Francisco Panteghini
Mediatore Elementare
Consulenze di Ecologia Olistica
Francisco Panteghini
Mediatore Elementare
Consulenze di Ecologia Olistica
E' cominciata la “potatura”, ovvero lo scalpo dei platani del Terraglio. Il comune di Mogliano provvede solerte a rendere sicure le strade di sua competenza riducendo i maestosi platani a gigantesche mani dalle dita mozzate. Si adduce anche la necessità di tutelare gli alberi stessi dal terribile “cancro del platano”. Sono informazioni tecnicamente scorrette: ogni grosso taglio è la via primaria di infezione e riduzione della vitalità degli alberi. Non si dice mai che il tre - cinque per cento degli alberi vetusti capitozzati in questo modo muore l'estate successiva (con successivi costi di abbattimento). Comprendo la difficile situazione degli amministratori che spesso non hanno a disposizione personale competente e hanno risorse ridotte.
La gestione del verde è diretta da geometri o membri dell'ufficio tecnico senza formazione specifica di botanica e gestione del verde pubblico. Lavorare allo stesso modo le ditte incaricate dalla Provincia di Venezia e Treviso. Oltre alla mancanza di professionalità, che le ditte private potrebbero compensare, c'è il costo: moncare le branche principali è un lavoro veloce che richiede poca competenza, potare a regola d'arte, riducendo il carico del vento, eliminando solo i rami pericolosi è richiede operatori qualificati e tempi maggiori. Più tempo si traduce in più denaro.
Quanto costa potare un albero di grosse dimensioni? Nei capitolati le cifre sono molto basse. Troppo basse. L'Anas ad esempio nel 2011 prevedeva un costo di 160 euro + IVA per ogni albero più alto di 12 metri, inclusa l'asportazione e lo smaltimento delle ramaglie. Cifra ridicola considerando che per questi lavori si utilizza una squadra di 5 persone e mezzi adeguati. Gli operatori se vogliono “guadagnarsi lo stipendio” sono costretti a potare un albero monumentale in meno di due ore. Se rimaniamo in questo sistema di pensiero siamo in un vicolo cieco. E' necessario allargare la visione per poi trovare altre strade. Innanzitutto dobbiamo accettare come punto irrinunciabile il ruolo ecologico chiave degli alberi nel paesaggio. Una terra con pochi alberi è una terra che si vota alla sterilità, alla desertificazione, alla povertà. Non possiamo più contare su nessun “polmone verde” a livello globale. L'Amazzonia è ridotta ad una savana alberata con qualche angolo di fitta boscaglia. Qualsiasi serio studioso di ambiente lo può confermare. Partendo da questo presupposto dobbiamo sviluppare politiche di gestione e sviluppo del patrimonio arboreo che coinvolga sia i privati che le istituzioni. E' un obiettivo comune, una delle maggiori eredità che lasceremo ai nostri figli.
In quest'ottica tutelare il singolo albero è poco significativo, l'importante è che si affermi la visione d'insieme. I platani del terraglio sono testimoni storici di un paesaggio che è scomparso: piantati in epoca napoleonica per ombreggiare le carreggiate sterrate dove si viaggiava a piedi o traino. Ora che contengono lingue d'asfalto con sofisticati “autonavi” metalliche, con l'aria condizionata, capaci di sfrecciare a velocità inimmaginabili cent'anni fa sono fuori posto. Sono pericolosi perché la velocità delle nostre macchine li trasforma in pilastri mortali quando ci schiantiamo. Il famoso architetto Paolo Pejrone invita da anni a riconsiderare questa tradizione dei viali alberati: conservarla nei centri storici e sostituirla con boschetti ritmati accanto, ma non rasente, le strade a forte traffico e velocità.
