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sabato 31 luglio 2010
Il lago delle cave di Predil
Domenica 25 luglio abbiamo concluso in bellezza il raduno dei migliori canadesisti italiani (! prendo la percentuale sui nuoivi iscritti sapete...) al lago delle Cave di Predil. Il gruppo si era splendidamente affiatato nei giorni (e nelle sere alcoliche e canterine) precedenti. Il tempo variabile di sabato ci ha donato una splendida mattinata, così abbiamo potuto apprezzare lo stupendo panorama montuoso che circonda il lago. Le informazioni tecniche (wikipedia) dicono che il lago si trova a 959 m, è lungo 1,5 km, largo 500 m e profondo circa 30 m, ed è per dimensioni il secondo lago del Friuli-Venezia Giulia dopo quello di Cavazzo. La sua conca, che si apre a metà circa della valle del Rio del Lago, è dominata a sud dalla Cima del Lago (2.125 m), e a nord-est dalle Cinque Punte (1.909 m, quella che si vede sullo sfondo della foto allegata, unica veramente).
L'atmosfera di questo lago è molto diversa dagli altri, io ho avvertito un senso di precarietà, di trasformazione non completata. Il ristorante rustico sul lago ha il piazzale ingombro di materiale di scavo e sul retro si intravedono i pilastri del nuovo edificio che sostituirà (forse, un giorno) le strutture provvisorie in legno e metallo. Ho potuto fare tutto il giro della riva meridionale sul bagnasciuga dato il livello dell'acqua era di un buon metro sotto la massima. Ho trovato un po' di immondizia, due piccoli insediamenti "balneari" che ho trovato poco intonati all'ambiente. Tanta plastica e colori sgargianti, un campo di pallavolo con sabbia di riporto che stava meglio a Jesolo, uno scivolo di tappeti di plastica verde per lanciarsi sul lago con i gommoni o grossi salvagenti. Inoltre la strada costeggia proprio il lago su questo lato portando rumore e smog. Al di sopra pendii scoscesi e in diversi punti frane in movimento. Abete rosso, faggio, pino silvestre le essenze più diffuse lassù. Le cime e il cielo bellissimi.
L'origine del lago è raccontata in una bella leggenda come punizione dell'avarizia e della durezza di cuore degli abitanti di un ricco paese che, dopo aver rifiutato di accogliere una donna con un bambino (o bambina?), venne sommerso in una notte di tempesta che formò il lago (trovate tutti i dettagli sul sito: http://www.minieradiraibl.it/). Nel paese vicino (Cave di Raibl) esisteva una miniera, chiusa negli anni ottanta del secolo scorso (fa impressione a dirla così), che estraeva piombo e zinco. Da allora il paese è passato da 1200 a 400 abitanti e della miniera hanno fatto un bel museo che non ho fatto in tempo a visitare.
Devo ringraziare questo bellissimo lago per molte nuove esperienze: su queste sponde ho cominciato la mia attività pubblica di lettore di tarocchi secondo l'insegnamento di Alejandro Jodorowski. Consiglio a tutti la lettura del suo agile libro "Psicomagia" ed. Feltrinelli che vi fa conoscere agilmente l'uomo e la sua opera di artista geniale, sconsiderato e follemente innamorato della vita. Ma soprattutto ho potuto iniziare a esplorare, grazie al solito Cristian, il Rio del Lago. Apparentemente era in secca a vederlo dal lago ma, risalendone il corso ho incontrato prima un piccolo serpente, poi una rana ed infine... l'acqua scrosciante, proprio quella Rock Water che il dr. Bach usa come rimedio per curare chì si sente schiavo di dogmi e rigide regole e ritrovare un'armoniosa flessiilità. Ci sono angoli di quella gola che invitano proprio alla comunione con gli elementi naturali. Ho scoperto proprio ieri che Mikao Usui, scopritore giapponese del Rei-Ki, passò 21 giorni su un monte a pregare, meditando anche regolarmente sotto una cascatella.
mercoledì 28 luglio 2010
Weisensee... lago bianco
Secondo giorno del raduno canoisti: si parte da Tarvisio per l'Austria verso il Weisensee, in realtà si scrive Weißensee. Per arrivarci abbiamo passato Hermagor (credo sia il fratello di Belfagor, il fantasma dell'opera). La meta ha meritato il viaggio. Il lago ha una forma allungata, è molto lungo (quasi 12 km) e largo meno di un chilometro. Si tratta di un lago di origine glaciale, orientato in direzione est-ovest e affiancato sui lati nord e sud da montagne. Ho scoperto su Wikipedia che si trova a un'altitudine di 930 mt s.l.m. è il più alto lago alpino balneabile d'Europa. L'acqua è stupenda, trasparente e incantevole, nei bassi fondali mostra un mondo di melma chiara e rami d'albero che compongono un paesaggio singolare, una foresta sommersa di grande bellezza.
C'è un comodo parcheggio con dei pontili galleggiante per portare le barche in acqua. Ho affrontato la titanica impresa insieme ad Oliver, veterano di ben 4 uscite mentre io ero alla prima... Abbiamo trovato un bellissimo approdo lungo la riva boscata. Ci ha attirato lì un cerchio di sassi costruito nel lago, una specie di recinto largo un metro e mezzo e sembrava un recinto sacro. Con quanta semplicità di può creare bellezza in natura, è la base della land art e secondo me è una grande opportunità evolutiva per l'uomo. Imparare a creare cose belle (e quindi anche utili perchè come si può vivere senza bellezza?) incastonate nel contesto naturale senza soluzione di continuità. E' un bellissimo messaggio per il futuro dell'umanità. Passeggiando nel bosco, dove i boscaioli avevano fatto un buon taglio selettivo, ho trovato un sacco di fragoline... mhm, che gioia quel gusto e quel profumo da cicca che riporta a dolci sensazioni d'infanzia!
Abbiamo ripreso l'esplorazione ammirando fondali, falesie, boschi. Il tempo incerto ha cominciato a peggiorare. Le prime gocce d'acqua ci hanno messo in allarme, eravamo in acqua da qualche ora ormai ed eravamo ben lontani dall'approdo. Si è alzato un po' di vento, il lago si è mutato mostrandoci un altro suo aspetto: forte, turbolento, grigio. Quello stupendo specchio di cielo e monti si è trasformato in pochi minuti in un piccolo mare agitato, facendo temere un'ulteriore peggioramento (dal punto di vista umano, semplicemente manifestava altre qualità). Ci siamo accaniti sulle pagaie per riguadagnare terra, il gruppo si è diviso nel lungo interminabile tragitto. Con Oliver abbiamo speso molte energie a dare la massima velocità alla bella canoa canadese, prestata da openacanoe-openmind. Sembrava di partire per la guerra: muscoli, sudore, tensione, attenzione al ritmo dell'altro rematore, l'approdo lontanissimo, le onde in aumento... Poi il tempo ci ha graziati, le raffiche di vento si sono calmate e la pioggia è scemata.
Terra! Quanto è bello rimettere i piedi per terra dopo aver viaggiato nel mondo liquido, magari anche inginocchiati a pagaiare con le caviglie ormai insensibili dopo molto dolore. All'arrivo il sole è ritornato, così ho atteso il rientro del gruppo sdraiato sul pontile, con i piedi in acqua mentre lasciavo vagare l'attenzione e cercavo di non badare ai miei pensieri. Meditazione. Mi sono rilassato fin quasi ad appisolarmi. Quando ho deciso di alzarmi per un po' tutto sembrava normale ma poi a cena e per molte ore mi sono accorto che mi ero portato via il lago. Ce l'avevo dentro, risentivo l'oscillare della canoa, l'ondeggiare sberluccicante dell'acqua, la sua limpidezza, la forza quieta delle piccole montagne boscose che lo accolgono. E' bello essere un lago, allo stesso tempo ben definito e stabile ma continuamente in movimento nella profondità (nell'interiorità). Voglio essere un lago!
lunedì 26 luglio 2010
Solcando acque tranquille
Quanto sono belli i laghi. Ne ho visitati tre questo fine settimana col gruppo canoistico opencanoe-openmind: il Bohini in Slovenia, il Weisensee in Austria e quello di Predil in Italia. Abbiamo fatto base appena fuori Tarvisio in un ostello del parco naturale della Foresta di Tarvisio. L'ostello è un recentissimo restauro e si inserisce delicatamente nel contesto di una piccola frazione. Accanto parte una strada bianca che sfila sotto un portale formato da due enormi e bellissimi vecchi olmi. Poco oltre sui pascoli ho incontrato alle 6 e mezza due cerve che sono fuggite saltando e correndo: grazie e potenza superbamente interpretate. Il gruppo era composto da appassionati della canoa canadese (milanesi, veneziani, trevigiani, torinesi, triestini e perugini) e della natura.
Il lago di Bohini si trova all'interno del parco nazionale del Triglav in Slovenia. E' molto frequentato da gitanti, bagnanti e corsi di vela e surf, specialmente dal versante dove si amplia la valle formata dalla Sava Bohiniska. Con le barche è però possibile raggiungere abbastanza facilmente delle piccole spiagge sassose sul lato settentrionale, lontano dalle carreggiabili. L'acqua è profonda e riflette un bell'anfiteato di monti che lo accolgono su tre lati. Sono montagne austere, serie e di altezza riguardevole. Se il lago di Bled è la meta del turismo romantico, Bohini è più avventuroso e crudo. E' molto intonato la fedele statua bronzea di un camoscio che fa bella mostra su un masso che accoglie i visitatori. La piccola Sava, che qui è un timido torrente, è attraversata da un ponte al di là del quale merita una visita la chiesetta di S.Giovanni Battista. Sulla parete meridionale sono visibili ben tre affreschi dedicati a s.Cristoforo, il gigante eremita che traghettò Gesù bambino oltre un fiume, patrono di tutti i mestieri di fiume. Ad esempio Treviso vanta un grandioso S.Cristoforo alto almeno sette metri nella navata destra della chiesa di S.Nicolò.
Nella chiesetta si può incontrare la testa di Giovanni Battista: una testa di legno appoggiata su un tavolino a destra dell'altare. Giovanni infatti, dopo aver preannunciato fin dall'utero di sua madre, l'avvento della divinità incarnata in un essere umano (Gesù di Nazareth che manifesterà la forza di Cristo per tre anni), perderà la testa. Il mito racconta che Erode lo imprigionò stanco della sua accesa predicazione moralizzante che non ne risparmiava neanche a lui, il re dei Giudei. Non osava però ucciderlo, in quanto profeta, finchè la bella Salomè gli fece "perdere la testa" a sua volta e gli chiese la decapitazione di Giovanni. Dopo questa terribile morte Gesù di Nazareth manifestò apertamente la sua provenienza divina con miracoli e predicazione incessante.
