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domenica 30 dicembre 2012

Mare d'Inverno: un concetto che il nostro pensiero non considera

Ve la ricordate la canzone "mare d'Inverno" che dice "il mare d'inverno / è un concetto che il pensiero non considera / è poco moderno / è qualcosa che nessuno mai desidera / alberghi chiusi / manifesti già sbiaditi di pubblicità / macchine tracciano solchi su strade / dove la pioggia / d'estate non cade. L'ho conosciuta cantata da Ruggeri ma il primo lancio risale al 1983 con Loredana Bertè. Bella e vera: molte persone dimenticano il mare nella stagione fredda. Beh, mi spiace per loro perchè è bellissimo. Stamattina sono andato a godermi la prima luce del mattina sulla spiaggia, col solito problema di arrivarci al mare con gli stabilimenti chiusi. Pochi varchi mal segnalati, terra riservata ai nativi e agli esploratori. Ma c'era un po' di movimento già alle 8 e mezza di mattina: qualche raccoglitore di tesori del mare, tanti cani coi loro padroni, rare coppie e amici a chiacchierare.

Dopo un momento meditativo mi è venuta una gran voglia di giocare e far sentire la mia gioia a tutta la spiaggia per questo grande dono di vivere a quattro passi dalla mare. Insisto col femminile, giocando con le ferree regole della grammatica perchè io che sono cresciuto in montagna sento come "padre" la dura, esigente e faticosa montagna e invece accogliente, ispirativa, ricreativa la madre mare. Vi propongo un gioco, per noi e per i nostri figli, lo chiamerò "Giardini naturali". Si può giocare dovunque ma sulla riva della mare avrete un sacco di possibilità in più e il divertimento è assicurato.

Scegliete uno spazio, fatelo con cura, una porzione dell'universo con tutto ciò che le onde possano offrirvi. Per ogni metro quadro delimitato dovreste investe circa un'ora di tempo. Delimitate con un solco il campo di gioco e poi cominciate a preparare i materiali: potrete usare esclusivamente i materiali che si trovavano dentro al solco. Regola 2: dovrete usare in qualche modo TUTTI i materiali che troverete nella vostra area, anche se non vi piacciono (ma in spiaggia sarà facile seppellirli in un tumulo rituale...). Qual è lo scopo del gioco? Creare un giardino naturale, un paesaggio immaginato, reale, fiabesco o poetico a seconda del vostro umore del momento.

Lavorate per un'ora (per ogni metro quadro) e allo scadere del tempo godetevi il risultato. Date un titolo e ammirate le nuove disposizioni, le soluzioni inaspettate, la forza di volontà con cui avete creato un paesaggio unico, che ha saputo utilizzare per un fine comune ogni cosa, anche gli scarti. Un nuovo paesaggio armonioso ha preso forma, e voi ne siete stati gli artefici. Fotografate ogni dettaglio e poi, se possibile, rimuovete e portate nei raccoglitori appositi tutti le testimonianze della nostra civiltà attuale (bottiglie, vetri, plastica, lattine ecc. ecc.). Se volete organizzare un torneo chiamatemi!!! Nelle foto ho illustrato il mio primo giardino naturale. Ricordatevi di delimitare il campo d'azione di ogni giocatore: senza darsi un limite non si riesce a concentrare le energie.

Nostalgia degli anni Ottanta? Ecco la canzone interpretata dalla Bertè:

http://www.youtube.com/watch?v=DzAvyjOUbBU&gl=IT&hl=it

e da Enrico Ruggeri

http://www.youtube.com/watch?v=p5Zp3IbG5aI&hl=it&gl=IT

Ecco una vista dettagliata della mia "Fattoria Marina", 30 dicembre 2012, spiaggia di Ciòsa Marina:

sabato 29 dicembre 2012

Il Fronte di Liberazione dei Pioppi (FLIP)

Marcon - Il 29 dicembre 2012 è entrato in azione il primo commando del Fronte di Liberazione dei Pioppi, un gruppo di arditi volontari che hanno agito in modo deciso per la tutela di un pioppo nero soffocato da una tettoia. L'azione si è svolta col beneplacito del proprietario e senza spargimento di linfa.

Francisco, Nello, Vincenzo e Giulia hanno lavorato per due a smontare parti della tettoia che circondava il pioppo, uno slanciato quarantenne. Dopo aver tolto il legno marcio e aver segato le tavole attorno hanno poi affrontato la lamiera.

In diversi punti, col passare degli anni, l'albero aveva cominciato a inglobarla e in molti punti non è stato più possibile estrarla. Armati di flessibile si è scelto di tagliare l'alluminio filo tronco in modo da facilitare l'inglobamento.

La copertura della tettoia attorno all'albero è stata poi sostituita con cellophan e assi di legno in modo da lasciare all'albero spazio per crescere. Il 2013 si annuncia un anno ricco di queste storie mentre il Flip torna alla clandestinità, il gruppo Amico Giardiniere (vedi il sito) si riunirà domenica 13 gennaio 2013 a Mestre.

Dopo la fondazione del primo Verde Ospitale a Mestre nel luglio scorso si prepara il piano di lavoro del nuovo anno a sostegno di un paesaggio armonioso, vitale, rispettoso anche dei diritti di pietre, piante e animali. Senza alberi nemmeno l'uomo può vivere. Per informazioni chiamate Francisco al 328 7021253.

giovedì 27 dicembre 2012

Animale del Bosco

Certi giorni mi accorgo di aver bisogno di bosco, qualcosa in me brama quell'abbraccio, voluttuoso e sensoriale d'alberi, arbusti, funghi, sentieri, tracce d'animali, richiami d'uccello, muschi e licheni. Cresciuto vicino ai boschi delle prealpi Orobie il bosco dei pendii secchi ed erti era la mia casa. Sui versanti umidi invece stavano i quieti vecchi castagneti. Poco più in alto il bosco si riempiva di pini, larici e ancora più su i primi abeti in boschi sempre più dominati dalle conifere. Il bosco di pianura è stata una scoperta recente, successiva alla fulminazione per il bosco dell'altopiano del Cansiglio. Fatico ancora a considerare bosco la pineta pura. Manca di molti elementi che io associo al bosco e che cerco, inconsciamente, quando urge una passeggiata, possibilmente solitaria e selvatica, tra i fratelli alberi. Amo il bosco misto, la sorpresa ad ogni svolta di sentiero, le radure circondate da vegetazione di varie altezze, forme, colori e odori. Ora che ne scrivo capisco quanto mi manchi quel particolare odore del bosco maturo.

Ora vivo ai bordi della pianura veneta, dove i fiumi che l'hanno formata (Brenta, Adige, Po) proseguono la loro opera generatrice trasportando detriti sulle coste prima di fondersi con la Mare. Sorpresa, incanto e giubilo scoprire il giovane bosco litoraneo di Ca' Roman, la Pineta di Porto Viro e poi, un tuffo al cuore, il Bosco Nordio. Centotrenta ettari di un bosco unico: una macchia mediterranea di impasto antico con lecci e ornielli, querce farnie e pini marittimi, robinie e pini domestici. E più in basso biancospini, sanguinella, ginepri e ligustri. E ancora asparagi, clematidi, edera, pungitopo, muschi e licheni in fatati paesaggi in miniatura. E' un bosco con un carattere tutto suo, ve ne accorgerete dopo un'oretta di passeggiata. Scoprirete il fondo sabbioso, l'andamento ondulato delle antiche dune che ha colonizzato, una avifauna ricca e differenziata: facile avvistare le lepri, i daini (introdotti negli anni Sessanta), rane, aironi di ogni tipo, colombacci, picchi, ghiandaie, gazze, falchi di palude e, più ardui da vedere, ricci, donnole, tassi, gufi, civette, gamberi di fiume e altre specie ancora.

