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giovedì 19 aprile 2012
Kayak è libertà
A marzo ho comprato un kayak. Da mesi cercavo un modo per entrare in acqua. La decisione l'avevo presa durante una lunga passeggiata inaspettata. Ero a Venezia a fine dell'estate scorsa. Uno sciopero dei mezzi mi aveva lasciato spazientito a piazzale Roma. Così ho deciso di andare a piedi, come facevo quando studiavo a Venezia e andavo a correre. Cammina cammina la laguna al mio fianco mi incantava. Ad un certo punto, sarà stata la stanchezza, ho sentito un potente richiamo dall'acqua, forse una sirena di passaggio. Da allora ho valutato diversi modi per poter navigare. Il kayak è stata la scelta più semplice: per la praticità di trasporto, la velocità in acqua e il costo contenuto.
Impagabile la facilità di trasporto: due barre sul tetto del furgone e via. Via le cinghie, kayak in spalla e pagaia alla mano e giù per le rive di canali, fiumi o altri specchi d'acqua. Così ho potuto vedere con altri occhi il Marzenego, la laguna, il lago d'Iseo, la dolce Brenta. Penso proprio che per me il kayak sia sinonimo di libertà. Lascio a riva il cellulare e il portafoglio, le preoccupazioni di dover tenere insieme una personalità fatta di impegni e scadenze, emozioni contrastanti e aspettative. Il cuore si fa più leggero sulla mia barchetta a forma di seme. Come un seme che entra nella terra morbida sospinto dal desiderio di germinare così avanzo leggero nel ventre umido delle acque.
Ho scelto mesi fa il nome per questo kayak: si chiama Monamì, un nome che porta in sè l'amicizia che stiamo creando con lui e con l'acqua ma anche quella sensazione di essere un po' "mona" a farmi incantare da cose così piccole. Ma forse ha ragione quel detto che recita "l'ignorante non sa niente, il professore pensa di sapere tutto ma solo il mona sa". Di certo sa come essere felice! Ringrazio la cultura Inuit che ha inventato e costruito gli antenati del mio kayak, certo non è di pelli e ossa il mio, ma si è adattato ai tempi e al maldestro rematore.
Oltre al nome ho decorato, un po' rozzamente lo ammetto, la chiglia. Quando l'ho posato sul lungo tavolo ho passato del tempo a osservare e percorrere la chiglia con le mani. Ero orgoglioso del mio piccolo drakkar (la nave vichinga). Ho disegnato l'immagine di un uomo che vorrebbe essere un gigante, un moderno S.Cristoforo che invece del bambin Gesù porta la sua anima delicata in spalla. E molti amici si mettono in viaggio con lui sotto la Luna e il Sole: uno gnomo in mongolfiera, un albero ridente per bastone, una sirena e molti pesci. Tutti a festeggiare questa conversione del gigante nudo come un bambino ma deciso a proteggere e servire ciò che ama. Ho scritto tre parole che sono state le parole chiave di questi ultimi anni: Armonia, Insieme, Libertà.
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Hai ragione Francesco, il kayak è proprio un sinonimo di libertà,
RispondiEliminama non solo...
Eko