Ma cosa rappresenta l'impulso di Giovanni Battista in noi? E' la voce di uno che grida nelle solitudini, la voce della coscienza che porta ordine nella nostra personalità seguendo una legge morale, una profonda etica che trasforma il nostro modo di ragionare dividendo nettamente il bene dal male. E' quella parte che testimonia a favore dell'uomo, che ci vuole impossibilmente perfetti. Dico impossibilmente perchè l'uomo da solo non ha la forza di trasformarsi anche seguendo le più alte leggi karmiche, se non in tempi geologici. E' qui che arriva la Grazia, la Parola che ci chiama ad alzarci e prendere il nostro lettuccio per camminare sulla strada evolutiva seguendo l'unico comandamento: amatevi gli uni gli altri, come Io ho amato voi. Una bella scorciatoia la Grazia e di sicura potenza, in grado di resuscitare persino i morti!
Il lago di Bohini si trova all'interno del parco nazionale del Triglav in Slovenia. E' molto frequentato da gitanti, bagnanti e corsi di vela e surf, specialmente dal versante dove si amplia la valle formata dalla Sava Bohiniska. Con le barche è però possibile raggiungere abbastanza facilmente delle piccole spiagge sassose sul lato settentrionale, lontano dalle carreggiabili. L'acqua è profonda e riflette un bell'anfiteato di monti che lo accolgono su tre lati. Sono montagne austere, serie e di altezza riguardevole. Se il lago di Bled è la meta del turismo romantico, Bohini è più avventuroso e crudo. E' molto intonato la fedele statua bronzea di un camoscio che fa bella mostra su un masso che accoglie i visitatori. La piccola Sava, che qui è un timido torrente, è attraversata da un ponte al di là del quale merita una visita la chiesetta di S.Giovanni Battista. Sulla parete meridionale sono visibili ben tre affreschi dedicati a s.Cristoforo, il gigante eremita che traghettò Gesù bambino oltre un fiume, patrono di tutti i mestieri di fiume. Ad esempio Treviso vanta un grandioso S.Cristoforo alto almeno sette metri nella navata destra della chiesa di S.Nicolò.
Nella chiesetta si può incontrare la testa di Giovanni Battista: una testa di legno appoggiata su un tavolino a destra dell'altare. Giovanni infatti, dopo aver preannunciato fin dall'utero di sua madre, l'avvento della divinità incarnata in un essere umano (Gesù di Nazareth che manifesterà la forza di Cristo per tre anni), perderà la testa. Il mito racconta che Erode lo imprigionò stanco della sua accesa predicazione moralizzante che non ne risparmiava neanche a lui, il re dei Giudei. Non osava però ucciderlo, in quanto profeta, finchè la bella Salomè gli fece "perdere la testa" a sua volta e gli chiese la decapitazione di Giovanni. Dopo questa terribile morte Gesù di Nazareth manifestò apertamente la sua provenienza divina con miracoli e predicazione incessante.
Ma cosa rappresenta l'impulso di Giovanni Battista in noi? E' la voce di uno che grida nelle solitudini, la voce della coscienza che porta ordine nella nostra personalità seguendo una legge morale, una profonda etica che trasforma il nostro modo di ragionare dividendo nettamente il bene dal male. E' quella parte che testimonia a favore dell'uomo, che ci vuole impossibilmente perfetti. Dico impossibilmente perchè l'uomo da solo non ha la forza di trasformarsi anche seguendo le più alte leggi karmiche, se non in tempi geologici. E' qui che arriva la Grazia, la Parola che ci chiama ad alzarci e prendere il nostro lettuccio per camminare sulla strada evolutiva seguendo l'unico comandamento: amatevi gli uni gli altri, come Io ho amato voi. Una bella scorciatoia la Grazia e di sicura potenza, in grado di resuscitare persino i morti!
mercoledì 21 luglio 2010
Due anni senza tv... e senza frigo
Quando mi sono separato da mia moglie ho avuto una grande opportunità: ho vissuto per un anno in un rustico (un po' malconcio) nelle campagne di Oderzo. Si chiamava "borgo Lippi" ed era bellissimo. Ci ho abitato da giugno 2008 a luglio 2009. Ci sono voluti mesi per rederlo presentabile. Contrattavo ogni miglioria e ammodernamento tecnologico con me stesso, interrogandomi ogni volta con rigore se avevo davvero bisogno di questa o quella comodità... ci ho messo un mese a riaprire il contratto con l'acquedotto. Avevo installato una cisterna per l'acqua piovana che usavo per lavarmi. Andavo a prendermi fusti di acqua ad una fontana. Due mesi per l'elettricità, prima stavo al lume di candela e ho superato la mia paura infantile del buio. L'elettricità ha posto un bell'interrogativo: quali elettrodomestici installare? beh, a me serviva la luce e la possibilità di ricaricare la batteria del cellulare. Poi è arrivato anche un computer portatile con chiavetta usb per internet (rigorosamente sole 10 ore... al mese!).
Un fornelletto da campeggio faceva da cucina, insieme alla cucina economica a legna. Tenevo un piccolo orto davanti a casa e avevo la vista su campi aperti dal primo piano. Fagiani che scorazzavano, anatre e rane nel fosso dietro casa (e pure zanzare sì), una coppia di scoiattoli che rosicchiava le pigne dei due grandi abeti rossi del giardino e le noci abbondanti del bosco intorno (su ben 3 lati c'era un giovane bosco... bello bello bello) e tante lucciole e anche una famiglia di ricci per qualche tempo. I picchi avevano nidificato nella soffitta. Che incontro da brivido nella notte, dopo un battito selvaggio sulla porta della soffitta, a lume di torcia a led... un piccolo picchio che faceva pratica e io blu dalla paura, ah aha ah!!! Grazie Dio per quelle esperienze, belle-brutte ma tutte intense.
Non mi ha mai sfiorato il pensiero di prendermi un tv. Finalmente mi ero liberato da questa tentazione che spesso uccideva le serata, le riempiva di cose che, intelligenti o sceme, non mi servivano. A me Francisco, come essere umano in evoluzione, i contenuti e l'intrattenimento proposto non serviva. Mi piacciono i film ma io non riesco ad usare il video per acculturarmi. Vedo le cose e poi le dimentico, ho bisogno di fare in prima persona: leggere, ascoltare, chiedere, discuetere, provare, sperimentare.
Sul frigo ho riflettuto un po'. A cosa mi sarebbe servito? D'inverno c'erano un sacco di davanzali in tutte direzioni cardinali, quindi bastava poggiare la roba là e si conservava benissimo. Il latte ho cominciato a berlo sempre meno, da quando ho cominciato a capire quale costo emotivo aveva: pochi giorni dopo la nascita il vitellino viene allontanato dalla madre che così viene spremuta dalla mungitrice meccanica. A suo figlio danno gli avanzi e qualche integratore. Se gli va bene altri vitellini con cui condividere la triste sorte. E per me che non ho potuto assaggiare il latte di mia madre che lo ha perso poco dopo il parto è una cosa troppo brutta. Non avere il frigo nella stagiona calda implica disciplina: mangio quello che compro, modo spartano per ridurre gli sprechi e anche i consumi di energia elettrica. Non dico che sia necessario rinunciare al frigo ma che 1- si può vivere anche senza (se non come campavano fino a 60 anni fa?), 2- senza si sta attenti a cosa e perchè si compra una cosa deperibile, 3 - la nutella non ha bisogno del frigo...
Oggi vivo in una bella porzione di rustico ristrutturata a Scorzè. Ho elettricità, riscaldamento a gas (a Oderzo avevo una vecchia e fumosa stufa economica... che affumicate!), prese ethernet in ogni stanza (il mio padrone di casa ci lavora con internet). Però il frigo ancora non c'è. Marcello e Cinzia, i padroni e amici, me lo hanno offerto, ne avevano uno in più. E' rimasto in garage per qualche mese. Poi ho pensato che poteva serivirmi per fare preprare i semi prima della semina (simulando un inverno si stimola la germinazione appena vengono messi nel terreno) e così l'ho portato in casa, nel mio castello di 40 mq. Ma è ancora lì, adesso è diventata la mia dispensa di fiori di Bach. Ho una collezione quasi compelta ed ho cominciato a prepararmi le tinture madre delle essenze che conosco. Non è male come scrigno delle meraviglie anche spento!
Un fornelletto da campeggio faceva da cucina, insieme alla cucina economica a legna. Tenevo un piccolo orto davanti a casa e avevo la vista su campi aperti dal primo piano. Fagiani che scorazzavano, anatre e rane nel fosso dietro casa (e pure zanzare sì), una coppia di scoiattoli che rosicchiava le pigne dei due grandi abeti rossi del giardino e le noci abbondanti del bosco intorno (su ben 3 lati c'era un giovane bosco... bello bello bello) e tante lucciole e anche una famiglia di ricci per qualche tempo. I picchi avevano nidificato nella soffitta. Che incontro da brivido nella notte, dopo un battito selvaggio sulla porta della soffitta, a lume di torcia a led... un piccolo picchio che faceva pratica e io blu dalla paura, ah aha ah!!! Grazie Dio per quelle esperienze, belle-brutte ma tutte intense.
Non mi ha mai sfiorato il pensiero di prendermi un tv. Finalmente mi ero liberato da questa tentazione che spesso uccideva le serata, le riempiva di cose che, intelligenti o sceme, non mi servivano. A me Francisco, come essere umano in evoluzione, i contenuti e l'intrattenimento proposto non serviva. Mi piacciono i film ma io non riesco ad usare il video per acculturarmi. Vedo le cose e poi le dimentico, ho bisogno di fare in prima persona: leggere, ascoltare, chiedere, discuetere, provare, sperimentare.
Sul frigo ho riflettuto un po'. A cosa mi sarebbe servito? D'inverno c'erano un sacco di davanzali in tutte direzioni cardinali, quindi bastava poggiare la roba là e si conservava benissimo. Il latte ho cominciato a berlo sempre meno, da quando ho cominciato a capire quale costo emotivo aveva: pochi giorni dopo la nascita il vitellino viene allontanato dalla madre che così viene spremuta dalla mungitrice meccanica. A suo figlio danno gli avanzi e qualche integratore. Se gli va bene altri vitellini con cui condividere la triste sorte. E per me che non ho potuto assaggiare il latte di mia madre che lo ha perso poco dopo il parto è una cosa troppo brutta. Non avere il frigo nella stagiona calda implica disciplina: mangio quello che compro, modo spartano per ridurre gli sprechi e anche i consumi di energia elettrica. Non dico che sia necessario rinunciare al frigo ma che 1- si può vivere anche senza (se non come campavano fino a 60 anni fa?), 2- senza si sta attenti a cosa e perchè si compra una cosa deperibile, 3 - la nutella non ha bisogno del frigo...