Dobbiamo avere il coraggio di trasformare il paesaggio in modo da armonizzare le esigenze della modernità con gli imperativi ecologici, pena il tracollo ambientale. Io sono fiducioso che il Veneto, ferito da uno sviluppo industriale impetuoso e dalle lottizzazioni sfrenate, possa diventare la guida della sintesi di un nuovo paesaggio dove “naturale” e “artificiale” trovino un reciproco equilibrio. Qui da noi c'è il ricordo e l'amore del paesaggio campestre, dei boschi e delle montagne innevate. Abbiamo le risorse economiche e di competenza perché abbiamo amministratori locali tra i migliori d'Italia: lo dimostrano ad esempio i comuni virtuosi nella raccolta differenziata. Si tratta quindi di ridefinire le prospettive e implementare le politiche che coniughino funzioni ambientali con sviluppo civili ed economico, che è proprio il compito dell'ecologia olistica e della geomanzia moderna. Quali sono le fasi operative per gli enti territoriali? Costituire un ufficio del Verde con personale qualificato, censire il patrimonio, redigere un regolamento comunale che preveda anche sanzioni, sollecitare la partecipazione attiva dei cittadini, stabilire aree di riforestazione, reperire fondi anche comunitari e collaborazione coi privati.
Francisco Panteghini
Quando mi sono trasferito in un centro storico lagunare ho messo nel conto di accettarne gli inconvenienti: maree, parcheggi lontani, scomodità dei trasporti. Pago questo prezzo volentieri perché mi sento privilegiato a vivere in questo luogo unico. Amo la città, il riverbero della luce sull'acqua e amo poter prendere la barca a remi ed essere in mezzora nell'ecosistema più complesso e ricco del pianeta. Le lagune infatti sono degli scrigni di biodiversità ed efficienza energetica: trasformano l'energia solare grazie alle acque basse e all'afflusso di nutrienti dai fiumi in un clima temperato e ricco che fa aumentare la produzione di biomassa a 15-20 g al m quadro, contro 1 g delle praterie. Quest'abbondanza si trasforma a cascata in alghe, batteri ecc. arricchisce tutte le catene alimentari (vongole, granchi, granchi e quindi uccelli ecc.).
Io sono cresciuto in montagna e ricordo le nevicate degli anni Ottanta, quando avere venti centimetri in una notte era consueto. Ci si svegliava presto, si spalava la neve, si liberava l'auto, si montavano le catene e si evitava di uscire se non per le cose indispensabili. Qui in laguna molte persone considerano le acque alte qualcosa di estraneo e nemico, ma a me sembra naturale. Se vivessi in una casa (magari anche abusiva) in golena non potrei certo lamentarmi per le piene del fiume! In certi quartieri, in certe isole si avverte ancora nei momenti di difficoltà il risorgere del senso di comunità, di trovarsi tutti sulla stessa barca (che affonda?) e sostenersi con consigli, parole e azioni. Questa spontanea coesione sociale è uno degli ingredienti dell'identità isolana che lo stato di Venezia seppe tradurre in una sistema politico che godette di invidiabile stabilità in confronto ad altre città stato come Milano o Firenze.
Il primo passo per capire cos'è e che funzione ecologica abbia la marea in laguna è rinunciare ai giudizi ma accettare che c'è e indagare le relazioni di causa, effetto e sincronicità. Se rimaniamo fermi nel giudicare il fenomeno (“buono” o “cattivo”) rimaniamo bloccati e non possiamo sviluppare strumenti operativi efficaci. La marea è un fenomeno naturale che mantiene in vita l'ecosistema lagunare con il ricambio delle acque. La funzione di pulizia delle acque marine è quanto mai vitale dato il progressivo aumento degli scoli delle nostre fognature, industrie e barche a motore diesel. Se blocchiamo il flusso delle maree trasformiamo la laguna in una vasca da bagno buona solo a metterci i pesci rossi. Declineranno inevitabilmente tutte le altre squisitezze protagoniste della gastronomia lagunare. Possiamo paragonare la marea e il suo movimento in laguna al nostro respiro: il polmone è la laguna, la marea il flusso d'aria. Il respiro ha ritmi regolari se siamo a riposo, ma di tanto in tanto dobbiamo prendere un respiro un po' più profondo per ossigenarci meglio. Quando invece siamo in attività dobbiamo respirare più velocemente e più a fondo. Oggi l'ecosistema lagunare è sotto grande sforzo e ha accelerato il suo respiro nel tentativo di rivitalizzarsi.
