A tutte le Donne che accolgono la loro femminilità potente.
A tutti gli Uomini che si inchinano alla propria sensibilità.
A nonna Frida che, trapassando, mi ha ispirato questa storia.
Ci fu un tempo in cui l'umanità era intimamente connessa con i cicli del vivere e del morire, sentiva sotto i piedi nudi il cambiare delle stagioni, intuiva i movimenti dei pianeti e delle stelle, accordava ogni gesto a questo armonico fluire dagli astri alla terra, e poi dal basso all'alto. Le guide di quell'era, l'infanzia della nostra attuale generazione umana, erano Donne sapienti, compenetrate dei moti degli astri e dei flussi del fenomeno della vita su questo piano. Conoscevano sentendo e facendo risuonare nell'anima e nel corpo tutto ciò che le circondava. Perpetuavano con saggezza la vita delle loro comunità in un mondo dominato da un tempo ciclico, come il crescere e il calare della Luna. Con la Luna queste donne avevano una profonda connessione, vivendo ognuna il ciclo della propria luna rossa di sangue e fertilità. Gli uomini, figli e amanti delle donne, erano meno intuitivi e si applicavano con gioia alle occupazioni pratiche, saggiamente consigliati dalle Donne.
Col consumarsi dei millenni alcuni uomini iniziarono a nutrire invidia per il potere delle Donne e risentimento per esserne esclusi. Desideravano poter sperimentare più liberamente le proprie potenzialità, prendere dalla terra tutto ciò che desideravano, alterare i cicli naturali a loro vantaggio. Non compresi dalle loro amate madri e amanti cominciarono a riunirsi in gruppi di soli uomini, scoprirono la forza che il branco dava loro, l'ebbrezza di seguire un solo capo maschio, a loro simile, senza le lunghe discussioni in cerchio che tenevano le donne. Cominciarono a sperimentare il loro potere separato, ad aumentare la loro forza fisica, la loro astuzia nella caccia, i loro strumenti per tagliare e incidere nella materia un segno di sé. E il loro desiderio di potere crebbe e cominciò il conflitto: sperimentarono la loro forza contro le donne e fu violenza, stupro, sottomissione. L'umanità si divise in società matriarcali legate all'antico rispetto per la madre terra e gruppi patriarcali che invocavano il tuono, il lampo e il cielo altissimo come unico Padre.
Gli uomini inventarono la guerra, la religione, il culto del potere e i modi per esercitarlo: teocrazia, monarchia, aristocrazia e persino la perfetta democrazia ateniese, riservata ad una minoranza di uomini privilegiati. Stabilirono confini, tracciarono strade, strapparono i preziosi metalli dalla terra stessa con la complicità dei curiosi nani. Si sviluppò l'archetipo del guerriero e le società maschili proliferarono, spingendo col ferro e col fuoco, le pacifiche società matriarcali nell'ombra. Il sapere intuitivo delle antiche Donne, figlie delle Luna, venne in parte conquistato dagli uomini ma i suoi segreti più profondi non poterono essere comunicati perchè frutto di intuitiva conoscenza e non di nozioni e formule. In parte quel sapere si conservo sussurrato dalle madri figlie: le virtù delle erbe, le canzoni incantevoli ascoltate dagli elfi, i cicli della Luna ed altri arcani.
La nuova civiltà maschile si sviluppò al punto che i suoi figli maggiori, la filosofia e la religione, generarono a loro volta la scienza meccanicista e la teologia dogmatica che si scagliarono insieme, come incudine e martello, contro ogni aspetto della vita umana che sfuggiva loro in quelle ombre proiettare dai loro lucenti discorsi che separavano il ben dal male, la verità dall'errore, la razionalità dalla follia. Cominciò così quello che doveva essere l'attacco definitivo all'antico sapere femminile e lunare. Le eredi di quella tradizione vennero chiamate streghe (da strix, civetta, abitante della notte) e vennero catturate, seviziate, torturate e bruciate. Accanto a loro vivevano ancora alcuni uomini, figli, amanti e partecipi del loro sapere e furono chiamati stregoni. Ma accadde una cosa che i persecutori, nella loro tronfia ignoranza delle leggi cosmiche più profonde, avevano dimenticato.