Oggi vivo in una bella porzione di rustico ristrutturata a Scorzè. Ho elettricità, riscaldamento a gas (a Oderzo avevo una vecchia e fumosa stufa economica... che affumicate!), prese ethernet in ogni stanza (il mio padrone di casa ci lavora con internet). Però il frigo ancora non c'è. Marcello e Cinzia, i padroni e amici, me lo hanno offerto, ne avevano uno in più. E' rimasto in garage per qualche mese. Poi ho pensato che poteva serivirmi per fare preprare i semi prima della semina (simulando un inverno si stimola la germinazione appena vengono messi nel terreno) e così l'ho portato in casa, nel mio castello di 40 mq. Ma è ancora lì, adesso è diventata la mia dispensa di fiori di Bach. Ho una collezione quasi compelta ed ho cominciato a prepararmi le tinture madre delle essenze che conosco. Non è male come scrigno delle meraviglie anche spento!
martedì 20 luglio 2010
XI - Ascensione
Incontro una colonia intera di aironi cinerini. Non ne avevo mai visti tanti! E' uno degli uccelli che più mi affascina, chissà a quale forma pensiero è collegato? Saranno più di cinquanta in un'ampia ansa di ghiaia e boschi, la mia presenza li disturba, anche se cerco di avanzare lentamente. Se ne vanno! Spettacolare danza di ali! Arrivo alla diga di Segusino, è la seconda che incontro. E' molto più vecchia di quella di Nervesa, da qui parte il canale Battaglia che va alla centrale elettrica di Castelviero sotto il Montello. Sulla facciata dell'edificio di controllo c'è ancora l'aquila che regge il fascio e accanto il leone di san Marco. L'acqua che viene lasciata alla Piave deve inchinarsi sotto le saracinesche che ne centellinano il flusso. La diga è di vecchia concezione, di quelle a terrapieno e forma un ampio lago palustre. Riattraverso la Piave a poche centinaia di metri dalla diga, la osservo e questa volta non mi lascio intimidire e prego per il fiume e per il cuore degli uomini che ne riconoscano la dignità.
Sotto la diga, nella Sinistra Piave, c'è una ampia vasca di contenimento profonda meno di un metro che termina sotto la provinciale, 6-7 metri più alta. L'ho subito eletta a piscina, per non dare scandalo mi sono messo pure il costume e via come un bimbo a camminare e giocare con l'acqua. E' fredda e ci ho messo un'ora prima di immergermi. Mi sono proprio immerso e ne sono uscito alla velocità della luce, poi ho fatto qualche simbolica bracciata. Ho trovato un bellissimo tronco d'albero che ho soprannominato "il coccodrillo" e l'ho usato per navigare spingendomi con un palo. Mi ha preso una grande gioia infantile. Mi sono messo a cantare una improvvisata canzone alla Piave sulla falsariga di Paloma in chiave gioiosa. Mi sono anche messo a pregare, ma quella solita preghiera all'arcangelo Michele mi stava ormani stretta.
Ad un certo punto l'acqua del lago ha cominciato a tracimare... impressionante ricordarsi di essere sotto il livello del fiume. Mi sono ritirato in buon ordine, domando l'inquietudine. Mi restava nel cuore il desiderio di raggiungere un luogo elevato e qui, all'inizio della gola del Piave, sciogliere la mia per trovare le Parole che, a partire da San Donà, stavo cercando. Arretrando per alcune centinaia di metri ho scoperto lo sterrato che risaliva sulla strada provinciale e appena ci sono sbucato mi si è parata di fronte una strada di pietre che saliva sul monte. Sono rimasto indeciso, come aspettando un'indicazione. Un fiorino l'ha imboccata ed è sparito tra gli alberi... ho rotto gli indugi e, attraversando, ho notato un'indicazione del CAI per un sentiero che prometteva di portarmi in 40 minuti alla chiesetta di San Gervasio e Protasio, qualche centinaio di metri più sù. Ho trovato anche un bastone di sambuco appoggiato lì accanto. Non potevo proprio rifiutare un così bell'invito.
+ + +
Così sì è concluso il viaggio accanto alla Piave ed è cominciato un viaggio più interiore. Sarò felice di condividerlo con voi, ma non lo pubblicherò sul blog: scrivetemi o lasciate un commento con una mail e ve lo manderò.
Sotto la diga, nella Sinistra Piave, c'è una ampia vasca di contenimento profonda meno di un metro che termina sotto la provinciale, 6-7 metri più alta. L'ho subito eletta a piscina, per non dare scandalo mi sono messo pure il costume e via come un bimbo a camminare e giocare con l'acqua. E' fredda e ci ho messo un'ora prima di immergermi. Mi sono proprio immerso e ne sono uscito alla velocità della luce, poi ho fatto qualche simbolica bracciata. Ho trovato un bellissimo tronco d'albero che ho soprannominato "il coccodrillo" e l'ho usato per navigare spingendomi con un palo. Mi ha preso una grande gioia infantile. Mi sono messo a cantare una improvvisata canzone alla Piave sulla falsariga di Paloma in chiave gioiosa. Mi sono anche messo a pregare, ma quella solita preghiera all'arcangelo Michele mi stava ormani stretta.
Ad un certo punto l'acqua del lago ha cominciato a tracimare... impressionante ricordarsi di essere sotto il livello del fiume. Mi sono ritirato in buon ordine, domando l'inquietudine. Mi restava nel cuore il desiderio di raggiungere un luogo elevato e qui, all'inizio della gola del Piave, sciogliere la mia per trovare le Parole che, a partire da San Donà, stavo cercando. Arretrando per alcune centinaia di metri ho scoperto lo sterrato che risaliva sulla strada provinciale e appena ci sono sbucato mi si è parata di fronte una strada di pietre che saliva sul monte. Sono rimasto indeciso, come aspettando un'indicazione. Un fiorino l'ha imboccata ed è sparito tra gli alberi... ho rotto gli indugi e, attraversando, ho notato un'indicazione del CAI per un sentiero che prometteva di portarmi in 40 minuti alla chiesetta di San Gervasio e Protasio, qualche centinaio di metri più sù. Ho trovato anche un bastone di sambuco appoggiato lì accanto. Non potevo proprio rifiutare un così bell'invito.
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Così sì è concluso il viaggio accanto alla Piave ed è cominciato un viaggio più interiore. Sarò felice di condividerlo con voi, ma non lo pubblicherò sul blog: scrivetemi o lasciate un commento con una mail e ve lo manderò.
domenica 18 luglio 2010
Bigolino - X
Bigolino è un paesetto della Sinistra Piave, la riva è alta e scoscesa ma il rapporto col fiume è profondo: il nome deriva dal "bigolo", la pertica che gli zattieri usavano per manovrare le zattere di legname lungo il fiume. La piazzetta centrale è tagliata in due dalla provinciale (che peccato): a destra si staglia un monumento ai caduti con un fante che avanza impavido sotto a due colonne con un leone (senza ali e senza vangelo); a sinistra sagrato un po' degradato, una fontana secca con la statua del Cristo e la chiesa parrocchiale. La facciata è semplice e riporta la scritta latina "Qui ut Deo?", cioè "Chi è come Dio?", è il significato del nome ebraico Mikael, infatti la chiesa è dedicata all'arcangelo Michele, principe delle milizie celesti e volto di Dio, cioè colui che ne manifesta maggiormente lo splendore. A sinistra, lato sud, dell'edificio c'è una meridiana accompagnata da una intrigante frase latina "Meam noscis, tuam nescis", ovvero "Conosci la mia (ora), non conosci la tua".
Mi riposo il pomeriggio e alla sera usciamo con degli amici di Andrew, quasi tutti inglesi (lui invece è neozelandese ma il commonwealth effettivamente funziona!) per salutare una coppia che si trasferisce (insieme con l'ufficio Northface) in Svizzera. Al tavolo tiro fuori il mio mazzo di tarocchi, rispolverato e benedetto da poco. Andrew accetta di fare una domanda alle carte e, una volta di più, mi accorgo di quanto sia potente questo linguaggio. Ne sono rimasto sempre affascinato ma anche un po' spaventato, solo da poche settimane, grazie alla scoperta dell'uso che ne fa Alejandro Jodorowski come strumento di diagnosi e aiuto alla guarigione, ho ricominciato a studiarli e provarli. Finchè li provo su di me il rischio di raccontarmela è alto, per questo desidero condividere questa abilità con gli altri, per affinarla e renderla uno strumento utile, non uno strumento di superstizione ma un alfabeto che parla forte all'inconscio.
Al mattino parto con calma, è il quinto giorno di viaggio. Comincio a sentirmi prorio bene, si è rotto il ciclo di pensieri e abitudini che mi incatenava e ora mi godo sempre più la bellezza che mi viene incontro. Molte strade, alcune bruscamente interrotte dall'erosione della Piave, costeggiano il fiume. C'è una bella area attrezzata con bei passaggi, ponticelli in legno e boschetti dove trovo una famiglia di asinelli veramente belli, quelli con la croce nera sul dorso grigio, che acccettano volentieri un po' dei miei crackers. Gli alberi stanno cambiando: comincio a vedere qualche carpino, qualche pino silvestre, ginepro. Le montagne sono vicine, il fiume prende sempre più il carattere del torrente. Passeggiando disturbo una coppia di gheppi che si alzano stridendo per allontanarmi dal loro territorio. Poco oltre un piccolo coniglio saetta tra le erbe alte. Parlando con un cacciatore scopro che è proprio una razza di lepre nana. Trovo un punto dove guadare la Piave e, tolti gli scarponi, mi lascio massaggiare i polpacci dalla corrente. Proseguo sulla Destra guardando con un po' di tristezza i "castelli" di una cava di ghiaia. A forza di estrarre in alcuni punti abbiamo abbassato il letto del fiume tanto da drenare acqua dalle risorgive più a valle. E per farne poi cosa? E' proprio ora di cambiare e mettere sulla bilancia del nostro cuore le nostre scelte anche economiche.
Mi riposo il pomeriggio e alla sera usciamo con degli amici di Andrew, quasi tutti inglesi (lui invece è neozelandese ma il commonwealth effettivamente funziona!) per salutare una coppia che si trasferisce (insieme con l'ufficio Northface) in Svizzera. Al tavolo tiro fuori il mio mazzo di tarocchi, rispolverato e benedetto da poco. Andrew accetta di fare una domanda alle carte e, una volta di più, mi accorgo di quanto sia potente questo linguaggio. Ne sono rimasto sempre affascinato ma anche un po' spaventato, solo da poche settimane, grazie alla scoperta dell'uso che ne fa Alejandro Jodorowski come strumento di diagnosi e aiuto alla guarigione, ho ricominciato a studiarli e provarli. Finchè li provo su di me il rischio di raccontarmela è alto, per questo desidero condividere questa abilità con gli altri, per affinarla e renderla uno strumento utile, non uno strumento di superstizione ma un alfabeto che parla forte all'inconscio.
