La frana si è mossa dalle alte quote, oltre i duemila metri c'è un deposito di materiali del ghiacciaio ormai ritirato e sono scesi giù nel catino della Val Rabbia e si sono riversate mirando un punto preciso giù nella valle principale. Mi ha colpito molto questo evento. Sono andato a constatare di persona cosa è successo, ad ascoltare i luoghi: sì perchè sempre più spesso preferisco ascoltare i luoghi che le persone. Dato che non ci sono stati morti e la strada in poche ore è stata ripristinata non fa più notizia la frana.
Certo se la ricorderanno bene gli abitanti di Rino che si sono visti spazzare via il ponte, cavi e tubature che univano le due rive della Val Rabbia. Ma credo che ci sia ancora molto da fare per imparare la lezione che le montagne cercano di inculcarci. E' la terza frana che scende in 10 anni, nel 2006 si era già fatta vedere bene. Adesso ci risiamo e ho la netta impressione che non si fermerà qui, che presto si rimetterà in movimento.
La Valle della Rabbia vomita conati di quarzi, tonaliti, porfidi, sabbia, radici e terra in Valcamonica. La rabbia di una montagna sempre meno ascoltata mentre la Valle si "sviluppa" e costruisce nuove funivie e spera che il turismo di massa, la speculazione edilizia e qualche nuovo capannone possano rilanciare un'economia fragile. Sento la mia rabbia insieme a quella della montagna: per l'agricoltura e l'allevamento in abbandono, per l'esaltazione di stili di vita che nulla hanno a che fare con la tradizione di questa terra e le lezioni importanti che ha insegnato ai suoi valligiani.
Terra di emigranti in tempi recenti, un tempo di streghe e fabbri abili: mentre la corsa al benessere accelera si addormenta in molti l'intuitiva sintonia con gli elementi vivi del paesaggio, l'amore profondo e il rispetto per le acque, i boschi, gli alpeggi. E la montagna chiama, pretende l'attenzione dei suoi figli non certo per tornare indietro ma per imparare a tessere una nuova alleanza, senza svendersi al consumismo passepartout.
Mi auguro che i camuni ricordino quando un sogno premonitore li avvisava di quello che sarebbe poi accaduto, che si stringano insieme per sviluppare il loro territorio secondo logiche comunitarie e lungimiranti che includano la tutela del paesaggio come irrinunciabile bene per l'uomo, come per gli alberi, le fate, i camosci e le poiane. L'uomo che ritorna umilmente alla madre terra ritrova il senso e la misura del suo agire.
testi e fotografie di Francisco Panteghini dei Polentù de Bièn, scatti del martedì 31 luglio 2012
mi sono commossa. Grazie Francisco dei Polentù de Bièn. :)
RispondiEliminagrazie a te, ritrova la strada per ascoltare le montagne, sai che ci insegnano con saggezza ma anche con durezza. è meglio imparare in fretta!
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