Le anime delle vittime cominciarono a radunarsi in cerchio, come usavano fare nei tempi antichi. Dopo una lunga assemblea chiesero al Dio creatore del Bene e del Male di ottenere giustizia per ciò che avevano patito. E quel Dio, in forza delle leggi che egli stesso aveva stabilito, dovette accettare e chiese quale prezzo dovesse esigere. Maddalena, la messaggera delle Donne, si espresse così: “Come i nostri persecutori hanno sparso il nostro sangue anche noi chiediamo di poter spargere il loro”. Il Dio quasi si pietrificò alla richiesta: l'umanità si sarebbe estinta. “Ma – continuò Maddalena vibrando di una voce argentina e ridente - lo spargeremo a modo nostro: moltiplicandolo su tutta la Terra. Chiediamo alle nostre figlie incarnate di sposare e servire fedelmente i figli dei nostri persecutori in modo da accogliere il loro seme e mescolare le correnti del nostro sangue. E benediciamo questa nuova generazione affinchè impari ad accogliere entrambe le eredità, portandole a nuova sintesi: razionalità e intuizione, tempo lineare e ritmo ciclico, scienza e spiritualità, Forza e Grazia. E a quei bambini doniamo un mantello indaco, il colore nuovo che portò il Cristo incarnandosi sulla Terra”.
E questi sono gli anni che i figli e le figlie di quelle unioni stanno ricordando le loro origini, preparando la sintesi e il risveglio dei saperi più antichi o progettando geniali innovazioni. Costruiscono una società nuova, dove maschile e femminile sono complementari in ciascun individuo, dove le separazioni più dolorose si sciolgono in un dolce amplesso e dove piacere e dovere si coniugano nella propria autorealizzazione. Così che le Donne possano vivere a pieno la loro femminilità potente e gli Uomini, finalmente adulti, le accompagnino fieri ed Amici delle Donne. Usciremo così, insieme, dall'acerba adolescenza dell'umanità per entrare nella maturità della nostra evoluzione. Se tu che leggi hai sentito vibrare il tuo cuore sappi che tu sei mia sorella e mio amico e che, ovunque tu sia, io ti benedico e ti ringrazio per essere qui accanto a me in questi anni di sintesi e trasformazione.
Francisco Merli Panteghini, Amico delle Donne
Notte del 22 luglio 2011, Santa Maria Maddalena
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giovedì 21 luglio 2011
Le Figlie della Luna e gli Amici delle Donne
Jules Joseph Lefebvre, "Maria Maddalena nella grotta" (1876)
sabato 16 luglio 2011
Into the Wild
Il film americano “Into the Wild” ha lasciato una impronta profonda in molte persone. Ho la netta impressione che abbia dato un impulso notevole a trasformare la propria vita giocandosi tutto per recuperare una dimensione umana e terrestre. Cambiare lavoro, vagare in mezzo al verde, sviluppare progetti artistici che armonizzino arte e natura. Vivo in prima persona questa esigenza vitale, anche se il film l'ho visto in dvd un anno dopo l'uscita. Mi ha colpito intensamente, sia per la partecipazione emotiva, che per il finale tragico e il pensiero che un uomo geniale abbia veramente vissuto una vita così.