Lo spirito del bosco qui è antico, nonostante nel Cinquecento sia stato quasi estirpato, è riuscito a rinascere e ora sta maturando. Se riuscissimo a tutelarlo ancora 30-40 anni in modo appropriato potremo riavere un bosco adulto, con alberi vetusti e qualche saggio secolare. Frammento orientale delle vaste foreste di pianura del paleolitico la sua identità viene delineata con lo sviluppo della città di Chioggia che se ne appropria nel tardo Medioevo. Nel 1565 venne venduto alla potente famiglia Nordio. Furono loro a distruggere l'antica struttura del bosco che oggi, ironicamente, porta il loro nome. Nonostante i danni lo spirito del bosco riuscì a riformarsi, approfittando di ogni momento di fragilità umana per lanciare i suoi semi e poloni a riformare fasce di intricata boscaglia. Nel Novecento i Nordio cambiano politica, iniziano a piantare pini marittimi e domestici, probabilmente per frenare il vento salato che flagellava i campi. Nel 1959 fu venduto all'ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali e venne istituita la Riserva Naturale Integrale (1971).

Oggi il Bosco Nordio è gestito dall'azienda regionale Veneto Agricoltura, che regolamenta attività agricole, gestione del bosco, visite naturalistiche. Se non lo conoscete ancora non rimandate una meritevole visita, in ogni stagione. Potrete scegliere una visita guidata contattando Veneto Agricoltura che lo gestisce. Oppure potrete azzardare una passeggiata alle zone coltivate, incorniciate da fasce boscate, che hanno vari accessi pedonali dalla località S.Anna di Chioggia. Questo paesaggio di campi e boschi mi piace molto: mi sembra una prova di come potrebbe essere un paesaggio del futuro. Una integrazione tra lavoro umano e sviluppo selvatico strutturato dentro una ampia visione. Una proporzione profondamente terrestre, e quindi sostenibile, tra costruzioni artificiali e architetture naturali. Strade secondarie sterrate, ritmo quieto, sentieri nel bosco, tripudio di biodiversità in flora e fauna. Un seme di speranza per il paesaggio veneto, stravolto da un'urbanizzazione diffusa e sregolata, perchè possa ritrovare calma, progettualità e vitalità.

Francisco Panteghini
Mediatore Elementare
Riflessioni per lo sviluppo di un paesaggio armonico

giovedì 20 dicembre 2012

La notte più lunga porta la fine della New Age

Siamo alle porte della notte più lunga dell'anno, quella vicina al Solstizio d'Inverno. Le Tenebre amorevolmente abbracciano l'emisfero boreale e la cullano perchè possa godersi il sonno profondo e rigenerante, senza sogni. La nebbia e il gelo ci aiutano a stare dentro di noi, dentro le nostre case, insieme alle persone con cui condividiamo la quotidianità. Ritroviamo la gioia semplice del calore, ben più misericordioso della fredda luce colorata di troppe luminarie natalizie. Il Natale è la festa del cuore, della famiglia, della gratitudine. Seguirà tra 13 notti l'Epifania, la manifestazione dei consigli e delle ispirazioni maturati in questo periodo di passaggio tra un anno e l'altro. Quest'anno la riflessione è ricca e doversoa: si sta chiudendo un'epoca culturale, quella che era stata battezzata la "New Age".

Il termine "New Age" (letteralmente "nuova era") iniziò a essere diffuso dai mass media statunitensi nei tardi anni ottanta, per descrivere le forme di controcultura spirituale interessate a pratiche e concetti come la meditazione, il channeling, la reincarnazione, la cristalloterapia, la medicina olistica, l'ambientalismo e numerosi "misteri" di difficile interpretazione come gli UFO o i cerchi nel grano anche i bambini indaco. Insomma un coacervo di ricerche, pratiche, esperienze molto diverse, un vero e proprio esplosivo caleidoscopio con un unico denominatore comune: rompere il dogma del materialismo, ricordare a molta umanità di non essere solo un corpo fisico ma di poter sperimentare qualità e stati di coscienza alternative, più "leggere" ma appaganti e capaci di migliorare la qualità della vita.

Non credo che la nuova configurazione elettromagnetica del pianeta (il famoso salto quantico) avrà rapide ricadute sulla nostra percezione. E' un cambiamento sottile, un acceleratore che sostiene l'evoluzione, in questi anni infatti si possono vivere l'equivalente di molte vite in un unico passaggio tra vita e morte. Prospettiva esaltante per chi prende la vita come una scuola dove si impara continuamente e ci si rinnova. Angosciante e stressante oltre ogni sopportazione per chi vorrebbe starsene tranquillo in un tranquillo mondo sempre uguale, un po' come la contea di Bilbo Baggins. Non ci saranno apocalittiche devastazioni, non più di quelle a cui purtroppo ci stiamo abituando con gli tsunami o i terremoti, in parte naturali e in parte provocati artificialmente. Non ci saranno perchè l'umanità oggi compie 18 anni, diventa maggiorenne e può prendere la guida dell'intero ecosistema per portarlo su un'altra rotta. La civiltà umana oggi dominante è autodistruttiva: sviluppiamo tecnologia e stili di vita anti-terrestri, che distruggono i cicli biologici, consumano enormi quantità di risorse e inquinano.

Stiamo segando il ramo dell'albero (della vita potremmo dire) su cui siamo seduti e lo facciamo come quei ragazzi incoscienti che si ubriacano e poi corrono come pazzi in auto e, a volte, si schiantano. Non c'è nessuna tragedia ma piuttosto una macabra commedia quando noi costruiamo situazioni autodistruttive. Qualsiasi sia il motivo per cui lo facciamo (competizione, traumi infantili, egoismo ecc.) sono tutti frutto di immaturità. Molte filosofie di ieri come la fisica quantistica di oggi hanno cercato di insegnare all'umanità che l'intenzione con cui si agisce influenza tutto ciò che ci circonda. Quindi dobbiamo diventare responsabili di ciò che sentiamo e pensiamo perchè questa impronta si trasferisce nella realtà attorno a noi e la modifica. La realtà percepita dai sensi fisici è una manifestazione dinamica che pulsa e si modifica continuamente. Quando una certa quantità di persone desidera e vive in un certo modo la vita invia un impulso che modifica l'intero sistema, combinandosi agli altri.

Quante persone servono? Un piccola minoranza, diciamo circa il 3% di una comunità. Quindi da un lato stiamo assistendo alla modificazione e accelerazione della vibrazione di base della terra. Dall'altra stiamo comprendendo come sia possibile influenzare l'intero sistema energetico terrestre con intenzioni e pensieri. Quando dico che la New Age sta tramontando dico che dopo questi vent'anni di speculazione in ogni direzione ora si passa ad una fase sperimentale, ci sono le persone e le tecniche per intervenire con una consapevolezza ampliata e creativa. Si passa alla fase attiva, che tra un'altra ventina di anni mostrerà i suoi frutti. Faccio un esempio: io lavoro su di me con i fiori di Bach dal 2004, ci sono arrivato da scettico in seguito ad un momento cupo. Nel 2007 ho cominciato a prepararmeli da solo, in natura. Nel 2009 ho cominciato a studiare gli scritti di Edward Barch e la sua idea della "medicina della luce", nel 2010 ho tenuto i primi corsi di floriterapia ad altre persone. Nel 2011 ho iniziato a sperimentare le prove di tensione muscolare per misurare quanto il nostro organismo gradisca o meno un certo fiore. Nel 2012 ho sperimentato un piccolo macchinario, ormai disponibile nelle farmacie, che in tre minuti riproduce la vibrazione elettromagnetica del fiore e produce un diagramma di gradimento individuando a colpo sicuro i fiori chiave.

