchi, rispolverato e benedetto da poco. Andrew accetta di fare una domanda alle carte e, una volta di più, mi accorgo di quanto sia potente questo linguaggio. Ne sono rimasto sempre affascinato ma anche un po' spaventato, solo da poche settimane, grazie alla scoperta dell'uso che ne fa Alejandro Jodorowski come strumento di diagnosi e aiuto alla guarigione, ho ricominciato a studiarli e provarli. Finchè li provo su di me il rischio di raccontarmela è alto, per questo desidero condividere questa abilità con gli altri, per affinarla e renderla uno strumento utile, non uno strumento di superstizione ma un alfabeto che parla forte all'inconscio.
Al mattino parto con calma, è il quinto giorno di viaggio. Comincio a sentirmi prorio bene, si è rotto il ciclo di pensieri e abitudini che mi incatenava e ora mi godo sempre più la bellezza che mi viene incontro. Molte strade, alcune bruscamente interrotte dall'erosione della Piave, costeggiano il fiume. C'è una bella area attrezzata con bei passaggi, ponticelli in legno e boschetti dove trovo una famiglia di asinelli veramente belli, quelli con la croce nera sul dorso grigio, che acccettano volentieri un po' dei miei crackers. Gli alberi stanno cambiando: comincio a vedere qualche carpino, qualche pino silvestre, ginepro. Le montagne sono vicine, il fiume prende sempre più il carattere del torrente. Passeggiando disturbo una coppia di gheppi che si alzano stridendo per allontanarmi dal loro territorio. Poco oltre un piccolo coniglio saetta tra le erbe alte. Parlando con un cacciatore scopro che è proprio una razza di lepre nana. Trovo un punto dove guadare la Piave e, tolti gli scarponi, mi lascio massaggiare i polpacci dalla corrente. Proseguo sulla Destra guardando con un po' di tristezza i "castelli" di una cava di ghiaia. A forza di estrarre in alcuni punti abbiamo abbassato il letto del fiume tanto da drenare acqua dalle risorgive più a valle. E per farne poi cosa? E' proprio ora di cambiare e mettere sulla bilancia del nostro cuore le nostre scelte anche economiche.
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