C'ho riflettuto a lungo ed ho capito che è un film profondamente americano, che incita e mette in guardia allo stesso tempo al mito del ritorno alla natura senza limiti. Il gesto di bruciare il denaro nel deserto credo che per un americano sia un gesto sconvolgente e potentemente liberatorio. Ma io che statunitense non sono ho altre strade per ritrovare la sintonia coi cicli viventi. L'anno scorso ho passeggiato da solo lungo la Piave per una settimana (vedi www.artepiave.it), quest'anno ho invitato ad un fine settimana di creatività in natura una decina di amici artisti. E ancora: ho presentato la mostra “Wild look” di Girardi e Castellani allo Spazio Rampon di San Donà, poi ho conosciuto quel gagliardo Filippo Binaghi che da tre anni gira l'Italia portando il suo pianoforte in posti impensabili (il tour si intitola non a caso “Wild Piano”). Come un linguaggio cifrato trasmesso da Radio Londra per attivare i partigiani così quel film ha acceso molti cuori e li ha spinti ad agire simultaneamente.
Per la mostra Wild Look avevo preparato un testo in cui avevo delineato la categoria del “selvatico”. Traduco “selvatico” e non “selvaggio” l'aggettivo “wild” perchè ormai di selvaggio e incontaminato nella vecchia Europa (e poi nel mondo) non è rimasto nulla: resta però, nei ritagli delle lottizzazioni e ai margini della nostra coscienza razionale l'intero mondo naturale non più minaccioso ma ancora animato dalla ricerca di nuovi equilibri nei frammenti di paesaggio tra un capannone e una casa. Se dicessi “selvaggio” la fantasia correrebbe alla giungla o alle savane africane e includerei un giudizio di valore in cui “civilizzato” è migliore di “selvaggio”. Il selvatico invece ci riporta ad una realtà complementare al domestico: ci sono animali e piante domestici e animali e piante selvatici.
Dobbiamo riconoscere la necessità del mondo selvatico nella nostra vita: per alimentare una cultura in armonia con la terra dobbiamo accettare innanzitutto la nostra parte selvatica, quella che istintivamente ci mette in sintonia con i nostri bisogni vitali, quella che ci spinge a camminare tra i boschi, a innalzarci sulle vette delle montagne, ad accorgerci del trascorrere delle stagioni. A questo proposito consiglio agli uomini il bel “l'uomo selvatico” di Risè e alle donne il classico “Donne che ballano coi lupi”. Il rapporto col selvatico ci aiuta a superare la visione antropocentrica: la civiltà umana fa parte di uno spazio più ampio che include tutto il sistema organico del pianeta vivente, Gaia. Entrando in comunione con ciò che umilmente vive attorno a noi, senza rabbia, senza giudizi, riscopriamo intuitivamente la gerarchia dei bisogni fondamentali dell'essere umano e di ogni essere.
E' questo l'anticorpo alle ideologie, alle paure, ai bisogni indotti: ricordarsi di prendere la vita così com'è, con un solido buon senso che si trova nei vecchi contadini come nei grandi maestri spirituali. Se intraprendiamo questo percorso troviamo in noi una insospettata forza per cambiare i nostri desideri, i nostri pensieri e la nostra vita. Diamo spazio al selvatico, lasciamoci istruire dalla capacità di trovare continuamente nuovi equilibri dinamici! Non è più possibile la fusione inconsapevole come ai tempi del giardino dell'Eden ma è necessaria ora la contaminazione creativa, per rimetterci in gioco come portatori di vita, creatori di nuovi spazi antropizzati e selvatici al tempo stesso: con più alberi, più animali, più spazio per le acque e meno confini, meno asfalto e meno discariche.
Stiamo sviluppando, ciascuno individualmente, la coscienza di vivere in un sistema organico, dove ogni cosa è collegata. E' fallita la visione meccanicista, dominatrice, razionale e maschilista del mondo. Ogni mia scelta porta conseguenze a tutto il sistema vivente. E' come una danza di gruppo: solo che spesso noi balliamo ciascuno su una musica distorta, perchè filtrata dal nostro egoismo, dalla nostra visione ristretta. Eppure i nostri cuori battono all'unisono, ma nel troppo rumore di TV accese e traffico intenso fatichiamo a sentirlo. Provate ad abbracciare un albero: ricomincerete a sentire il vostro cuore che batte: l'amico frondoso vi ricorda che siete vivi e capaci di amare. E' così che il principe Siddharta divenne il Budda meditando sotto un ficus religiosa ed è così che Gesù Cristo nel giardino degli Ulivi, trovò la forza di superare la Passione e risorgere a nuova vita, quella che, in questi anni di Apocalisse, ha portato i semi di una nuova civiltà umana.