Quello che Bach ha intuito e sperimentato con fede incrollabile e risultati strabilianti dagli anni Venti del Novecento oggi finalmente, 90 anni dopo, viene tradotto anche in linguaggio scientifico e si sviluppa una tecnologia per la diagnosi. Lo stesso percorso in modo accelerato lo stanno subendo tutte le terapie energetiche in espansione in questi anni: dal reiki al pranic healing ad esempio. E in modo simile, ma più combattuto, le percezioni amplificate di sciamani, sensitivi e geomanti si stanno integrando e ci forniscono una visione del nostro pianeta e del cosmo molto più ampia e complessa e interconnessa di quello che potevamo immaginare 50 anni fa. E' il tempo di sviluppare questa visione che io personalmente definisco di Ecologia Olistica, capace di integrare sperimentalmente e operativamente intuizioni che un tempo erano "spirituali" e oggi si rivelano le porte della nuova rivoluzione scientifica: dal paradigma meccanicistico a quello energetico.

sabato 8 dicembre 2012

I 13 pioppi bianchi

Stamattina leggo su un quotidiano l'annuncio dell'assessore all'ambiente di Chioggia Silvia Vianello che, per "evitare le solite polemiche" (cito l'articolo), rende noto che verranno abbattuti nei prossimi giorni 15 pioppi bianchi all'isola dell'Unione. A firmare le perizie che dichiarano "malati" e "pericolosi" i pioppi è l'agronomo Enrico Genovese della SST (società municipale di manutenzione) che eseguirà i lavori. E' prevista inoltre una ripiantumazione di olmi che, secondo Genovese, sono alberi molto resistenti al contrario dei pioppi poco longevi. Conosco quegli alberi, quel parco trascurato è il più vicino a casa. Purtroppo c'è il divieto di entrare col cane e quindi ci vado meno spesso di quanto vorrei. Da che sono arrivato a Chioggia, un anno fa, ho camminato ovunque per ritrovare il contatto con gli amici alberi. Ce ne sono proprio pochi qui in centro storico. Gli alberi dell'Unione quindi li conosco bene e mi sono affrettato verso il parco per andare a salutarli un'ultima volta e valutare, da tecnico del verde quale sono, la validità della dura sentenza di abbattimento. In questi anni di crisi ambientale bisogna pensarci tre volte prima di abbattere un prezioso albero.

Arrivando ho avuto la brutta sorpresa di trovare il parco chiuso e 13 alberi già abbattuti. Devo anche dire che il lavoro è stato fatto malino, probabilmente per la fretta. C'è un pioppo abbattuto in direzione di un pioppo sano che ne ha danneggiato la chioma. Un altro è stato buttato sopra a un pino rompendo alcuni rami. Un altro ancora sopra un cespuglio di evonimo. Mancano i cartelli di rito del cantiere e noto che c'è un grosso varco nella recinzione senza alcuna chiusura. Cerco di vedere le ceppaie e di valutare la qualità del legno. Alla base sono (pardon, erano) in gran parte in buone condizioni: il legno sembra sodo, senza ferite, cavità e marciumi. I problemi cominciano più in alto, dove anni di rovinose potature hanno aperto squarci e da lì marciumi sono entrati e si sono formate cavità. Mi sorprendo della durezza della decisione di Genovese. Di questi 13 morti io ne avrei abbattuti 2-3 al massimo e potati gli altri per abbassare la chioma ed evitare rotture improvvise. Paradossalmente però "costa meno" abbattere un albero che potarlo ad arte. Ci vuole meno tempo a dare un taglio netto di motosega. E i costi e benefici ambientali? Se ora ripiantano 13 alberi giovani ci vorranno 20 anni perchè svolgano la stessa funzione ecologica dei vecchi caduti oggi, con onore.

Mi ha fatto sorridere amaramente anche la frase dell'agronomo sugli olmi letta sul giornale. Genovese afferma che gli olmi sono alberi molto più longevi e resistenti. Dipende aggiungo io: se vengono potati malamente come questi pioppi che vedo e altri alberi massacrati in giro per la città non credo che avranno vita molto più lunga. I pioppi abbattuti avranno a occhio una trentina d'anni, forse quaranta. Genovese forse non ricorda, o non sa, che gli olmi sono stati falcidiati a centinaia da ondate di graffiosi negli ultimi anni? Morti in piedi nel giro di pochi mesi. Inoltre qui bisogna tenere ben presente la forza del vento del Nord Est e la salsedine che ha bruciato molti pioppi bianchi. L'alberatura qui deve essere pensata come una fascia frangivento, con un serie di strati sempre più alti e densi; dalle tamerici, allori, pittospori ai pini, ai lecci e infine ai pioppi neri, meno delicati. Si tratta di imparare dalla natura, da come organizza i boschi mediterranei. E gli olmi sono solo ospiti rari in questo tipo di boschi.

Vorrei che il mio Comune avesse un politica di gestione del verde più avveduta, integrata con la tutela ambientale e gestita in modo lungimirante. Cerchiamo, ad esempio, di piantare alberi adatti al posto e di farli vivere più a lungo possibile. Sulla qualità del lavoro, dall'approntamento del cantiere alla modalità di abbattimento ci sarebbe un altro capitolo di aprire. Indagherò sui costi e sulla relazione tecnica di Genovese per capire le sue valutazioni. Di certo qui è mancata nella squadra di lavoro la capacità di intervenire sulla chioma, con piattaforma aerea o con operatore di tree climbing (potatura in arrampicata). Tutti gli interventi sono stati fatti da operatori a terra, con le limitazioni che questo comporta. E hanno sbagliato persino due abbattimenti su 13, danneggiando altri alberi che resteranno qui. Per un motoseghista professionale è una percentuale altissima di errore. Si può e si deve migliorare, di certo una ditta specializzata avrebbe avuto più attenzione, non avendo le garanzie della SST.

Chissà se sarebbe costata di meno, con la crisi che c'è i prezzi sono crollati ma pochi si fidano a lavorare per le amministrazioni pubbliche che pagano con tempi lunghissimi. Andando via pensoso ho notato alcune persone che sono entrate nel parco, da quel famoso buco nella recinzione che avevo notato, è squarciata da mesi, forse come segno di protesta per gli orari ridotti di apertura di questo parco molto trasandato. Sono entrare a prendersi un po' di legna da ardere. Li ringrazio in cuor mio, perchè mi ricordano che quegli alberi sono anche miei, sono dell'intera comunità. Li ringrazio anche perchè tutto quello che porteranno via gratuitamente non dovremo pagarlo come materiale da smaltire in discarica. Inutile piangere sul "pioppo abbattuto", grazie al Buon Senso. Speriamo che nasca presto un Partito del Buon Senso, lo voterò di certo.

giovedì 29 novembre 2012

Il cuore di luce della nuova Chioggia: Lusenzo.