Ma l'acqua alta è sempre stata così frequente e intensa? Disponiamo di dati sistematici di rilevamento delle maree dal 1872. La cosa che colpisce osservando il grafico è che le maree eccezionali (acqua alta) è diventata cosa comune (passando da 2-3 volte l'anno a 30 e più) nel corso degli anni Sessanta, con un aumento continuo. Dunque questo fenomeno naturale è stato stravolto da qualche altro fattore? Cos'è successo negli anni Sessanta di così sconvolgente in laguna? Tra il 1961 e il 1969 è stato scavato il canale dei Petroli, ovvero un canale largo 200 metri e profondo 15-16 metri (in una laguna profonda in media 80 cm) che serve tuttora a consentire il passaggio di navi (petroliere in particolare) dalla bocca di porto di Malamocco alle raffinerie di Marghera. Una "grande opera" di quei tempi che serviva alla scelta politica di privilegiare un certo tipo di sviluppo economico (industriale) senza curarsi sulle ricadute ambientali dannose per la pesca, l'allevamento di molluschi e la tutela della laguna negli anni a venire. Era la logica del tutto subito, quando il boom mondiale dei consumi, di cui siamo stati protagonisti, ci illudeva che le risorse naturali fossero inesauribili e che il petrolio e i suoi derivati (dalla benzina alla plastica) fossero la chiave irrinunciabile della modernità. Quel tempo è tramontato ormai.
Il legame tra lo scavo del canale (e il suo continuo mantenimento), l'aumento del traffico navale, con conseguente moto ondoso, e il maggior ingresso d'acqua marina è evidente ma le scelte economiche e le politiche da esse influenzate le hanno volutamente taciute. Quel canale è una ferita profonda in un ecosistema unico. Una ferita che sta uccidendo la laguna, ma non temete la vita è continuo mutamento e la morte è solo una continua trasformazione: sta nascendo qualcos'altro. Una specie di grande golfo marittimo, che battezzerei il Golfo di Porto Marghera, non più di Venezia che è la prima condannata a soccombere al venire meno delle condizioni ambientali che l'hanno vista nascere e fiorire. Insomma stiamo costruendo qualcosa come il Golfo di Taranto qui in Veneto, buttando via secoli di politica idraulica della Serenissima per la tutela della laguna, che come le valve di una conchiglia custodiva la preziosa perla di Venezia. A me non piace questa prospettiva ma si può ancora cambiare strada. E tu cambieresti?
Francisco Panteghini
Mediatore Elementare
Consulenze di ecologia olistica
mediatorelementare@gmail.com
Ho appena finito di leggere l'accorata testimonianza di vita di Francesco Tassone nel suo libro “Ecologia consapevole”. Da agronomo di grande esperienza Tassone integra la sua ricerca personale con la pratica lavorativa. L'ho sentito molto vicino in questa tensione tra insoddisfazione personale e scontro con logiche distruttive e avvilenti sul lavoro. Con ironia ed esempi mostra i limiti della politica agraria europea e poi inizia a ridimensionare le teorie economiche e i modelli di pensiero che stanno alla base di un approccio riduzionistico e meccanicistico del reale. Limpida la sua consapevolezza che le teorie sulla realtà non sono LA REALTA', ma sono delle finestre da cui guardiamo prozioni del reale e che usiamo per prevedere cosa succederà e orientare il nostro comportamento.
Anche lui, come me e molti altri, arriva alla conclusione che è tempo di un cambiamento di paradigma (di visione scrivo io). Gli ingredienti essenziali di questa trasformazione sono l'accoglienza dell'essere umano integrale (HOMO empaticus lo chiama Tassone, superamento dell'indurito e incattivito Homo economicus), il rispetto per la Terra, il saggio uso delle sue risorse limitate secondo una nuova visione di ecologia globale, la rinuncia all'antropocentrismo e lo sviluppo di ascolto intuitivo. Sì avete capito bene: ascolto intuitivo. Tassone lo chiama “istinto ecologico” ovvero, partendo dalla sua esperienza, porta alla luce una capacità innata nell'essere umano di entrare in sintonia con l'ambiente decodificando messaggi e stimoli senza passare dall'intelletto ma che possono poi venire verbalizzati, tradotti e concretizzati. Captare questo flusso continuo di stimoli ambientali che passano attraverso il corpo e l'emotività permette di individuare, con una specie di bussola interiore, il comportamento migliore per noi e contemporaneamente per l'insieme.