C'ho riflettuto a lungo ed ho capito che è un film profondamente americano, che incita e mette in guardia allo stesso tempo al mito del ritorno alla natura senza limiti. Il gesto di bruciare il denaro nel deserto credo che per un americano sia un gesto sconvolgente e potentemente liberatorio. Ma io che statunitense non sono ho altre strade per ritrovare la sintonia coi cicli viventi. L'anno scorso ho passeggiato da solo lungo la Piave per una settimana (vedi www.artepiave.it), quest'anno ho invitato ad un fine settimana di creatività in natura una decina di amici artisti. E ancora: ho presentato la mostra “Wild look” di Girardi e Castellani allo Spazio Rampon di San Donà, poi ho conosciuto quel gagliardo Filippo Binaghi che da tre anni gira l'Italia portando il suo pianoforte in posti impensabili (il tour si intitola non a caso “Wild Piano”). Come un linguaggio cifrato trasmesso da Radio Londra per attivare i partigiani così quel film ha acceso molti cuori e li ha spinti ad agire simultaneamente.
Per la mostra Wild Look avevo preparato un testo in cui avevo delineato la categoria del “selvatico”. Traduco “selvatico” e non “selvaggio” l'aggettivo “wild” perchè ormai di selvaggio e incontaminato nella vecchia Europa (e poi nel mondo) non è rimasto nulla: resta però, nei ritagli delle lottizzazioni e ai margini della nostra coscienza razionale l'intero mondo naturale non più minaccioso ma ancora animato dalla ricerca di nuovi equilibri nei frammenti di paesaggio tra un capannone e una casa. Se dicessi “selvaggio” la fantasia correrebbe alla giungla o alle savane africane e includerei un giudizio di valore in cui “civilizzato” è migliore di “selvaggio”. Il selvatico invece ci riporta ad una realtà complementare al domestico: ci sono animali e piante domestici e animali e piante selvatici.
Dobbiamo riconoscere la necessità del mondo selvatico nella nostra vita: per alimentare una cultura in armonia con la terra dobbiamo accettare innanzitutto la nostra parte selvatica, quella che istintivamente ci mette in sintonia con i nostri bisogni vitali, quella che ci spinge a camminare tra i boschi, a innalzarci sulle vette delle montagne, ad accorgerci del trascorrere delle stagioni. A questo proposito consiglio agli uomini il bel “l'uomo selvatico” di Risè e alle donne il classico “Donne che ballano coi lupi”. Il rapporto col selvatico ci aiuta a superare la visione antropocentrica: la civiltà umana fa parte di uno spazio più ampio che include tutto il sistema organico del pianeta vivente, Gaia. Entrando in comunione con ciò che umilmente vive attorno a noi, senza rabbia, senza giudizi, riscopriamo intuitivamente la gerarchia dei bisogni fondamentali dell'essere umano e di ogni essere.
E' questo l'anticorpo alle ideologie, alle paure, ai bisogni indotti: ricordarsi di prendere la vita così com'è, con un solido buon senso che si trova nei vecchi contadini come nei grandi maestri spirituali. Se intraprendiamo questo percorso troviamo in noi una insospettata forza per cambiare i nostri desideri, i nostri pensieri e la nostra vita. Diamo spazio al selvatico, lasciamoci istruire dalla capacità di trovare continuamente nuovi equilibri dinamici! Non è più possibile la fusione inconsapevole come ai tempi del giardino dell'Eden ma è necessaria ora la contaminazione creativa, per rimetterci in gioco come portatori di vita, creatori di nuovi spazi antropizzati e selvatici al tempo stesso: con più alberi, più animali, più spazio per le acque e meno confini, meno asfalto e meno discariche.