Molte persone non sanno che Chioggia è un'isola dentro la laguna. Sanno vagamente che è vicino a Venezia e sul mare. Anche per me in verità è stata una scoperta recente. Il Goldoni scriveva: "Chiozza è una bella e ricca città venticinque miglia distante da Venezia, piantata anch'essa nelle Lagune, isolata ma resa Penisola per via di un lunghissimo ponte di legno, che comunica colla Terraferma". Quando si parla di Chioggia ancora meno persone capiscono la complessa articolazione tra l'isola di Chioggia, la grande Sottomarina con la sua spiaggia e gli altri quartieri e le innumerevoli e popolose frazioni. Non lo sanno anche perchè la città è ancora pervasa di un vecchio contrasto per l'egemonia tra Chioggia centro e Sottomarina, che oggi è la parte più ricca e popolosa grazie soprattutto al turismo di massa e allo sviluppo edilizio imponente e, purtroppo, disarmonico. Parlando con un padovano o un vicentino, tipico turista del mare estivo, sarà facile che ricordi Sottomarina come separata e autonoma da Chioggia. Credo sinceramente che i tempi siano maturi per un salto di paradigma che porti ordine e rilanci una nuova ampia e vitale "Chioggiamarina". Offro di seguito il mio contributo di mediatore elementare perchè ciò si realizzi presto col reciproco vantaggio di tutte le parti.
In Italia le nostre antiche città e le identità ad esse collegate (base di un sano municipalismo, che a volte scade in campanilismo) sono costruite attorno al concetto filosofico del "centro". Un'area della cittadina, fitta di aree direzionali, luoghi d'incontro e monumenti storici concentra in sè un'ampia gamma di funzioni e diventa l'emblema (nelle cartoline soprattutto) dell'intero abitato. Il dibattito che per decenni ha diviso ciosotti (abitanti dell'isola di Chioggia) e marinanti (di Sottomarina) verteva proprio su questo. E il confronto era così acceso da far parlare di una possibile separazione amministrativa tra queste due polarità. Due microculture si confrontavano: i pescatori e gli ortolani. Ora è venuto il tempo di integrare gli insegnamenti di tutte le memorie e identità che gravitano attorno alla Laguna sud per poter confrontarci con gli anni complessi e impegnativi che stiamo attraversando.
Per questo il primo passo simbolico, ma carico di potenti implicazioni e ricadute pratiche, è ridefinire il concetto di "centro" della città. E la mia proposta è che sia definita, tutelata e sviluppata come centro della nuova Chioggia la laguna del Lusenzo su cui si affacciano l'isola di Chioggia, l'isola dell'Unione, Sottomarina ma anche il popoloso quartiere di S.Giovanni e, poco discosto, Brondolo con le antiche vestigia dell'abbazia di S.Michele, nucleo originario di popolamento e di riferimento religioso prima dell'arrivo nell'isola di Chioggia del vescovo di Malamocco (XI sec.), lì giunto dalla romana Aquileia. Concepire una città europea con al centro uno specchio d'acqua è una rivoluzione, ma i tempi sono maturi per riconoscere e celebrare Chioggia come una perla dell'amorevole paesaggio della Laguna sud. Onorare la protezione, il sostentamento e la ricchezza che la laguna ha offerto nel corso dei secoli alle genti che qui hanno vissuto è vitale nel momento in cui quell'ambiente si sta degradando e la città con essa. Chi vuole trasformare Sottomarina in un divertimentificio senza spina dorsale come altre famose località turistiche aborrirà l'idea. Chi crede che uno sviluppo turistico equilibrato che promuova le specificità uniche del territorio sia la chiave del successo del futuro invece saprà cogliere in questa proposta una valenza paradigmatica.
La laguna del Lusenzo è stata valorizzata da un piacevole percorso ciclopedonale. Oggi sulle sue sponde ospita case, parchi, orti, attracchi e nelle sue acque qualche allevamento e i canali che collegano Brondolo alla Laguna. E' uno spazio che è già sentito come comune da tutti gli abitanti delle sue sponde. Risolverebbe il conflitto di prevalenza tra la più popolosa Sottomarina e la più antica Chioggia, anche perchè integrerebbe, supportato da una adeguata politica urbanistica, i quartieri ora "periferici" di Borgo S.Giovanni e Brondolo. Questa nuova identità della città si sta sviluppando da decenni, una spia illustre delle dinamiche energetiche che stanno conducendo a questa bellissima evoluzione è, ad esempio, la realizzazione dell'Isola dell'Unione e, in tempi più recenti, l'istituzione del Palio della Marciliana. Questo evento, di ventennale storia, celebra infatti una competizione tra balestrieri delle contrade di S.Giacomo (la migliore, dove vivo io :-), S.Andrea, S.Martino (Sottomarina), S.Michele (Brondolo e S.Anna), Montalbano (Valli e Piovini). Il messaggio della competizione, anche aspra, è anche quello del reciproco riconoscimento, la trasformazione da nemico ad avversario che mi stimola a dare il mio meglio perchè la posta in palio è la stessa.
Veniamo ora alla delicata questione del nome da dare a questa nuova città, con questo nuovo magnifico centro di luce e l'acqua. Il Lusenzo porta un nome antico, di certo pre-ellenico, che allude probabilmente alla qualità della luce riflessa, mentre Chioggia deriva dal nome romano Clodia. Non è credibile ribattezzare la città "Lusenzia", risolvendo così, con un taglio netto le diatribe campanilistiche. Ma di certo ci vorrebbe un nome che accolga le due anime principali della nuova città e io mi sento di proporre Chioggia Marina, anche perchè quel "sotto" con tutta l'acqua alta degli ultimi anni non mi sembra porti molto bene alle nostre cantine e garage. Inoltre "Sotto" si associa anche ad un giudizio di valore molto comune per cui ciò che sta in basso è inferiore. Dunque prepariamo le bottiglie per brindare con l'anno nuovo alla rifondazione della nuova Chioggia Marina, una città incantevole e vivace, capace di futuro. All'ordine del giorno il rilancio legato alla vocazione del territorio, lo sviluppi dei prodotti agricoli locali, il turismo di qualità, il porto, la tutela della laguna e delle attività di pesca e allevamento di mitili, l'inversione del calo demografico, il rilancio del senso e delle funzioni della comunità. Buon 2013 a tutti!

Francisco Panteghini

Mediatore Elementare

Consulenze di Ecologia Olistica

domenica 18 novembre 2012

Gli alberi: pilastri del paesaggio

Il dott. Zanzi, il maggiore esperto italiano di arboricoltura, ci fece sorridere amaramente ad un corso di aggiornamento dicendo che in Italia il giardiniere è l'unico professionista che i clienti pagano per fare danni alle loro proprietà. Si riferiva agli interventi di mutilazione continua cui gli alberi vengono sottoposti, in contrasto con lo sviluppo degli studi del settore e con l'esigenza sempre più pressante di tutelare gli amici verdi per il loro ruolo chiave nell'ecosistema. A Varese la capitozzatura, cioè la rimozione di oltre il 50% dei rami, è vietata e sanzionata dal regolamento comunale. Qui in Veneto invece, a parte la notevole eccezione del Comune di Venezia e qualche altro, la capitozzatura è pratica consueta e anzi sostenuta da errate convinzioni di origine contadina. Mi riempiva un tempo di rabbia assistere alle capitozzature dei monumentali platani lungo le principali arterie di comunicazione. Oggi mi resta la malinconia di un'occasione perduta, di un gesto ormai meccanico e privo di valore progettuale, ecologico e persino economico.

E' cominciata la “potatura”, ovvero lo scalpo dei platani del Terraglio. Il comune di Mogliano provvede solerte a rendere sicure le strade di sua competenza riducendo i maestosi platani a gigantesche mani dalle dita mozzate. Si adduce anche la necessità di tutelare gli alberi stessi dal terribile “cancro del platano”. Sono informazioni tecnicamente scorrette: ogni grosso taglio è la via primaria di infezione e riduzione della vitalità degli alberi. Non si dice mai che il tre - cinque per cento degli alberi vetusti capitozzati in questo modo muore l'estate successiva (con successivi costi di abbattimento). Comprendo la difficile situazione degli amministratori che spesso non hanno a disposizione personale competente e hanno risorse ridotte.

La gestione del verde è diretta da geometri o membri dell'ufficio tecnico senza formazione specifica di botanica e gestione del verde pubblico. Lavorare allo stesso modo le ditte incaricate dalla Provincia di Venezia e Treviso. Oltre alla mancanza di professionalità, che le ditte private potrebbero compensare, c'è il costo: moncare le branche principali è un lavoro veloce che richiede poca competenza, potare a regola d'arte, riducendo il carico del vento, eliminando solo i rami pericolosi è richiede operatori qualificati e tempi maggiori. Più tempo si traduce in più denaro.