Al mattino parto con calma, è il quinto giorno di viaggio. Comincio a sentirmi prorio bene, si è rotto il ciclo di pensieri e abitudini che mi incatenava e ora mi godo sempre più la bellezza che mi viene incontro. Molte strade, alcune bruscamente interrotte dall'erosione della Piave, costeggiano il fiume. C'è una bella area attrezzata con bei passaggi, ponticelli in legno e boschetti dove trovo una famiglia di asinelli veramente belli, quelli con la croce nera sul dorso grigio, che acccettano volentieri un po' dei miei crackers. Gli alberi stanno cambiando: comincio a vedere qualche carpino, qualche pino silvestre, ginepro. Le montagne sono vicine, il fiume prende sempre più il carattere del torrente. Passeggiando disturbo una coppia di gheppi che si alzano stridendo per allontanarmi dal loro territorio. Poco oltre un piccolo coniglio saetta tra le erbe alte. Parlando con un cacciatore scopro che è proprio una razza di lepre nana. Trovo un punto dove guadare la Piave e, tolti gli scarponi, mi lascio massaggiare i polpacci dalla corrente. Proseguo sulla Destra guardando con un po' di tristezza i "castelli" di una cava di ghiaia. A forza di estrarre in alcuni punti abbiamo abbassato il letto del fiume tanto da drenare acqua dalle risorgive più a valle. E per farne poi cosa? E' proprio ora di cambiare e mettere sulla bilancia del nostro cuore le nostre scelte anche economiche.
Il Montello - IX
A Nervesa ho osservato la diga, il primo sbarramento sulla Piave salendo dal mare. da qui parte il canale della Vittoria che porta via una grande quantità d'acqua per l'irrigazione della Destra Piave. L'acqua passa sia attraverso un condotto che al di sopra della saracinesca che regola il deflusso. Ho raggiunto un piccolo isolotto in mezzo all'acqua vorticante e mi sono messo a sentire. La diga mi faceva un po' paura, ho cercato allora di raggiungere immaginativamente un punto luminoso, il cuore della Piave che ho immaginato al termine di una lunga galleria alla mia sinistra, sotto il Montello. Ho attinto timidamente un po' di luce da donare al fiume, ma non ero soddisfatto. Ho ripreso il cammino deciso ad andare incontro alle mie percezioni in solitudine.
Ho percorso la strada dei croderi fino alla centrale di Castelviero ma non ho trovato le indicazioni per il Tavaran grande. Forse non era saggio andarci da solo, meglio andare avanti e trovare un posto per la notte. Dormirò all'addiaccio, vicino al fiume. Trovo un angolo con vista fiume, raccolgo legna e immondizia per preparare un piccolo falò che mi faccia compagnia. Lascio una piccola offerta di cibo agli spiriti del luogo, sono un po' agitato. Aspetto il tramonto e contemplo la luce del fuoco che gioca coi sassi e mi toglie l'umido della notte di dosso. Vedo passare gabbiani e aironi che scendono in volo il corso. Lascio consumare il falò e mi infilo sul sacco a pelo. Dormo poco e male, qualche zanzara mi disturba. Accolgo inebetito l'alba. Decido di alzarmi quando vedo qualcosa che nuota in acqua a poche metri da me, qualcosa di grosso e marrone... mi alzo ma l'animale si spaventa e non riesco a identificarlo. Per fortuna poco dopo un altro esemplare risale il corso e identifico una bella nutria che nuotando e spingendosi sulle pietre appena sott'acqua comincia la sua giornata. Faccio colazione e vedo gabbiani, aironi, garzette che risalgono la Piave.
Avanzo sulla strada dissestata e piena di acqua, tra campi coltivati, prati e qualche boschetto. Ad una svolta sorprendo una daina che corre via. Ma al prato successivo ho il tempo di rivederla con una compagna. Che bello svegliarsi presto e sentirsi gli unici essere umani ad entrare nei regni di natura. Sembra molto più facile goderne le bellezze, entrare in una sensuale sintonia coi luoghi ed i loro abitanti. Ci sono angoli bellissimi in questa lingua di terra tra Montello e Piave. Per alcune decine di metri il fiume raggiunge ed erode la pietra composita del monte. La strada è ridotta ad un sentiero erto che sale irregolarmente fino ad una caverna avamposto della guerra e poi ridisce. Sembra proprio che la Piave voglia entrare nel Montello in questo punto, gli strati di roccia affioranti sono levigati e formano uno scenario mai visto prima. Più avanti tra terre incolte trovo un bellissimo bosco, un arioso pioppeto dove trovano posto pioppi neri, ibridi di pioppo bianco, ontani neri, robinie, piccoli salici e un sottobosco ricco e vario. Qui incontro anche uno scoiattolo nero nero.
Tutt'altra impressione ricevo poco oltre in un puro bosco di giovani robinie che oscurano la luce tanto sono fitte. Non lasciano spazio a nessun'altra essenza, spingendo verso il limitare del gruppo gli sparuti cespugli del sottobosco. Mi imbatto in un buco, largo oltre un metro e profondo pco più di due. Mi fermo a meditare, mi calo immaginativamente nel pozzo, immagino di cadere giù, poi decido di rallentare e mi fermo a fluttuare sull'acqua scura. Esito. Mi immergo con un brivido e vedo che una galleria laterale porta verso una luce. Mi ritrovo di nuovo al cospetto del cuore di luce del Montello. Chiedo di ricevere un globo di luce da portare in superficie. Lo plasmo nella mani e rifaccio la strada fino al mio corpo. Libero la sfera luminosa e vedo un bel paesaggio, c'è un orso che sta litigando con un pescatore perchè vuole provare la sua canna da pesca... che strana immagine!
Continuo il cammino e mi imbatto nel canale battaglia. Su consiglio di un contadino lo seguo fino a Ciano del Montello. In alcuni punti la vista sulle grave della Piave è spettacolare: il canale procede in lievissima pendenza con un dislivello di una decina di metri dal corso del fiume. Sono stanchissimo, dopo una notte così! Cerco una corriera per arrivare a Montebelluna o Valdobbiadene ma senza successo. Allora chiamo Andrew che, genitilissimo, mi propone di venirmi a prendere durante la pausa pranzo. Mi arrendo con qualche ritrosia alla sua insistente cortesia. Poi mi rilasso e lo ringrazio: mi concedo una bella pausa e un piccolo riposino.
Ho percorso la strada dei croderi fino alla centrale di Castelviero ma non ho trovato le indicazioni per il Tavaran grande. Forse non era saggio andarci da solo, meglio andare avanti e trovare un posto per la notte. Dormirò all'addiaccio, vicino al fiume. Trovo un angolo con vista fiume, raccolgo legna e immondizia per preparare un piccolo falò che mi faccia compagnia. Lascio una piccola offerta di cibo agli spiriti del luogo, sono un po' agitato. Aspetto il tramonto e contemplo la luce del fuoco che gioca coi sassi e mi toglie l'umido della notte di dosso. Vedo passare gabbiani e aironi che scendono in volo il corso. Lascio consumare il falò e mi infilo sul sacco a pelo. Dormo poco e male, qualche zanzara mi disturba. Accolgo inebetito l'alba. Decido di alzarmi quando vedo qualcosa che nuota in acqua a poche metri da me, qualcosa di grosso e marrone... mi alzo ma l'animale si spaventa e non riesco a identificarlo. Per fortuna poco dopo un altro esemplare risale il corso e identifico una bella nutria che nuotando e spingendosi sulle pietre appena sott'acqua comincia la sua giornata. Faccio colazione e vedo gabbiani, aironi, garzette che risalgono la Piave.
Avanzo sulla strada dissestata e piena di acqua, tra campi coltivati, prati e qualche boschetto. Ad una svolta sorprendo una daina che corre via. Ma al prato successivo ho il tempo di rivederla con una compagna. Che bello svegliarsi presto e sentirsi gli unici essere umani ad entrare nei regni di natura. Sembra molto più facile goderne le bellezze, entrare in una sensuale sintonia coi luoghi ed i loro abitanti. Ci sono angoli bellissimi in questa lingua di terra tra Montello e Piave. Per alcune decine di metri il fiume raggiunge ed erode la pietra composita del monte. La strada è ridotta ad un sentiero erto che sale irregolarmente fino ad una caverna avamposto della guerra e poi ridisce. Sembra proprio che la Piave voglia entrare nel Montello in questo punto, gli strati di roccia affioranti sono levigati e formano uno scenario mai visto prima. Più avanti tra terre incolte trovo un bellissimo bosco, un arioso pioppeto dove trovano posto pioppi neri, ibridi di pioppo bianco, ontani neri, robinie, piccoli salici e un sottobosco ricco e vario. Qui incontro anche uno scoiattolo nero nero.
Tutt'altra impressione ricevo poco oltre in un puro bosco di giovani robinie che oscurano la luce tanto sono fitte. Non lasciano spazio a nessun'altra essenza, spingendo verso il limitare del gruppo gli sparuti cespugli del sottobosco. Mi imbatto in un buco, largo oltre un metro e profondo pco più di due. Mi fermo a meditare, mi calo immaginativamente nel pozzo, immagino di cadere giù, poi decido di rallentare e mi fermo a fluttuare sull'acqua scura. Esito. Mi immergo con un brivido e vedo che una galleria laterale porta verso una luce. Mi ritrovo di nuovo al cospetto del cuore di luce del Montello. Chiedo di ricevere un globo di luce da portare in superficie. Lo plasmo nella mani e rifaccio la strada fino al mio corpo. Libero la sfera luminosa e vedo un bel paesaggio, c'è un orso che sta litigando con un pescatore perchè vuole provare la sua canna da pesca... che strana immagine!
Continuo il cammino e mi imbatto nel canale battaglia. Su consiglio di un contadino lo seguo fino a Ciano del Montello. In alcuni punti la vista sulle grave della Piave è spettacolare: il canale procede in lievissima pendenza con un dislivello di una decina di metri dal corso del fiume. Sono stanchissimo, dopo una notte così! Cerco una corriera per arrivare a Montebelluna o Valdobbiadene ma senza successo. Allora chiamo Andrew che, genitilissimo, mi propone di venirmi a prendere durante la pausa pranzo. Mi arrendo con qualche ritrosia alla sua insistente cortesia. Poi mi rilasso e lo ringrazio: mi concedo una bella pausa e un piccolo riposino.
sabato 17 luglio 2010
Nella Piave al ginocchio - VIII
Decido di arrivare all'isola di Papadopoli guadando la Piave. Poco a monte del ponte trovo un posto adatto, tolgo scarponi e calzini e cammino nell'acqua. E' FONDAMENTALE non bagnare gli scarponi, i piedi si possone sempre asciugare invece. La corrente mi mette alla prova, controlla se sono in equilibrio ad ogni passo. Mi bagno poco sopra le ginocchia ma in breve sono sull'isola dove mi godo un meritato bagno di sole con dormitina: oggi nessuna fretta, nessun obiettivo da raggiungere. Chiamo Fulvia e le propongo di raggiungermi a pranzo al Vecio Morer, nel frattempo esplorerò l'isola. E' grande! lunga almeno 4-5 km e larga 1 è forse la più grande isola fluviale d'Europa. I ponti ci hanno ormai fatto dimenticare questa sua insularità.