Stiamo sviluppando, ciascuno individualmente, la coscienza di vivere in un sistema organico, dove ogni cosa è collegata. E' fallita la visione meccanicista, dominatrice, razionale e maschilista del mondo. Ogni mia scelta porta conseguenze a tutto il sistema vivente. E' come una danza di gruppo: solo che spesso noi balliamo ciascuno su una musica distorta, perchè filtrata dal nostro egoismo, dalla nostra visione ristretta. Eppure i nostri cuori battono all'unisono, ma nel troppo rumore di TV accese e traffico intenso fatichiamo a sentirlo. Provate ad abbracciare un albero: ricomincerete a sentire il vostro cuore che batte: l'amico frondoso vi ricorda che siete vivi e capaci di amare. E' così che il principe Siddharta divenne il Budda meditando sotto un ficus religiosa ed è così che Gesù Cristo nel giardino degli Ulivi, trovò la forza di superare la Passione e risorgere a nuova vita, quella che, in questi anni di Apocalisse, ha portato i semi di una nuova civiltà umana.
martedì 5 luglio 2011
Amore condizionale
(foto di Giuseppe Dall'Arche per Artepiave.it)
“Non voglio piante brutte nel mio giardino: o la cura o la cambia” così ha sentenziato il signor C., un milanese che gode una volta al mese un bell'appartamento a Venezia con giardino. Quanto hanno riecheggiato quelle parole in me, hanno risuonato con quel malessere crescente che mi spinge oggi a lasciare il mercato del giardinaggio. Ti amo fino a quando soddisfi le mie aspettative, i miei bisogni. Noi chiamiamo amore questo “do ut des”. Ma è un amore condizionale e condizionante che crea dipendenza e paura di perdere il beneficio, il nutrimento emotivo dell'approvazione altrui.
Qualcuno invece, forse un angelo travestito da carpino bianco o da olmo, mi ha messo nel cuore un seme che ora è una gracile pianticella, di accettazione totale e gioiosa. Ti amo perchè esisti. Io esisto libero e ti ringrazio che esisti anche tu, così posso far fluire il mio amore e ampliare la mia percezione di me e di te in un noi sempre più inclusivo. Quanto malato sono ancora di aspettative e voglie egoisitche che mi allontanano da questo albero luminoso che mi cresce dentro! Ma lui non si scompone, continua a crescere, con la pioggia o con il sole e mi accoglie senza giudizi ogni volta che rientro in me stesso. Mi sussurra “diventa albero!”.
Gli alberi mi incantano. Mi hanno salvato la vita e mi hanno sfamato quando sono rinato. Non mentono, non giudicano, ti offrono sempre sostegno, ombra, aria pulita. Percorrono la terra con le loro radici, ancorandosi al meglio ma contemporaneamente non smettono mai di muoversi: oscillano continuamente al vento, scricchiolando e frinendo. Un maestro, Claudio C., definisce l'amore come “accettazione incondizionata di ogni fenomeno in ogni sua espressione”. Sacro mistero.
Non è l'amore degli innamorati ma è più vicino al cuore di madre. Deve essere questo l'amore di cui parla Gesù Cristo insegnando “amatevi come Io ho amato voi”. Vi accetto e vi mostro in questo modo la vostra più profonda essenza, al riparo di ogni giudizio e aspettativa. Questo amore rende perfetto ciò che ama, permettendogli di esprimere tutte le sue potenzialità. Questo amore, frutto di sforzo e libera scelta, aumenta continuamente esercitandolo. Rende perfetto tutto ciò che tocca sottraendolo alla paura della separazione, della condanna, del rifiuto.
E così chiudo la mia azienda, Amico Giardiniere, continuando ad amarla e ricordandomi che nacque come un progetto di formazione, per incoraggiare adulti e bambini a fare esperienze creative e conoscitive nel verde. Ora posso essere ancora di più Amico Giardiniere: amico delle piante e di chi le ama e le vuole conoscere sempre più.
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