Quanto costa potare un albero di grosse dimensioni? Nei capitolati le cifre sono molto basse. Troppo basse. L'Anas ad esempio nel 2011 prevedeva un costo di 160 euro + IVA per ogni albero più alto di 12 metri, inclusa l'asportazione e lo smaltimento delle ramaglie. Cifra ridicola considerando che per questi lavori si utilizza una squadra di 5 persone e mezzi adeguati. Gli operatori se vogliono “guadagnarsi lo stipendio” sono costretti a potare un albero monumentale in meno di due ore. Se rimaniamo in questo sistema di pensiero siamo in un vicolo cieco. E' necessario allargare la visione per poi trovare altre strade. Innanzitutto dobbiamo accettare come punto irrinunciabile il ruolo ecologico chiave degli alberi nel paesaggio. Una terra con pochi alberi è una terra che si vota alla sterilità, alla desertificazione, alla povertà. Non possiamo più contare su nessun “polmone verde” a livello globale. L'Amazzonia è ridotta ad una savana alberata con qualche angolo di fitta boscaglia. Qualsiasi serio studioso di ambiente lo può confermare. Partendo da questo presupposto dobbiamo sviluppare politiche di gestione e sviluppo del patrimonio arboreo che coinvolga sia i privati che le istituzioni. E' un obiettivo comune, una delle maggiori eredità che lasceremo ai nostri figli.

In quest'ottica tutelare il singolo albero è poco significativo, l'importante è che si affermi la visione d'insieme. I platani del terraglio sono testimoni storici di un paesaggio che è scomparso: piantati in epoca napoleonica per ombreggiare le carreggiate sterrate dove si viaggiava a piedi o traino. Ora che contengono lingue d'asfalto con sofisticati “autonavi” metalliche, con l'aria condizionata, capaci di sfrecciare a velocità inimmaginabili cent'anni fa sono fuori posto. Sono pericolosi perché la velocità delle nostre macchine li trasforma in pilastri mortali quando ci schiantiamo. Il famoso architetto Paolo Pejrone invita da anni a riconsiderare questa tradizione dei viali alberati: conservarla nei centri storici e sostituirla con boschetti ritmati accanto, ma non rasente, le strade a forte traffico e velocità.

Dobbiamo avere il coraggio di trasformare il paesaggio in modo da armonizzare le esigenze della modernità con gli imperativi ecologici, pena il tracollo ambientale. Io sono fiducioso che il Veneto, ferito da uno sviluppo industriale impetuoso e dalle lottizzazioni sfrenate, possa diventare la guida della sintesi di un nuovo paesaggio dove “naturale” e “artificiale” trovino un reciproco equilibrio. Qui da noi c'è il ricordo e l'amore del paesaggio campestre, dei boschi e delle montagne innevate. Abbiamo le risorse economiche e di competenza perché abbiamo amministratori locali tra i migliori d'Italia: lo dimostrano ad esempio i comuni virtuosi nella raccolta differenziata. Si tratta quindi di ridefinire le prospettive e implementare le politiche che coniughino funzioni ambientali con sviluppo civili ed economico, che è proprio il compito dell'ecologia olistica e della geomanzia moderna. Quali sono le fasi operative per gli enti territoriali? Costituire un ufficio del Verde con personale qualificato, censire il patrimonio, redigere un regolamento comunale che preveda anche sanzioni, sollecitare la partecipazione attiva dei cittadini, stabilire aree di riforestazione, reperire fondi anche comunitari e collaborazione coi privati.

Francisco Panteghini

Mediatore Elementare

Consulenze di ecologia olistica

sabato 10 novembre 2012

Acque alte in laguna: fenomeno naturale o indotto?

Suonano le sirene nella notte, sei lunghi fischi. Mi vesto e scendo a installare le paratie. Per centomila abitanti della laguna comincia un'altra giornata di acqua alta. Probabilmente. Le previsioni infatti non sono sempre affidabili, il gioco dei venti ancora sfugge ai modelli e una variazione di 10 e più centimetri è cosa già accaduta. Per chi non vive in laguna dieci centimetri sembrano pochi, ma quando sono la differenza tra stare coi piedi all'asciutto o dover spostare mobili e passare ore a spazzare diventano molto molto importanti. La qualità delle previsioni e della comunicazione ai cittadini potrebbero essere molto migliori ma preferiamo investire 700 milioni di euro l'anno in un progetto sperimentale che dovrebbe proteggerci dalle acque alte, ad eccezione di quelle eccezionali. E' ancora una questione di centimetri: io finanzio un progetto che lascia irrisolto il mio problema iniziale. Mi dovrò vestire, scendere e montare le paratie: solo che dovrò farlo più in fretta perché se la marea salirà oltre il livello massimo mi avvertiranno poco prima.

Quando mi sono trasferito in un centro storico lagunare ho messo nel conto di accettarne gli inconvenienti: maree, parcheggi lontani, scomodità dei trasporti. Pago questo prezzo volentieri perché mi sento privilegiato a vivere in questo luogo unico. Amo la città, il riverbero della luce sull'acqua e amo poter prendere la barca a remi ed essere in mezzora nell'ecosistema più complesso e ricco del pianeta. Le lagune infatti sono degli scrigni di biodiversità ed efficienza energetica: trasformano l'energia solare grazie alle acque basse e all'afflusso di nutrienti dai fiumi in un clima temperato e ricco che fa aumentare la produzione di biomassa a 15-20 g al m quadro, contro 1 g delle praterie. Quest'abbondanza si trasforma a cascata in alghe, batteri ecc. arricchisce tutte le catene alimentari (vongole, granchi, granchi e quindi uccelli ecc.).

Io sono cresciuto in montagna e ricordo le nevicate degli anni Ottanta, quando avere venti centimetri in una notte era consueto. Ci si svegliava presto, si spalava la neve, si liberava l'auto, si montavano le catene e si evitava di uscire se non per le cose indispensabili. Qui in laguna molte persone considerano le acque alte qualcosa di estraneo e nemico, ma a me sembra naturale. Se vivessi in una casa (magari anche abusiva) in golena non potrei certo lamentarmi per le piene del fiume! In certi quartieri, in certe isole si avverte ancora nei momenti di difficoltà il risorgere del senso di comunità, di trovarsi tutti sulla stessa barca (che affonda?) e sostenersi con consigli, parole e azioni. Questa spontanea coesione sociale è uno degli ingredienti dell'identità isolana che lo stato di Venezia seppe tradurre in una sistema politico che godette di invidiabile stabilità in confronto ad altre città stato come Milano o Firenze.

Il primo passo per capire cos'è e che funzione ecologica abbia la marea in laguna è rinunciare ai giudizi ma accettare che c'è e indagare le relazioni di causa, effetto e sincronicità. Se rimaniamo fermi nel giudicare il fenomeno (“buono” o “cattivo”) rimaniamo bloccati e non possiamo sviluppare strumenti operativi efficaci. La marea è un fenomeno naturale che mantiene in vita l'ecosistema lagunare con il ricambio delle acque. La funzione di pulizia delle acque marine è quanto mai vitale dato il progressivo aumento degli scoli delle nostre fognature, industrie e barche a motore diesel. Se blocchiamo il flusso delle maree trasformiamo la laguna in una vasca da bagno buona solo a metterci i pesci rossi. Declineranno inevitabilmente tutte le altre squisitezze protagoniste della gastronomia lagunare. Possiamo paragonare la marea e il suo movimento in laguna al nostro respiro: il polmone è la laguna, la marea il flusso d'aria. Il respiro ha ritmi regolari se siamo a riposo, ma di tanto in tanto dobbiamo prendere un respiro un po' più profondo per ossigenarci meglio. Quando invece siamo in attività dobbiamo respirare più velocemente e più a fondo. Oggi l'ecosistema lagunare è sotto grande sforzo e ha accelerato il suo respiro nel tentativo di rivitalizzarsi.