La cantina S.Giorgio domina l'accesso da Salettuol, coi suoi vigneti e il suo logo nero e bianco su fondo verde. La forma del cavaliere è stata scomposta in un triangolo che si incastra nei due triangoli veri che sono il cavallo. la lancia attraversa diagonalmente il logo. San Rocco da un lato, San Giorgio sull'isola e San Michele sulla sinistra Piave, non c'è male come trittico. Ho scoperto poi che nella provincia di Ferrara il culto di san Giorgio è molto diffuso perchè, nell'alto Medioevo, il Po ed altri corsi minori venivano considerati la tana di un drago che il santo avrebbe ucciso salvando gli abitanti. Il drago era una metafora della pericolosità delle piene del fiume che rischiavano di distruggere Ferrara.
Mentre camminavo lungo la provinciale ho assistito ad uno spettacolo tristissimo: un'ape morente girava in cerchio a bordo strada, continuava a girare e rigirare, incurante di tutto, stordita, avvelenata probabilmente da tutti quei bei prodottini che viziano la nostra agricoltura e distruggono le basi della vita organica. Ci costa troppo cara questa falsa abbondanza materiale. Chissà cosa voleva dirmi quella piccola ape, un'operaia amorevole che abbiamo ripagato così. E' proprio ora di cambiare, sento che è così ma ho paura di mettermi coscientemente al servizio di questo impulso. La comodità dell'abitudine e il quieto vivere in società sono insidiosi avversari dell'evoluzione.
Spesso ho cercato nei mesi scorsi di considerare il fiume come un unico organismo e cercavo corrispondenza basandomi su una comparazione con l'essere umano, in particolare a livello dei chackra. Dove e quali sono i chackra, i centri vitali della Piave? L'isola di Papadopoli la collocherei nell'apparato digestivo, forse lo stomaco? In questa zona collocherei il terzo chackra del fiume. Nella zona di San Donà il secondo, nel mare antistante la foce il primo. Più a monte nella zona del Montello il cuore, il quarto chackra e poi, nelle gole ovviamente, il quinto, nella zona di Pagogna ho avuto un'esperienza relativa alla visione (sesto). Ci vorrebbe un'indagine più intensa, per ora lascio che l'intuito mi guidi senza rigidità. Girovago senza troppa convizione per l'isola e accolgo con gioia l'arrivo di Fulvia per un piacevole pranzo al ristorante e una chiacchierata.
Mi accorgo che fatico a condividere cosa mi sta succedendo dentro, il senso che comincio a dare a questo viaggio. Anche le perle più preziose a raccontarle si sviliscono. Mi sento un po' solo anche se voglio proprio evitare di ritrovarmi veramente solo con me stesso. Sì, faccio resistenza, ho un po' paura di conoscermi un po' di più lavorando in silenzio nell'interiorità. Approfitto della cortesia di Fulvia e mi faccio accompagnare fino a Nervesa per riprendere il viaggio. Passiamo appena fuori S.Michele di Piave e intravedo la scintillante cupola della parrocchiale che mi riprometto di visitare in futuro. A Nervesa prendo la via dei croderi. Ho ancora tutto il pomeriggio davanti e spero di poter raggiungere ed esplorare la caverna del Tavaran grande.
La cantina S.Giorgio domina l'accesso da Salettuol, coi suoi vigneti e il suo logo nero e bianco su fondo verde. La forma del cavaliere è stata scomposta in un triangolo che si incastra nei due triangoli veri che sono il cavallo. la lancia attraversa diagonalmente il logo. San Rocco da un lato, San Giorgio sull'isola e San Michele sulla sinistra Piave, non c'è male come trittico. Ho scoperto poi che nella provincia di Ferrara il culto di san Giorgio è molto diffuso perchè, nell'alto Medioevo, il Po ed altri corsi minori venivano considerati la tana di un drago che il santo avrebbe ucciso salvando gli abitanti. Il drago era una metafora della pericolosità delle piene del fiume che rischiavano di distruggere Ferrara.
Mentre camminavo lungo la provinciale ho assistito ad uno spettacolo tristissimo: un'ape morente girava in cerchio a bordo strada, continuava a girare e rigirare, incurante di tutto, stordita, avvelenata probabilmente da tutti quei bei prodottini che viziano la nostra agricoltura e distruggono le basi della vita organica. Ci costa troppo cara questa falsa abbondanza materiale. Chissà cosa voleva dirmi quella piccola ape, un'operaia amorevole che abbiamo ripagato così. E' proprio ora di cambiare, sento che è così ma ho paura di mettermi coscientemente al servizio di questo impulso. La comodità dell'abitudine e il quieto vivere in società sono insidiosi avversari dell'evoluzione.
Spesso ho cercato nei mesi scorsi di considerare il fiume come un unico organismo e cercavo corrispondenza basandomi su una comparazione con l'essere umano, in particolare a livello dei chackra. Dove e quali sono i chackra, i centri vitali della Piave? L'isola di Papadopoli la collocherei nell'apparato digestivo, forse lo stomaco? In questa zona collocherei il terzo chackra del fiume. Nella zona di San Donà il secondo, nel mare antistante la foce il primo. Più a monte nella zona del Montello il cuore, il quarto chackra e poi, nelle gole ovviamente, il quinto, nella zona di Pagogna ho avuto un'esperienza relativa alla visione (sesto). Ci vorrebbe un'indagine più intensa, per ora lascio che l'intuito mi guidi senza rigidità. Girovago senza troppa convizione per l'isola e accolgo con gioia l'arrivo di Fulvia per un piacevole pranzo al ristorante e una chiacchierata.
Mi accorgo che fatico a condividere cosa mi sta succedendo dentro, il senso che comincio a dare a questo viaggio. Anche le perle più preziose a raccontarle si sviliscono. Mi sento un po' solo anche se voglio proprio evitare di ritrovarmi veramente solo con me stesso. Sì, faccio resistenza, ho un po' paura di conoscermi un po' di più lavorando in silenzio nell'interiorità. Approfitto della cortesia di Fulvia e mi faccio accompagnare fino a Nervesa per riprendere il viaggio. Passiamo appena fuori S.Michele di Piave e intravedo la scintillante cupola della parrocchiale che mi riprometto di visitare in futuro. A Nervesa prendo la via dei croderi. Ho ancora tutto il pomeriggio davanti e spero di poter raggiungere ed esplorare la caverna del Tavaran grande.
mercoledì 14 luglio 2010
Il terzo giorno... - VII
Sveglia presto, complice il camion di raccolta rifiuti che è passato sotto la mia finestra aperta. Scendo le scale in penombra, faccio colazione e via con lo zaino. saranno le sei, l'ora esatta non ce l'ho più visto che ieri mi è caduto il cellulare in acqua. Stamattina si è acceso (grazie) ma non so dove trovare l'ora. Meglio così, meglio lasciar andare gli schemi esterni, i programmi che non lasciano spazio alla novità, al fuori programma, alla vita in definitiva. Parto e vado, dove? Dovrei continuare a risalire la Piave ma sento di aver ancora molto da capire sulle Grave di Papadopoli e in particolare su quel minuscolo campanile della chiesa di san Rocco a Salettuol. Fulvio ieri mi ha raccontato che il campanile è in miniatura e che è stato colpito da un fulmine anni fa. La chiesa pare che sia anche stata violata. Non credo nel caso, troppi curiosi indizi per non ascoltare.
Salgo sull'argine e torno verso Salettuol, poi scendo dove c'è il ponte dell'autostrada. Belli i monumenti alla pace costruiti con residutati bellici ricomposti. A quanto pare questo è un posto per incontri gay, c'è un signore cinquantenne che fa l'indifferente ma non passeggia, aspetta. Proseguendo trovo preservativi, fazzolettini, un'aria pesante. Ridurre il sesso ad una sbattutina tra le frasche è proprio un peccato. Che rapporto intimo e appagante può essere un incontro sessuale, almeno tra un uomo e una donna che si compenetrano fisicamente ed emotivamente. Lascio la Piave ad una confluenza con un canale e cammino tra i campi, i vigneti. Mi fermo a parlare con due operai in un vigneto, sono curiosi e sentito che viaggio ho intrapreso uno dei due dice che ha sempre pensato di prendere lo zaino e andare a passeggiare nei dintorni del passo san Boldo ma ha sempre rimandato. Forse è ora di non rimandare più: c'è bellezza che aspetta di essere scoperta, amore da dare alla nostra terra, degrado da soffiare via.
Con fatica raggiungo Salettuol. Il campanile sembra proprio una miniatura: la porta d'ingresso sarà alta 1 metro e trenta o giù di lì... appesa a un chiodo vedo la chiave. Non resisto, nascondo lo zaino nei cespugli, mi guardo intorno che gli abitanti non mi sono sembrati molto socievoli e poi apro e sgattaiolo dentro. Il primo incontro è con uno scoprione, cioè un altro scorpione (come me...). Evito di fargli male, penso quale significato possa avere come in un viaggio iniziatico. Ci sono delle barre di metallo infisse sulla parete, bisogna salirle senza protezioni per qualche metro. Ormai ci sono: salgo raccomandandomi al mio angelo, anzi meglio al "mio" arcangelo protettore. Arrivo, passo da una stretta apertura e DON sbatto con una delle campane. Sì perchè di campane ce ne sono due. Sbircio attorno, sono poso sopra il livello del ponte. Risbatto la testa sulla campane, sempre quella di destra. Lo prendo come un invito. Con timore la faccio risuonare lievemente. Chissà da quanto non risuona quella campana. E perchè ce ne sono due? mi riprometto di indagare, magari il 16 agosto quando ci sarà la sagra di San Rocco e scopirrò meglio i riti che si facevano per chiedere allontanare le piene. Scendo felice, ho fatto quello che dovevo, esco con circospezione e chiudo. Con aria indifferente mi rilasso sulla panchina lì accanto.
Salgo sull'argine e torno verso Salettuol, poi scendo dove c'è il ponte dell'autostrada. Belli i monumenti alla pace costruiti con residutati bellici ricomposti. A quanto pare questo è un posto per incontri gay, c'è un signore cinquantenne che fa l'indifferente ma non passeggia, aspetta. Proseguendo trovo preservativi, fazzolettini, un'aria pesante. Ridurre il sesso ad una sbattutina tra le frasche è proprio un peccato. Che rapporto intimo e appagante può essere un incontro sessuale, almeno tra un uomo e una donna che si compenetrano fisicamente ed emotivamente. Lascio la Piave ad una confluenza con un canale e cammino tra i campi, i vigneti. Mi fermo a parlare con due operai in un vigneto, sono curiosi e sentito che viaggio ho intrapreso uno dei due dice che ha sempre pensato di prendere lo zaino e andare a passeggiare nei dintorni del passo san Boldo ma ha sempre rimandato. Forse è ora di non rimandare più: c'è bellezza che aspetta di essere scoperta, amore da dare alla nostra terra, degrado da soffiare via.