Condivido e testimonio che è possibile sviluppare questo senso, che più che “sesto senso” chiamerei sano “buon senso” di esseri umani coi piedi ben piantati per terra che si rendono conto delle conseguenze del loro agire e non giocano a fare gli struzzi. Il presupposto di questa possibilità è che noi come esseri umani individuali siamo interconnessi con tutto l'ecosistema. Lo sviluppo dell'ecologia negli ultimi cento anni è proprio lo studio delle relazioni tra tutti gli elementi della biosfera e oltre. L'asserragliarsi in teorie scientifiche, economiche e altro che non sappiano aprire il loro sguardo a questo approccio è un comportamento infantile e distruttivo. Riconosciamo serenamente i nostri limiti, le esperienze e i fallimenti per poi metterci a disposizione della vita. Poesia? No, è un cambiamento di paradigma: passiamo da una visione che riduce e analizza, porta inquinamento e disperazione perché perde di vista che ogni cosa influisce sull'insieme e che azioni che danneggiano l'insieme si trasformano poi in danni per me.
E per sviluppare un cambiamento sociale, economico e tecnologico adatto all'ambiente in cui viviamo dobbiamo prima cercare di capire chi siamo, o se preferite ricordare chi siamo. Citando Tassone, che ingloba le conseguenze delle ricerche di fisica quantistica : “Certamente noi siamo anche personalità, siamo un copro, siamo DNA, ma principalmente siamo ciò che anima la materia, che si relaziona ad altre forme di energia che animano altre forme di materia. Siamo energia che si vuole evolvere e che lo fa attivando i suoi programmi evolutivi relazionandosi con l'ambiente circostante nelle sue diverse frequenze e dimensioni (non solo quelle visibili). Riceve continuamente impulsi di risposta alle sue domande e questo avviene in termini che superano la razionalità”.
Siamo in un momento di passaggio che ci impone di cambiare la nostra visione. L'uomo si è evoluto fino a mettersi in cima alla catena alimentare, è diventato il primo predatore, ha cominciato a costruire un ambiente completamente elaborato da lui dando vita a materiali, forme, organismi che non esistevano prima. Dunque è diventato un distruttore di paesaggi ma anche un creatore. Ora può accedere ad un altro livello: quello del creatore consapevole che collabora con il flusso energetico per sviluppare la ricchezza e la diversità della biosfera guarendo le ferite che ha inflitto. E' il movimento evolutivo planetario: possiamo cominciare a percepirci come la coscienza avanzata della Terra, la sua funzione creativa, un po' come nella visione ebraica del giardino dell'Eden possiamo portare consapevolezza (“dare il nome alle cose”) e diventare i custodi dell'evoluzione generale, accettandone i ritmi e sviluppando progressivamente la comprensione delle interrelazioni.
Il sistema terrestre sta evolvendo e sta attivando i suoi anticorpi alla devastazione: sia cambiando il clima ma anche risvegliando tra gli esseri umani una nuova coscienza. Come si estinsero i dinosauri l'umanità potrebbe estinguersi se non fosse più utile a Gaia, e forse l'eredità di specie più evoluta passerebbe ai delfini. La nostra scelta è libera se aderire e sviluppare nella nostra vita questa prospettiva che è implicitamente ecologica, senza diventare ambientalista e oppositiva. Dobbiamo portare al centro i valori, l'etica, la responsabilità, capire che il mezzo e il fine si influenzano a vicenda. Pensare l'economia con al centro un'etica dello sfruttamento e della competizione ha portato lo stato di attuale degrado ambientale. Se vogliamo permettere un'ulteriore evoluzione dobbiamo mettere al centro un'etica collaborativa, basata sulla fiducia e la percezione attenta della realtà piuttosto che delle teorie intellettuali su come la realtà dovrebbe funzionare.
Ebbene da dove cominciamo? Se avete letto fin qui e sentito di aderire in qualche modo non tanto ai contenuti informativi ma a quelli più sottili ed emotivi, che la vostra parte empatica di donne e uomini desiderosi di ulteriore evoluzione riconosce, seguite questo consiglio: abbracciate gli alberi. Con le braccia, il cuore, la mente abbracciate gli alberi. Tassone ha trovato il coraggio di dire ciò che sentiva a partire dall'incontro con un antico Kauri in Nuova Zelanda. Io ho trovato il coraggio di cambiare il mio modo di fare giardinaggio dormendo e dialogando interiormente sotto un grande platano. Fatelo e facciamolo, riconosciamoci e sosteniamoci a vicenda in questa evoluzione così necessaria per noi e per tutto il pianeta.