Ma l'acqua alta è sempre stata così frequente e intensa? Disponiamo di dati sistematici di rilevamento delle maree dal 1872. La cosa che colpisce osservando il grafico è che le maree eccezionali (acqua alta) è diventata cosa comune (passando da 2-3 volte l'anno a 30 e più) nel corso degli anni Sessanta, con un aumento continuo. Dunque questo fenomeno naturale è stato stravolto da qualche altro fattore? Cos'è successo negli anni Sessanta di così sconvolgente in laguna? Tra il 1961 e il 1969 è stato scavato il canale dei Petroli, ovvero un canale largo 200 metri e profondo 15-16 metri (in una laguna profonda in media 80 cm) che serve tuttora a consentire il passaggio di navi (petroliere in particolare) dalla bocca di porto di Malamocco alle raffinerie di Marghera. Una "grande opera" di quei tempi che serviva alla scelta politica di privilegiare un certo tipo di sviluppo economico (industriale) senza curarsi sulle ricadute ambientali dannose per la pesca, l'allevamento di molluschi e la tutela della laguna negli anni a venire. Era la logica del tutto subito, quando il boom mondiale dei consumi, di cui siamo stati protagonisti, ci illudeva che le risorse naturali fossero inesauribili e che il petrolio e i suoi derivati (dalla benzina alla plastica) fossero la chiave irrinunciabile della modernità. Quel tempo è tramontato ormai.

Il legame tra lo scavo del canale (e il suo continuo mantenimento), l'aumento del traffico navale, con conseguente moto ondoso, e il maggior ingresso d'acqua marina è evidente ma le scelte economiche e le politiche da esse influenzate le hanno volutamente taciute. Quel canale è una ferita profonda in un ecosistema unico. Una ferita che sta uccidendo la laguna, ma non temete la vita è continuo mutamento e la morte è solo una continua trasformazione: sta nascendo qualcos'altro. Una specie di grande golfo marittimo, che battezzerei il Golfo di Porto Marghera, non più di Venezia che è la prima condannata a soccombere al venire meno delle condizioni ambientali che l'hanno vista nascere e fiorire. Insomma stiamo costruendo qualcosa come il Golfo di Taranto qui in Veneto, buttando via secoli di politica idraulica della Serenissima per la tutela della laguna, che come le valve di una conchiglia custodiva la preziosa perla di Venezia. A me non piace questa prospettiva ma si può ancora cambiare strada. E tu cambieresti?

Francisco Panteghini

Mediatore Elementare

Consulenze di ecologia olistica

mediatorelementare@gmail.com

domenica 4 novembre 2012

La funzione ecologica dell'umanità (II)

Verso una visione olistica ed energetica. Parte II

Ho appena finito di leggere l'accorata testimonianza di vita di Francesco Tassone nel suo libro “Ecologia consapevole”. Da agronomo di grande esperienza Tassone integra la sua ricerca personale con la pratica lavorativa. L'ho sentito molto vicino in questa tensione tra insoddisfazione personale e scontro con logiche distruttive e avvilenti sul lavoro. Con ironia ed esempi mostra i limiti della politica agraria europea e poi inizia a ridimensionare le teorie economiche e i modelli di pensiero che stanno alla base di un approccio riduzionistico e meccanicistico del reale. Limpida la sua consapevolezza che le teorie sulla realtà non sono LA REALTA', ma sono delle finestre da cui guardiamo prozioni del reale e che usiamo per prevedere cosa succederà e orientare il nostro comportamento.

Anche lui, come me e molti altri, arriva alla conclusione che è tempo di un cambiamento di paradigma (di visione scrivo io). Gli ingredienti essenziali di questa trasformazione sono l'accoglienza dell'essere umano integrale (HOMO empaticus lo chiama Tassone, superamento dell'indurito e incattivito Homo economicus), il rispetto per la Terra, il saggio uso delle sue risorse limitate secondo una nuova visione di ecologia globale, la rinuncia all'antropocentrismo e lo sviluppo di ascolto intuitivo. Sì avete capito bene: ascolto intuitivo. Tassone lo chiama “istinto ecologico” ovvero, partendo dalla sua esperienza, porta alla luce una capacità innata nell'essere umano di entrare in sintonia con l'ambiente decodificando messaggi e stimoli senza passare dall'intelletto ma che possono poi venire verbalizzati, tradotti e concretizzati. Captare questo flusso continuo di stimoli ambientali che passano attraverso il corpo e l'emotività permette di individuare, con una specie di bussola interiore, il comportamento migliore per noi e contemporaneamente per l'insieme.

Condivido e testimonio che è possibile sviluppare questo senso, che più che “sesto senso” chiamerei sano “buon senso” di esseri umani coi piedi ben piantati per terra che si rendono conto delle conseguenze del loro agire e non giocano a fare gli struzzi. Il presupposto di questa possibilità è che noi come esseri umani individuali siamo interconnessi con tutto l'ecosistema. Lo sviluppo dell'ecologia negli ultimi cento anni è proprio lo studio delle relazioni tra tutti gli elementi della biosfera e oltre. L'asserragliarsi in teorie scientifiche, economiche e altro che non sappiano aprire il loro sguardo a questo approccio è un comportamento infantile e distruttivo. Riconosciamo serenamente i nostri limiti, le esperienze e i fallimenti per poi metterci a disposizione della vita. Poesia? No, è un cambiamento di paradigma: passiamo da una visione che riduce e analizza, porta inquinamento e disperazione perché perde di vista che ogni cosa influisce sull'insieme e che azioni che danneggiano l'insieme si trasformano poi in danni per me.

E per sviluppare un cambiamento sociale, economico e tecnologico adatto all'ambiente in cui viviamo dobbiamo prima cercare di capire chi siamo, o se preferite ricordare chi siamo. Citando Tassone, che ingloba le conseguenze delle ricerche di fisica quantistica : “Certamente noi siamo anche personalità, siamo un copro, siamo DNA, ma principalmente siamo ciò che anima la materia, che si relaziona ad altre forme di energia che animano altre forme di materia. Siamo energia che si vuole evolvere e che lo fa attivando i suoi programmi evolutivi relazionandosi con l'ambiente circostante nelle sue diverse frequenze e dimensioni (non solo quelle visibili). Riceve continuamente impulsi di risposta alle sue domande e questo avviene in termini che superano la razionalità”.

Siamo in un momento di passaggio che ci impone di cambiare la nostra visione. L'uomo si è evoluto fino a mettersi in cima alla catena alimentare, è diventato il primo predatore, ha cominciato a costruire un ambiente completamente elaborato da lui dando vita a materiali, forme, organismi che non esistevano prima. Dunque è diventato un distruttore di paesaggi ma anche un creatore. Ora può accedere ad un altro livello: quello del creatore consapevole che collabora con il flusso energetico per sviluppare la ricchezza e la diversità della biosfera guarendo le ferite che ha inflitto. E' il movimento evolutivo planetario: possiamo cominciare a percepirci come la coscienza avanzata della Terra, la sua funzione creativa, un po' come nella visione ebraica del giardino dell'Eden possiamo portare consapevolezza (“dare il nome alle cose”) e diventare i custodi dell'evoluzione generale, accettandone i ritmi e sviluppando progressivamente la comprensione delle interrelazioni.