Con fatica raggiungo Salettuol. Il campanile sembra proprio una miniatura: la porta d'ingresso sarà alta 1 metro e trenta o giù di lì... appesa a un chiodo vedo la chiave. Non resisto, nascondo lo zaino nei cespugli, mi guardo intorno che gli abitanti non mi sono sembrati molto socievoli e poi apro e sgattaiolo dentro. Il primo incontro è con uno scoprione, cioè un altro scorpione (come me...). Evito di fargli male, penso quale significato possa avere come in un viaggio iniziatico. Ci sono delle barre di metallo infisse sulla parete, bisogna salirle senza protezioni per qualche metro. Ormai ci sono: salgo raccomandandomi al mio angelo, anzi meglio al "mio" arcangelo protettore. Arrivo, passo da una stretta apertura e DON sbatto con una delle campane. Sì perchè di campane ce ne sono due. Sbircio attorno, sono poso sopra il livello del ponte. Risbatto la testa sulla campane, sempre quella di destra. Lo prendo come un invito. Con timore la faccio risuonare lievemente. Chissà da quanto non risuona quella campana. E perchè ce ne sono due? mi riprometto di indagare, magari il 16 agosto quando ci sarà la sagra di San Rocco e scopirrò meglio i riti che si facevano per chiedere allontanare le piene. Scendo felice, ho fatto quello che dovevo, esco con circospezione e chiudo. Con aria indifferente mi rilasso sulla panchina lì accanto.
martedì 13 luglio 2010
Verso le grave - VI
Fa caldo, il sole picchia, non c'è una vera e propria strada o sentiero che costeggia la Piave risalendo da Fagarè. Attraverso campi di proprietà privata, ho la sensazione che da un momento all'altro qualcuno salterà fuori, magari col cane, e mi romperà le balle. Svelto e furtivo, per quanto la stanchezza possa concedere procedo. Mi fermo però incantato alla foce di un fiumiciattolo, che poi solo oggi ho scoperto chiamarsi Zero. Mi spoglio e mi rinfresco brevemente nelle sue acque fredde. E' bello e rasserenante muoversi nudi in mezzo alla natura, mi sembra di rinascere. Salgo sulla provinciale per Maserada, fuori Candelù mi fermo ad ammirare una casa dipinta con un tripudio di esseri mitologici marini (sirene, tritoni, cavalli e carrozze marine, barche...). Peccato che Treviso abbia lasciato scomparire le sue affascinanti case dipinte.
Chiamo un vecchio amico per un passaggio. Andrea lavora in un vivaio, conosce e ama le piante in un modo che fatico a reggere a volte, al confronto sono un balbettante neofita. Mi consolo sempre pensando che con gli alberi me la cavo molto meglio. Sempre a far confronti noi uomini, io ne so di più, io c'ho la macchina più grande ecc. ecc. Lo stemma di Maserada (Macerata recita la scritta forse latina) mostra un ragazzo su una barca sovrastato da due stelle. La Piave era il cuore dei mestieri di fiume: barcari, zattieri, pescatori, raccoglitori e intrecciatori di canne. Le Grave raggiungono in questo punto una delle ampiezze maggiori e al centro la più grande isola della Piave. Ripreso il cammino mi accontento di un paio di chilometri e al ponte di Maserada mi incontro con Edoardo che mi ospita squisitamente per una bella cena con Fulvio. A nanna presto perchè domani voglio partire presto presto.
Edoardo, Fulvio e Antonio hanno risalito tutto il fiume in 9 giorni, su su fino alle sorgenti con tappe calcolate e faticosamente conquistate. E' stato Claudio a parlarmi di loro, poi li ho seguiti via blog che Edoardo aggiornava ogni sera collegandosi con portatile e chiavetta. Per quei giorni sono diventati una specie di eroi e il nascente consorzio turistico TVB (treviso-venezia-belluno) ha salutato la loro iniziativa calorosamente aiutando a dare spazio sui giornali a queste inusuali vacanze. Inusuali ma non rare, infatti anch'io da mesi sentivo questo richiamo, ma solo dopo la loro partenza sono passato alla fase organizzativa. Ho conosciuto anche un signore di cinquantanni che oltre 20 anni fa risalì il corso con un amico, zaino e tenda in spalla. Adesso speriamo di ricominciare a vivere a misura d'uomo questo bellissimo territorio. Mi muovo come in un gioco di squadra: qualcuno ha già raggiunto le sorgenti, quale voglio che sia il mio contributo alla conoscenza della Piave? Forse la lentezza. Di certo la dimensione sottile del paesaggio, emotiva ma culturale. Non qualcosa da attraversare ma da assaporare, con le appropriate pause e senza troppi programmi.
Chiamo un vecchio amico per un passaggio. Andrea lavora in un vivaio, conosce e ama le piante in un modo che fatico a reggere a volte, al confronto sono un balbettante neofita. Mi consolo sempre pensando che con gli alberi me la cavo molto meglio. Sempre a far confronti noi uomini, io ne so di più, io c'ho la macchina più grande ecc. ecc. Lo stemma di Maserada (Macerata recita la scritta forse latina) mostra un ragazzo su una barca sovrastato da due stelle. La Piave era il cuore dei mestieri di fiume: barcari, zattieri, pescatori, raccoglitori e intrecciatori di canne. Le Grave raggiungono in questo punto una delle ampiezze maggiori e al centro la più grande isola della Piave. Ripreso il cammino mi accontento di un paio di chilometri e al ponte di Maserada mi incontro con Edoardo che mi ospita squisitamente per una bella cena con Fulvio. A nanna presto perchè domani voglio partire presto presto.
Edoardo, Fulvio e Antonio hanno risalito tutto il fiume in 9 giorni, su su fino alle sorgenti con tappe calcolate e faticosamente conquistate. E' stato Claudio a parlarmi di loro, poi li ho seguiti via blog che Edoardo aggiornava ogni sera collegandosi con portatile e chiavetta. Per quei giorni sono diventati una specie di eroi e il nascente consorzio turistico TVB (treviso-venezia-belluno) ha salutato la loro iniziativa calorosamente aiutando a dare spazio sui giornali a queste inusuali vacanze. Inusuali ma non rare, infatti anch'io da mesi sentivo questo richiamo, ma solo dopo la loro partenza sono passato alla fase organizzativa. Ho conosciuto anche un signore di cinquantanni che oltre 20 anni fa risalì il corso con un amico, zaino e tenda in spalla. Adesso speriamo di ricominciare a vivere a misura d'uomo questo bellissimo territorio. Mi muovo come in un gioco di squadra: qualcuno ha già raggiunto le sorgenti, quale voglio che sia il mio contributo alla conoscenza della Piave? Forse la lentezza. Di certo la dimensione sottile del paesaggio, emotiva ma culturale. Non qualcosa da attraversare ma da assaporare, con le appropriate pause e senza troppi programmi.
lunedì 12 luglio 2010
Di qua e di là dalla Piave - V
Raggiungo il Ponte di Piave e lo attraverso. Mi fermo a guardare dal parapetto, regalo al fiume alcune gocce di fiori di Bach e soppeso incuriosito la folla di bagnanti: quel pescatore in mezzo al fiume sembra proprio fuori posto tra mamme, bimbi, lettini, ragazzine spalmate di crema, giovani che giocano a palla sui sassi bollenti. Son di buon umore, anche oggi attraverso la Piave: vorrei proprio che il mio viaggio oscillasse di qua e di là. Nel trevigiano e forse anche nel veneziano si sente forte la differenza, se non la rivalità, tra chi vive a Sinistra o a Destra (quella orografica... non quella politica!) della Piave. La frattura si deve essere consolidata con l'occupazione austroungarica del 1917-18 ma probabilmente è precedente. Io sento le rive un po' polarizzate: a Sinistra più femminile, inquieta, ricettiva, creativa; a Destra più maschile, conservatrice, concreta, prevedibile.
La sapete quella canzoncina:
Di qua, di là del Piave
ci sta un'osteria.
Là c'è da bere e da mangiare
ed un buon letto da riposar.
E dopo aver mangiato,
mangiato e ben bevuto.
Oi bella mora se vuoi venire,
questa è l'ora di far l'amor.
Mi si che vegnaria
per una volta sola.
Però ti prego lasciami stare
che son figlia da maritar.
Se sei da maritare
dovevi dirlo prima.
Sei sempre stata coi vecchi Alpini,
non sei figlia da maritar.
E dopo nove mesi
è nato un bel bambino.
Sputava il latte, beveva il vino,
l'era figlio d'un vecio Alpin.
Mi piace e mi mette di buon umore perchè parla d'amore, anche se un po' garibaldino, e non dell'eroismo machista che soffoca la generosa e multiforme natura della Piave. Anche per questo insisto e mi educo a chiamarla al femminile, come si faceva in dialetto prima della guerra (la Grande Guerra, che qui in Veneto spesso sembra sia appena finita), quando la lingua italiana e il mito guerriero vollero virare il sesso del fiume dalla parte "giusta".
Riprendo il cammino in allegria, all'uscita del ponte incontro un matrimonia strombazzante: saluto e l'auto degli sposi mi suona. Che bello poter realizzare in se stessi un'unione equilibrata tra la propria pare femminile e quella maschile. Probabilmente questo viaggio mi serve anche a far pace con la mia parte intuitiva, femminile, amorevole. Imparare a prendermi cura di me senza essere divorato dal bisogno di appoggiarmi ad una donna-madre. Cammino cammino ed ecco che scorgo un'altra immagine simbolo di una sintesi interiore: un fiore-drago. Una casetta porta sulla facciata un medaglione scolpito, con la fantasia vedo entrambe le figure (il fiore, la testa di drago). E' proprio ora di smetterla di ucciderlo sto drago, bisogna abbracciarlo e trasformarlo mutando noi stessi. Alchimia.
La sapete quella canzoncina:
Di qua, di là del Piave
ci sta un'osteria.
Là c'è da bere e da mangiare
ed un buon letto da riposar.
E dopo aver mangiato,
mangiato e ben bevuto.
Oi bella mora se vuoi venire,
questa è l'ora di far l'amor.
Mi si che vegnaria
per una volta sola.
Però ti prego lasciami stare
che son figlia da maritar.
Se sei da maritare
dovevi dirlo prima.
Sei sempre stata coi vecchi Alpini,
non sei figlia da maritar.
E dopo nove mesi
è nato un bel bambino.
Sputava il latte, beveva il vino,
l'era figlio d'un vecio Alpin.
Mi piace e mi mette di buon umore perchè parla d'amore, anche se un po' garibaldino, e non dell'eroismo machista che soffoca la generosa e multiforme natura della Piave. Anche per questo insisto e mi educo a chiamarla al femminile, come si faceva in dialetto prima della guerra (la Grande Guerra, che qui in Veneto spesso sembra sia appena finita), quando la lingua italiana e il mito guerriero vollero virare il sesso del fiume dalla parte "giusta".