Il sistema terrestre sta evolvendo e sta attivando i suoi anticorpi alla devastazione: sia cambiando il clima ma anche risvegliando tra gli esseri umani una nuova coscienza. Come si estinsero i dinosauri l'umanità potrebbe estinguersi se non fosse più utile a Gaia, e forse l'eredità di specie più evoluta passerebbe ai delfini. La nostra scelta è libera se aderire e sviluppare nella nostra vita questa prospettiva che è implicitamente ecologica, senza diventare ambientalista e oppositiva. Dobbiamo portare al centro i valori, l'etica, la responsabilità, capire che il mezzo e il fine si influenzano a vicenda. Pensare l'economia con al centro un'etica dello sfruttamento e della competizione ha portato lo stato di attuale degrado ambientale. Se vogliamo permettere un'ulteriore evoluzione dobbiamo mettere al centro un'etica collaborativa, basata sulla fiducia e la percezione attenta della realtà piuttosto che delle teorie intellettuali su come la realtà dovrebbe funzionare.

Ebbene da dove cominciamo? Se avete letto fin qui e sentito di aderire in qualche modo non tanto ai contenuti informativi ma a quelli più sottili ed emotivi, che la vostra parte empatica di donne e uomini desiderosi di ulteriore evoluzione riconosce, seguite questo consiglio: abbracciate gli alberi. Con le braccia, il cuore, la mente abbracciate gli alberi. Tassone ha trovato il coraggio di dire ciò che sentiva a partire dall'incontro con un antico Kauri in Nuova Zelanda. Io ho trovato il coraggio di cambiare il mio modo di fare giardinaggio dormendo e dialogando interiormente sotto un grande platano. Fatelo e facciamolo, riconosciamoci e sosteniamoci a vicenda in questa evoluzione così necessaria per noi e per tutto il pianeta.

lunedì 15 ottobre 2012

La funzione ecologica dell'umanità (I)

Verso una visione olistica ed energetica. Parte I

Si sente spesso parlare di funzione ecologica di questa o quella specie animale o vegetale, di quella particolare famiglia di batteri o di quel fungo demolitore unico di un certo materiale. Per arrivare a conoscere le interazione di una certa specie si provvede a sezionare, analizzare, osservare e poi soppesare ogni interscambio con altre specie e con l'ambiente. Alla base di questa visione c'è una visione ispirata al naturalismo darwiniano che riposa ancora su una visione della natura come oggetto di studio: un sistema complesso di interrelazioni da cui il pensiero umano può astrarsi, come se non ne facesse parte, per poi studiarla da fuori. Più a monte si scorge la tradizione filosofica greca (aristotelica in particolare), che cominciò a separare ciò che è umano da ciò che è “naturale”, “originiario”, “selvaggio” costruendo solide mura mentali.

Quando si applica questo approccio alla domanda: qual è la funzione ecologica dell'umanità? Nascono considerazioni che vanno dal banale al grottesco: l'uomo è salito in cima alla catena alimentare, è diventato il predatore dei predatori del mondo animale. Proseguendo in quest'ottica l'uomo è diventato il costruttore di nuovi paesaggi che in “natura” non esistevano. Nella visione catastrofista di molti ambientalisti l'umanità è la distruttrice dell'equilibrio dinamico ma quasi perfetto delle componenti “naturali”. L'uomo dunque è l'estintore? Nel senso che è colui che distrugge, senza neanche rendersene conto spesso, intere specie vegetali e animali e chi sa cos'altro? Che le nostre città attuali e l'agricoltura industriale si diffonda come un cancro nell'ecosistema terrestre è una metafora che ho usato spesso anch'io.

C'è qualcosa di vero in queste accuse che sono utili, a mio avviso, a mettere in crisi il tronfio antropocentrismo che giustifica ogni scempio e devastazione in virtù della capacità dell'umanità di fare questo o quest'altro o del suo desiderio di raggiungere questo o quell'obiettivo tecnico, politico, militare o ideologico. La scuola ecologica pragmatica ha cominciato a sviluppare strumenti per valutare “l'impronta ecologica” di ogni manufatto e azione umana. Aumenta la consapevolezza che ogni intervento porta conseguenze molto più ampie di quelle visibili nell'immediato e che la comprensione delle interazioni della biosfera terrestre (per non parlare di altri livelli ancora) è molto primitiva e quindi si consiglia prudenza e di rallentare la corsa frenetica a espandere e sviluppare tecnologie e stili di vita che sembrano incompatibili con la sopravvivenza stessa dell'umanità e forse dell'intera vitalità del pianeta.

Da visioni come questa si alimenta il processo di decrescita consapevole, comportamenti virtuosi, riduzione dei consumi revisione dello stile di vita consumistico, investimento in tecnologie ed energie “pulite” che stanno offrendo interessanti sviluppi e ampliando possibilità e capacità di sostenere la vitalità del sistema, possibilità di ridurre e combattere l'inquinamento, di rivitalizzare aree depauperate. Il concetto di biodiversità e l'importanza della sua tutela si sta facendo sempre più largo. E ancora si sviluppano filoni di agricoltura naturale, medicina olistica, bioenergetica che sembrano prospettare la possibilità di uno sviluppo armonioso e persino prospero dell'umanità alleata con la “natura”. Da “estintore” a “curatore” di tutti gli esseri del pianeta. Rasserenante visione che mi sembra la premessa a successivi sviluppi.

E' certo necessario disarmare il catastrofismo. Saper dire no al consumismo senza cadere nella polarità opposta del “primitivismo”. Soprattutto continuare a espandere le conoscenze e mettere da parte tutti quei comportamenti distruttivi che a livello internazionale (guerre e sviluppo di tecnologie di distruzione di massa), sociale (conflitti economici, sfruttamento ecc.), familiare (rimando per esempio alle Costellazioni Familiare di Bert Hellinger) sono minano quel processo evolutivo generale che sembra intravedersi e che molti approcci religiosi, mistici e filosofici annunciano o auspicano. Si tratta però anche qui di aprire la visione, di rinunciare progressivamente alle certezze ideologiche o di fede per accogliere realtà sempre più vaste.

Ho usato spesso in questo scritto la parola “visione”. E' stata una ridondanza voluta. Come uomo d'azione e come intellettuale sento necessario sviluppare un quadro d'insieme, per quanto provvisorio e migliorabile, in cui inserire il mio percorso individuale per contribuire allo sviluppo di movimenti evolutivi familiare, sociali e culturali ancor più ampi. E' il motivo per cui ho chiuso un anno fa la mia piccola azienda di giardinaggio e mi sono preso tempo per studiare e portare nel cuore e nella pancia tutte le esperienze, intuizioni e letture degli ultimi anni. Stanotte mi sono svegliato alle tre con l'urgenza di cominciare scrivere (= articolare e condividere) quello che ho maturato.

In questi mesi comincio a distillare in me stesso alcuni punti di riferimento e approcci metodologici che sto mettendo alla prova anche nel mio nuovo lavoro di mediatore elementare. E' tempo, e sta maturando, di un'ecologia olistica che ampli la visione dell'essere umano e allo stesso tempo indaghi le sue interrelazioni con il sistema terrestre di cui fa parte. Sarà una visione aperta alla lettura energetica della realtà e quindi dinamica ed evolutiva. Sarà questo l'oggetto dei prossimi post su AmareLaTerra e la base delle esperienze formative che proporrò in autunno (con AmicoGiardiniere.it e altre associazioni). Cosa intendo per “ecologia olistica” o “approccio energetico”? Intendo la capacità di integrare e sviluppare la consapevolezza che la realtà ordinaria, quella percepibile coi sensi, è solo una piccola parte dell'intero sistema dinamico in cui siamo inseriti. Diciamo che è un po' come la punta dell'iceberg.