Riprendo il cammino in allegria, all'uscita del ponte incontro un matrimonia strombazzante: saluto e l'auto degli sposi mi suona. Che bello poter realizzare in se stessi un'unione equilibrata tra la propria pare femminile e quella maschile. Probabilmente questo viaggio mi serve anche a far pace con la mia parte intuitiva, femminile, amorevole. Imparare a prendermi cura di me senza essere divorato dal bisogno di appoggiarmi ad una donna-madre. Cammino cammino ed ecco che scorgo un'altra immagine simbolo di una sintesi interiore: un fiore-drago. Una casetta porta sulla facciata un medaglione scolpito, con la fantasia vedo entrambe le figure (il fiore, la testa di drago). E' proprio ora di smetterla di ucciderlo sto drago, bisogna abbracciarlo e trasformarlo mutando noi stessi. Alchimia.
domenica 11 luglio 2010
Sulla Piave da S.Donà a Maserada - IV
Il secondo giorno sono ripartito a piedi, con il piccolo zaino frutto di molte scelte e accompagnato da una nuova consapevolezza: sto cercando le Parole. Quelle forti, vive, potenti, che arrivano a tutti. E com'è questa Parola? E' vissuta in prima persona, fiorisce nel silenzio, viene pronunciata con convinzione. Mi appresto a fare una tappa lunghissima, sarà la più lunga in assoluto, 10 ore in solitudine a macinare e poi abbandonare molti pensieri attraverso i bellissmi sentieri che da S.Donà portano a Noventa, belli da camminare, avventurosi da fare in mountain bike. La Piave mi viene incontro quieta, non ha fretta lei mentre io mi sono imposto un obiettivo e alterno 50 minuti di camminata a pause di 10-15 minuti per dosare le forze.
Ieri ho fatto tanti chilometri in bici e le gambe tengono (il sedere un po' meno). Oggi chiedo una prova ancora più dura a spalle e gambe: sto chiedendo troppo forse? E' una domanda che ritorna spesso e che servirà a trattarmi con più misericordia. Avrò l'umiltà di chiedere aiuto (ben due passaggio) per arrivare in serata da Edoardo che gentilmente mi opsiterà stanotte, pur non conoscendoci di persona. Fino oltre Noventa i sentieri serpeggiano vicini alla Piave attraverso boschi dominati a tratti dai salici, altre volte dalle robinie. Niente di più spinoso di un giovane e virente bosco di robinia, persino il sottobosco si impoverisce e regnao i rovi e poche altre piante.
Comincio a faticare per il caldo, la copertura alberata si dirada salendo verso Ponte di Piave, non vedo l'ora di raggiungere Casa Parise, punto di sosta ideale. Sembra non arrivare mai, nonostante le belle tavole di legno con le indicazioni del percorso che il Comune ha posizionato, "Dal Peralba al mare" recitano. Arrivo appena in tempo per salutare Moreno, uno dei proprietari che conosco, e fare il pieno di acqua (ho bevuto un litro e mezzo in poco più di 4 ore). Mi rilasso, scrivo, mi stendo sul tavolo di legno e mi appisolo pensando a Parise e alla sua ricerca di uno stile minimo, capace di raccontare tutte le emozioni umane. Mi sveglio ad un rumore improvviso: vedo sul gelso sopra di me uno scoiattolo che agilmente saetta via. Un po' scosso metto lo zaino in spalla e scappo via. Appena lasciata l'ombra dei gelsi e dei pioppi di Casetta Parise sento il rumore di un'auto che arriva. Appena in tempo... per prolungare quella strana solitudine, venata di misantropia, che mi culla.
Ieri ho fatto tanti chilometri in bici e le gambe tengono (il sedere un po' meno). Oggi chiedo una prova ancora più dura a spalle e gambe: sto chiedendo troppo forse? E' una domanda che ritorna spesso e che servirà a trattarmi con più misericordia. Avrò l'umiltà di chiedere aiuto (ben due passaggio) per arrivare in serata da Edoardo che gentilmente mi opsiterà stanotte, pur non conoscendoci di persona. Fino oltre Noventa i sentieri serpeggiano vicini alla Piave attraverso boschi dominati a tratti dai salici, altre volte dalle robinie. Niente di più spinoso di un giovane e virente bosco di robinia, persino il sottobosco si impoverisce e regnao i rovi e poche altre piante.
Comincio a faticare per il caldo, la copertura alberata si dirada salendo verso Ponte di Piave, non vedo l'ora di raggiungere Casa Parise, punto di sosta ideale. Sembra non arrivare mai, nonostante le belle tavole di legno con le indicazioni del percorso che il Comune ha posizionato, "Dal Peralba al mare" recitano. Arrivo appena in tempo per salutare Moreno, uno dei proprietari che conosco, e fare il pieno di acqua (ho bevuto un litro e mezzo in poco più di 4 ore). Mi rilasso, scrivo, mi stendo sul tavolo di legno e mi appisolo pensando a Parise e alla sua ricerca di uno stile minimo, capace di raccontare tutte le emozioni umane. Mi sveglio ad un rumore improvviso: vedo sul gelso sopra di me uno scoiattolo che agilmente saetta via. Un po' scosso metto lo zaino in spalla e scappo via. Appena lasciata l'ombra dei gelsi e dei pioppi di Casetta Parise sento il rumore di un'auto che arriva. Appena in tempo... per prolungare quella strana solitudine, venata di misantropia, che mi culla.
sabato 10 luglio 2010
Sulla Piave : meditando- III
E dopo un'intera giornata di viaggio eccoci finalmente, io e claudio, sulla strada per l'argine della Piave per arrivare a San Donà. Sfrecciamo in bicicletta sulla strada rialzata e poi ci tuffiamo nella piccola grava alberata. Rumore di auto assedia il placido fluire del fiume: per chilometri le strade corrono sull'argine, con un inquinamento acustico e uno smog che fa sentire il suo peso. Il percorso è bello, uno sterrato in gran parte in ombra, ogni tanto qualche prato, qualche nuovo pioppeto o impianto di robinia, un campo coltivato, un unico vigneto. Dopo il ponte di Eraclea la grava si fa più larga. Abbiamo assaporato la nostra parte di more del gelso approfittando per una breve pausa: il mio sedere dopo un giorno in bicicletta ne aveva un gran bisogno.
Claudio mi ha portato a conoscere un pioppo bianco monumentale che si innalza accanto alla pista, ma che rischia di passare inosservato a chi sfreccia in bicicletta. Alto almeno una ventina di metri, con un diametro di oltre un metro e mezzo è di certo l'albero guida dell'intera zona. Poco oltre ci siamo fermati in un prato in vista di due maestosi pioppi neri: li abbiamo salutati e ci siamo messi a meditare scambiandoci esperienze e consigli sulla pratica. Il tempo si è fermato, immagini di un mondo di isole fluviali boscose, lambita da acque di smeraldo e unite da piccoli ponti di lego e corda sono emerse nella mia coscienza. E poi via per andare all'appuntamento con Michelangelo. Pedala e vola. La bicicletta è proprio una macchina geniale, che rivoluzione nei mezzi di trasporto. Però resta sempre una macchina, se non la dosi scivoli attraverso i paesaggi senza incontrarli. E infatti non si è rivelata il mezzo giusto per continuare il viaggio: dopo pochi chilometri ho bucato la ruota anteriore (la seconda volta in un giorno!!!).
Faticosamente abbiamo guadagnato il ponte di San Donà dove ho salutato la mia virgiliana guida Claudio e ho atteso Michelangelo che, insieme a Virginia, Sebastiano, Alessandra, la gatta Micius e il loro criceto mi hanno accolto per la cena e la notte. Con Michelangelo e Claudio ci siamo conosciuti poche settimane fa, partecipando alla protesta contro il taglio degli alberi che è iniziato nella golena destra della Piave. La Regione ha approvato un piano da 2 milioni di euro per fare un "taglio selettivo" di tutti gli alberi che potevano costituire una minaccia in caso di piena. Sarebbe dovuta essere anche l'occasione di ridurre la presenza, a tratti soverchiante, della robinia a favore delle specie autoctone (in quel punto salice bianco, pioppo nero e ibridi in particolare). Il lavoro, di scarsa utilità per la sicurezza idraulica a dire di molti tecnici, è stato fatto male e ha ferito molte persone che godono la bellezza del lungo fiume e l'amichevole presenza degli alberi. Il taglio in grava è una vecchia pratica di consolidata tradizione. Purtroppo oggi i tempi sono cambiati: gli alberi sono sempre di meno e la nostra coscienza collettiva sta capendo che dobbiamo invertire la tendenza.
Claudio mi ha portato a conoscere un pioppo bianco monumentale che si innalza accanto alla pista, ma che rischia di passare inosservato a chi sfreccia in bicicletta. Alto almeno una ventina di metri, con un diametro di oltre un metro e mezzo è di certo l'albero guida dell'intera zona. Poco oltre ci siamo fermati in un prato in vista di due maestosi pioppi neri: li abbiamo salutati e ci siamo messi a meditare scambiandoci esperienze e consigli sulla pratica. Il tempo si è fermato, immagini di un mondo di isole fluviali boscose, lambita da acque di smeraldo e unite da piccoli ponti di lego e corda sono emerse nella mia coscienza. E poi via per andare all'appuntamento con Michelangelo. Pedala e vola. La bicicletta è proprio una macchina geniale, che rivoluzione nei mezzi di trasporto. Però resta sempre una macchina, se non la dosi scivoli attraverso i paesaggi senza incontrarli. E infatti non si è rivelata il mezzo giusto per continuare il viaggio: dopo pochi chilometri ho bucato la ruota anteriore (la seconda volta in un giorno!!!).
Faticosamente abbiamo guadagnato il ponte di San Donà dove ho salutato la mia virgiliana guida Claudio e ho atteso Michelangelo che, insieme a Virginia, Sebastiano, Alessandra, la gatta Micius e il loro criceto mi hanno accolto per la cena e la notte. Con Michelangelo e Claudio ci siamo conosciuti poche settimane fa, partecipando alla protesta contro il taglio degli alberi che è iniziato nella golena destra della Piave. La Regione ha approvato un piano da 2 milioni di euro per fare un "taglio selettivo" di tutti gli alberi che potevano costituire una minaccia in caso di piena. Sarebbe dovuta essere anche l'occasione di ridurre la presenza, a tratti soverchiante, della robinia a favore delle specie autoctone (in quel punto salice bianco, pioppo nero e ibridi in particolare). Il lavoro, di scarsa utilità per la sicurezza idraulica a dire di molti tecnici, è stato fatto male e ha ferito molte persone che godono la bellezza del lungo fiume e l'amichevole presenza degli alberi. Il taglio in grava è una vecchia pratica di consolidata tradizione. Purtroppo oggi i tempi sono cambiati: gli alberi sono sempre di meno e la nostra coscienza collettiva sta capendo che dobbiamo invertire la tendenza.
giovedì 8 luglio 2010
Sulla Piave - II
E' stato il mio primo bagno della stagione quello alla foce della Piave a Cortellazzo. E' stato un gesto simbolico, una specie di battesimo per lavar via tutto ciò che io sono stato prima ed aprirmi in ogni poro ad assorbire le esperienze che il viaggio mi avrebbe offerto. Volevo capire di più l'acqua, volevo capire questo fiume e perchè sia un "fiume sacro". ma anche capire meglio me, in un momento di infuocati assestamenti in ogni ambito della mia vita. E' fredda l'acqua della Piave. Il suo flusso continua visibilmente per un bel po' anche quando si tuffa in mare, come quando si butta una goccia di colore in un bicchiere d'acqua pulita: il colore crea volute che lo fanno mescolare ma al centro continua ad avanzare fino a sciogliersi e confondersi. Crea una specie di sistema radicale fatto di vortici d'acqua di diverse qualità: fredda, dolce e carica di sedimenti quella della Piave, più calda, salata e leggera quella dell'Adriatico.
Ho intitolato il primo post "pellegrinaggio lungo la Piave". Per me non è stato solo un viaggio. O meglio secondo me ogni vero viaggio è un pellegrinaggio, una ricerca, una quest come quella del Santo Graal, di quella parte preziosa di noi stessi che ancora sfugge alla nostra coscienza ma di cui sentiamo la mancanza. Perchè risalire il fiume e non discenderlo? Non nasce forse a monte? Di questo ho parlato anche con Marko Pogacnik, il rifondatore della moderna geomanzia. Scendere il fiume è come accompagnarsi alla sua corrente, sto accanto al fiume, il suo flusso agevola il mio movimento e la mia attenzione tende a scivolare via anch'essa. Risalirlo vuol dire andarci incontro, come ad una persona che vuoi abbracciare. Ci si guarda in faccia, si risale il corso e si aumenta anche la quota, si "scala" il corso del fiume che segue le pendenze impercettibili della pianura che ha contribuito a formare nelle ere precedenti. In un certo senso ci si eleva.
Mi confrontavo con Pogacnik anche su una mia impressione: l'acqua del fiume scende a valle, ma qualcosa credo che risalga contro corrente. E' un po' come se il mare soffiasse la sua vita liquida dentro la dura terra emersa, dando vita a questi embrioni (i continenti) che ha fatto emergere per arricchire ancor più le possibilità evolutive dei suoi figli animali, vegetali, minerali. Le dolomiti non erano forse fondi di oceano? Qualcosa risale: risale l'acqua salmastra con le maree, risalgono alcune specie di pesce, risalgono gli uccelli che fanno la spola tra mare, laguna ed entroterra ed usano i fiumi come autostrade. Secondo me piccole gocce di varia provenienza compiono il miracolo: ritornano alla sorgente. Dall'energia che libera una grande cascata che riversa decine di metri cubi di acqua nel baratro si alza un vapore continuo, microgocce si librano nell'aria e contraddicono l'universale legge dell'entropia tornando al di sopra del salto. E così io credo qualcosa di sottile, eterico risalga dalle foci alle sorgenti mettendo in comunicazione la sensualità creativa dei mari alla celeste serenità delle montagne.
Ho intitolato il primo post "pellegrinaggio lungo la Piave". Per me non è stato solo un viaggio. O meglio secondo me ogni vero viaggio è un pellegrinaggio, una ricerca, una quest come quella del Santo Graal, di quella parte preziosa di noi stessi che ancora sfugge alla nostra coscienza ma di cui sentiamo la mancanza. Perchè risalire il fiume e non discenderlo? Non nasce forse a monte? Di questo ho parlato anche con Marko Pogacnik, il rifondatore della moderna geomanzia. Scendere il fiume è come accompagnarsi alla sua corrente, sto accanto al fiume, il suo flusso agevola il mio movimento e la mia attenzione tende a scivolare via anch'essa. Risalirlo vuol dire andarci incontro, come ad una persona che vuoi abbracciare. Ci si guarda in faccia, si risale il corso e si aumenta anche la quota, si "scala" il corso del fiume che segue le pendenze impercettibili della pianura che ha contribuito a formare nelle ere precedenti. In un certo senso ci si eleva.
Mi confrontavo con Pogacnik anche su una mia impressione: l'acqua del fiume scende a valle, ma qualcosa credo che risalga contro corrente. E' un po' come se il mare soffiasse la sua vita liquida dentro la dura terra emersa, dando vita a questi embrioni (i continenti) che ha fatto emergere per arricchire ancor più le possibilità evolutive dei suoi figli animali, vegetali, minerali. Le dolomiti non erano forse fondi di oceano? Qualcosa risale: risale l'acqua salmastra con le maree, risalgono alcune specie di pesce, risalgono gli uccelli che fanno la spola tra mare, laguna ed entroterra ed usano i fiumi come autostrade. Secondo me piccole gocce di varia provenienza compiono il miracolo: ritornano alla sorgente. Dall'energia che libera una grande cascata che riversa decine di metri cubi di acqua nel baratro si alza un vapore continuo, microgocce si librano nell'aria e contraddicono l'universale legge dell'entropia tornando al di sopra del salto. E così io credo qualcosa di sottile, eterico risalga dalle foci alle sorgenti mettendo in comunicazione la sensualità creativa dei mari alla celeste serenità delle montagne.
mercoledì 7 luglio 2010
Un pellegrinaggio sulla Piave - I
Sono appena rientrato da una settimana di cammino lungo e attorno alla Piave. Sono partito sabato 5 luglio in bicicletta da Scorzè (VE) per andare a Cortellazzo, alla foce della Piave e cominciare la risalita. A Mogliano ho bucato la ruota posteriore. E così, dalla prima pausa forzata, ho imparato a prendermela comoda, a fermarmi a curiosare e a non pensare troppo alla meta. A Quarto d'Altino ho incontrato Claudio e abbiamo proseguito lungo il "percorso della memoria" nelle campagne di bonifica al limitare della Laguna di Venezia. Abbiamo ammirato la confluenza del fiume Zero nel Dese e poi abbiamo seguito un po' il Dese che si andava a rinfrancare in laguna. E' uno dei pochi fiumi che sbocca in laguna dopo tutta la risistemazione idraulica voluta ai tempi della Repubblica di Venezia. Come il Sile e lo Zero, il Dese è un fiume di risorgiva, con acque chiare e portata costante, se non in occasione di grandi piogge.
Siamo sbucati al museo archeologico di Altino che vale proprio la pena di visitare, anche se è piccolo. Ci sono esempi sublimi di artigianato del vetro e sculture sepolcrali immaginifiche. In particolare ci ha colpito una serie di sfingi, dovute alla presenza di una attiva comunità egiziana stanziata al tempo in cui Altino era un fiorente porto collegato alle principali strade romane della zona. Le sfingi hanno volto umano, due o più mammelle, corpo di leone e ali d'aquila. Erano un simbolo di sapienza e degli spiriti guardiani cui si raccomandavano le spoglie dei propri cari. Mi ha colpita la forte presenza di questo simbolo alato che ho ricollegato al Leone alato dell'evangelista Marco. I profughi di Altino sono infatti tra i fondatori di Torcello e poi di Venezia. Un'altra curiosa coincidenza è che il corpo dell'evangelista venne portato a Venezia nell'828 da Alessandria d'Egitto. Di nuovo quell'antico paese con la sua sapienza esoterica e antichissima che si intreccia con la futura splendida Venezia.
Il viaggio è proseguito verso Jesolo restando sul bell'argine destro del Sile, tutto sterrato, che abbiamo imboccato a Porte Grandi, passando con un po' di timore (per un divieto d'accesso... alle auto?) sopra la chiusa che mette in comunicazione Sile e Dese (pochi chilometri prima c'è invece il collegamento tra Sile e Piave). Bellissima vista sulla laguna. Claudio mi ha raccontato la storia di S.Francesco in deserto, di cui non conoscevo l'esistenza. C'è una piccola isola della laguna nord con questo nome. E' occupata da una convento francescano nato dopo la permanenza di Francesco con alcuni compagni prima di partire per la Terra Santa (probabilmente nel 1219). Altro inaspettato e sublime incontro è stato quello con una delle più belle garazaie che abbia mai visto (cioè un luogo di nidificazione permamente di aironi e simili). Un lembo di terra colonizzato dalle tamerici e pieno di cormorani e garzette, che con i loro neri e bianchi facevano un contrappunto meraviligoso. E così pedalando, chiacchierando e scambiandoci esperienze sul mangiare sano, meditare e vivere in armonia con gli altri siamo arrivati alla foce della Piave.
Siamo sbucati al museo archeologico di Altino che vale proprio la pena di visitare, anche se è piccolo. Ci sono esempi sublimi di artigianato del vetro e sculture sepolcrali immaginifiche. In particolare ci ha colpito una serie di sfingi, dovute alla presenza di una attiva comunità egiziana stanziata al tempo in cui Altino era un fiorente porto collegato alle principali strade romane della zona. Le sfingi hanno volto umano, due o più mammelle, corpo di leone e ali d'aquila. Erano un simbolo di sapienza e degli spiriti guardiani cui si raccomandavano le spoglie dei propri cari. Mi ha colpita la forte presenza di questo simbolo alato che ho ricollegato al Leone alato dell'evangelista Marco. I profughi di Altino sono infatti tra i fondatori di Torcello e poi di Venezia. Un'altra curiosa coincidenza è che il corpo dell'evangelista venne portato a Venezia nell'828 da Alessandria d'Egitto. Di nuovo quell'antico paese con la sua sapienza esoterica e antichissima che si intreccia con la futura splendida Venezia.
Il viaggio è proseguito verso Jesolo restando sul bell'argine destro del Sile, tutto sterrato, che abbiamo imboccato a Porte Grandi, passando con un po' di timore (per un divieto d'accesso... alle auto?) sopra la chiusa che mette in comunicazione Sile e Dese (pochi chilometri prima c'è invece il collegamento tra Sile e Piave). Bellissima vista sulla laguna. Claudio mi ha raccontato la storia di S.Francesco in deserto, di cui non conoscevo l'esistenza. C'è una piccola isola della laguna nord con questo nome. E' occupata da una convento francescano nato dopo la permanenza di Francesco con alcuni compagni prima di partire per la Terra Santa (probabilmente nel 1219). Altro inaspettato e sublime incontro è stato quello con una delle più belle garazaie che abbia mai visto (cioè un luogo di nidificazione permamente di aironi e simili). Un lembo di terra colonizzato dalle tamerici e pieno di cormorani e garzette, che con i loro neri e bianchi facevano un contrappunto meraviligoso. E così pedalando, chiacchierando e scambiandoci esperienze sul mangiare sano, meditare e vivere in armonia con gli altri siamo arrivati alla foce della Piave.
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