Ma cosa c'è sotto? Innanzitutto l'elettromagnetismo, il flusso della luce solare, la gravità e il movimento sidereo terreste a livello planetario. Non possiamo pensare di conoscere veramente e agire consapevolmente su questo pianeta senza capire che la materia è una forma di energia, che vibra a una certa frequenza e che ci sono molte altre frequenze. L'essere umano è una specie di antenna ricetrasmittente di moltissime frequenze: si sviluppano ormai strumenti capaci di valutare la variazione del nostro campo elettromagnetico (del nostro cuore in particolare, che è 100 volte più potente di quello del cervello) in base alle nostre emozioni o dei nostri pensieri. Queste vibrazioni si diffondono e smuovono in risonanza o dissonanza tutto ciò che vibra su quella frequenza. Insomma ci sono fili sottili ma anche grossi cavi d'acciaio che ci collegano con tutto il sistema terrestre. Mi sembra questo la migliore definizione del pianeta, e lo preferisco al suggestivo nome “Gaia”, che pur riconosco su un piano emotivo.

A presto. Buona evoluzione.

domenica 16 settembre 2012

Recupero del parco della Navicella a Brondolo

Da un paio di mesi un gruppo di volontari, gli Amici del Parco, ha iniziato il faticoso lavoro di pulizia e nuova destinazione del parco della Navicella in località Brondolo (Chioggia, VE). L'area è proprietà della Veritas (ma costruito quando esisteva ancora la ASP comunale) ed è stato realizzato nel 2005 per mitigare l'impatto visivo delle nuove cisterne dell'acquedotto cittadino. L'associazione ha convinto il Comune (azionista della Veritas) a concedere l'uso del parco ai suoi soci per realizzare un'area di svago per cani. La nuova destinazione quindi prevederà l'accesso riservato ai soci, recinti per far correre i cani liberamente e spazi aggregativi per i soci e i loro familiari.
Il parco si sviluppa attorno alle grandi cisterne. La principale è una vasca circolare da 24.000 metri cubi, profonda 5,5 metri e dal diametro di 80 metri. Per ridurre l'impatto visivo dell'opera in cemento armato è stata poi ricoperta di terra per uno spessore di circa 80 cm dove sono state piantumati alberi e arbusti, tracciati vialetti, installata l'irrigazione per il prato, panchine, giochi. Dopo qualche anno il parco è stato abbandonato. Non conosco le ragioni ma credo siano collegate allo scarso utilizzo (l'ingresso è lontano dalla strada, in fondo al parcheggio di rimessa degli autobus) e ai costi di gestione che il Comune ha deciso di non poter più sostenere. L'area è stata poi oggetto di molti atti di vandalismo che hanno devastato i bagni e gran parte dei giochi.
Facciamo ora una veloce visita al parco: ci troviamo di fronte ad una bassa collina artificiale, la cui sommità è spianata. Dall'ingresso si accede ad una piazzetta piantumata con lecci, da qui parte un vialetto piastrellato che sale alla sommità curvando a sinistra. Improvvisamente termina la pavimentazione e inizia un vialetto di ghiaia che parte ad angolo quasi retto verso sinistra. Al centro della spianata una vasca, ora vuota attorno a cui idealmente sarebbe dovuto ruotare il parco. Molti alberi e cespugli sono morti o sofferenti. Il ridotto spessore di terra rende quest'area, la più vasta del parco, un vero e proprio spazio verde pensile, come se fosse su un tetto di un edificio e quindi richiede specifiche logiche di impianto e di manutenzione. Tra i giochi installati spicca il gruppo che forma una ideale nave con prua, castello centrale e poppa. Volendo discendere verso l'ingresso compiendo un giro completo bisogna scendere un comodo pendio alberato dove si trova uno degli alberi più belli del parco, un giovane pioppo bianco. Una lunga e stretta area giochi si sviluppa all'ombra di alcune geditsie spinose. Qui mancano i sentieri.
Ecco il disegno del progetto del parco che mostra la divisione funzionale tra area a parco e area di esclusiva dell'acquedotto dove sorge un piccolo edificio di servizio e la grande torre cisterna per mettere dare pressione alle condutture. Spicca il disegno spezzato dei vialetti e la forma anch'essa spezzata della vasca centrale che risulta l'unico elemento di rilievo previsto dal progettista. La scelta di essenze e l'integrazione delle aree periferiche alla collinetta non è assolutamente considerata. Personalmente e professionalmente, come giardiniere e mediatore elementare, trovo che qui siano stati commessi parecchi errori progettuali e non siano stati considerati abbastanza le specificità del luogo e le difficoltà oggettive del verde pensile.
Mentre collaboro al lavoro generoso dei volontari Amici del Parco considero tutte queste cose e cerco ora di offrire alcune visioni d'insieme di come potrebbe svilupparsi questo luogo in modo più armonioso. Il mio approccio include la geomanzia, ovvero l'arte di interpretare le energie della terra e di integrare gli interventi umani nel paesaggio, e un approccio operativo che considera la presenza vegetale come primaria e non come accessoria. Ovvero il parco è tale se è rigoglioso di sane e forti piante. Agli amici volontari raccomando di avere le idee chiare sulla nuova destinazione del parco e di programmare poi gli interventi secondo una chiara gerarchia di intenti per non disperdere energie, esperienza di cui la storia del parco porta già il segno.
Dal punto di vista geomantico è importante sottolineare che questo luogo è fortemente collegato con l'acqua (con le polarità abbondanza / mancanza). Questa siccitosa estate ha trasformato lo scenario inselvatichito in uno spazio brullo e polveroso. Con il ripristino dell'irrigazione e il ritorno delle dolci piogge è rinverdito a vista d'occhio, fatta eccezione per gli arbusti gravemente danneggiati. Inoltre il parco nasce come opera di recupero ambientale per ridurre l'impatto delle vasche dell'acquedotto comunale. Quindi è un luogo chiave della città: l'acqua è la fonte della vita, sotto questo parco passa la vena d'acqua potabile di tutto l'abitato. Al centro c'è questa vasca dalle forme irregolari e disarmoniche che sembra risucchiare (tutti i percorsi convergono lì) invece di nutrire.
Il nome del parco richiama per altri versi l'acqua: parco della Navicella, facendo riferimento al miracolo cinquecentesco dell'apparizione miracolosa della Madonna con il corpo di Gesù (nell'immagine la rilettura a fumetti del prodigio di Rosario Santamaria). Dunque un forte collegamento con la devozione e al rapporto sacro con il mare (il nome stesso Maria è collegato a mare), acqua primigenia. Dall'altro però compare anche una “navicella” (spaziale?) che ben si accorda con il galeone che i volontari stanno riattando. Il terreno del parco è di impasto sabbioso, anche qui richiama la formazione del litorale. Quindi le essenze che ben si ambienterebbero qui sono quelle tipiche dei litorali locali o mediterranei più ventilati in generale e, da un punto di vista tematico, quelli che possano evocare il rapporto con l'acqua. Ci vorrebbe almeno un bel salice, piangente magari.
I percorsi sono da rivedere profondamente: smussare le curve ad angolo che sono innaturali, adattare viabilità ai nuovi recinti e destinazioni e togliere centralità alla vasca, favorendo una fruizione più libera e completa. Per questo sarà necessario prevedere un collegamento con l'area delle gleditsie e, magari un domani, con la scarpata a est, più irta e selvatica. In questo modo già si romperebbe quel circuito obbligato che secondo me ha contribuito molto a scoraggiare la fruizione, inconsciamente. Offrire diverse vie d'uscita serve a rompere l'effetto spirale depressiva convergente sulla vasca. E' molto importante poi dare risalto e celebrare il nuovo “galeone” come simbolo della nuova gestione, della capacità di fare gruppo (un buon equipaggio) per salpare verso una nuova avventura. Nella vasca sarebbe bello ci fosse un'immagine marina, potrebbe essere una sirena magari o un'altra immagine giocosa e solare. Sconsiglio di usare l'immagine cupa della Madonna della Navicella, che potrebbe sembrare una scelta suggerita dal nome e dal luogo.
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