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martedì 23 novembre 2010
San Martino riscoperto
11 novembre si festeggia S.Martino di Tours. Il culto del santo si è diffuso al seguito dell'espansione prima carolingia e francese poi. L'iconografia tradizionale immortala il gesto con cui Martino, in sella al suo cavallo, taglia in due il suo mantello per condividerlo con un mendicante in una fredda giornata invernale. A questo gesto di fraternità e calore umano viene associata la dolce “estate di S.Martino”, gli ultimi giorni di bel tempo e tepore prima della cammino definitivao verso il freddo e tenebroso l'inverno. Il 29 settembre si è festeggiata la Luce con i santissimi arcangeli, primo fra tutti Michele (il Sole), per fare una bella scorta da potare fino a Natale. Poi è arrivata la notte del 31 ottobre, con la possibilità di contattare consapevolmente gli esseri umani trapassati e altri esseri del sottosuolo. Ora arriva S.Martino: la celebrazione del calore, quello che fa maturare i frutti e che è la figura dell'amore fraterno sul modello della parabola del buon Samaritano.
La festa di S.Martino era di grande importanza nel mondo agricolo. Segnava la conclusione dei lavori nei campi, ci si incontrava per vendere, comprare e scambiare le ultime provviste prima dell'inverno. Si potevano tirare le somme e fare nuovi progetti con la manodopera libera dalla cura dei campi. In Veneto, come in molte altre terre, era il giorno in cui i mezzadri andavano dal padrone a portare la quota di spettanza e a contrattare il rinnovo dei contratti o i cambiamenti opportuni. Era quindi un momento di festa ma anche di tensione sociale perchè i rapporti di potere tra possidenti e semplici coltivatori venivano rimarcati. Ben rappresentava il gesto del mantello tagliato la divisione dei prodotti della terra data a mezzadria. I signori rimarcavano i loro diritti e di certo si identificavano col nobile Martino che, dall'alto del suo cavallo, poteva degnarsi di condividere col povero le sue ricchezze.
Una nuova comprensione del gesto del santo mi ha raggiunto vedendo la rappresentazione di Cima da Conegliano. Martino a cavallo procede verso la sinistra dell'osservatore. Divide il mantello rosso con la spada. Il mendico è quasi nudo e barbuto, sembra manifestare la polarità del maschile di contro a un Martino morbido e femminile. Le tre figure (cavaliere, cavallo e povero) disegnano una diagonale dall'alto a sinistra dove trionfa un monte dalla forma curiosa, come una torre con colonne, che il mantello completa come un flusso rosso che scende dall'alto. Se osserviamo con attenzione sono presenti nel dipinto tutti gli elementi: il monte (terra), il cielo con le nuvole (molte concentrate sopra Martino), l'acqua sotto la pancia del cavallo ed il calore del rosso mantello.
Il quadro rappresenta un sistema secondo me, parla della struttura dell'anima umana riordinata: il sentire - cuore Martino, il pensiero purificato che lo serve (il cavallo bianco) e l'anima senziente, l'istinto. In un'anima così ordinata può fluire l'Amore. Azzardo anche una lettura più ampia, un incitamento: l'umanità si è servita delle forze di pensiero (il cavallo) per forgiarsi l'intelletto (la spada) che gli ha permesso di sviluppare il libero arbitrio. Ora è il momento di usare questi strumenti per donare qualcosa a tutto il mondo di natura (il mendico, nudo perchè in sintonia con la madre terra) che abbiamo allontanato per poter fare la nostra evoluzione separata. Cosa doneremo? L'Amore consapevole che nasce dalla libera scelta e non dalla incosciente armonia con l'universo. Così potremo offrire il più alto risultato risultato dell'essere umano, aver realizzato il comandamento dell'Amore che abbiamo ricevuto da Cristo Padre, che Martino manifesta col panno rosso all'altezza del cuore sul pettorale dell'armatura.
mercoledì 10 novembre 2010
Guerrieri spirituali
Continuando la riflessione sulla spiritualità maschile non può mancare una riflessione sulla tradizione occidentale del guerriero per la difesa della propria fede, che le crociate hanno esaltato e cristallizzato in pochi tratti. Senza voler essere esaustivo possiamo ricordare le commistioni tra fede e spada nella leggenda dell'imperatore Costantino che sogna la croce con una voce dal Cielo che proclama “sotto questa insegna vincerai”. Le vite dei santi ci offrono una ampia schiera di martiri e santi guerrieri, guidati idealmente dall'Arcangelo Michele, il Principe delle Milizie Celesti, colui che seppe precipitare il drago sulla Terra (e non nella Terra, cioè sulla sua superfice dove ha potuto crescere e moltiplicarsi...). Una figura (nel senso medievale, come dire un avatar secondo la tradizione indù) di Michele è S.Giorgio che cavalca indomito contro il drago che si ciba di vergini e salva la principessa. Altro santo guerriero è S.Martino, di cui domani si celebra la festa e di cui spero scriverò presto. Un'evoluzione del connubio tra tradizione guerriera e servizio religioso è S.Ignazio da Loyola, ex militare che fondò la Compagnia di Gesù, fedeli ai superiori e quindi al papa “deinde ac cadaver”, cioè come se fossero corpi privi di vita autonoma.
Ma l'icona del guerriero della fede è costituito dal crociato che per antonomasia è il cavaliere templare: il monaco guerriero, servitore di Dio e impeccabile soldato, disposto al sacrificio e alla battaglia anche in condizione di schiacciante inferiorità numerica. Molti hanno scritto sui templari ma pochi ne hanno compreso la missione storica e la vocazione di quelle anime. Di certo è vero che alcuni templari furono mistici e ricercatori esoterici, nel profondo del cuore cercavano la Verità oltre ogni forma e ogni dogma e se si confrontavano sui campi di battaglia con soldati di altre confessioni religiose cercavano la profonda sintesi e gettavano ponti perchè l'umanità riconoscesse l'unico Dio Padre, invisibile e presente in ognuno (Dio-Io). Credo che proprio il loro sincretismo li espose alla persecuzione della chiesa cattolica, unita agli appetiti del re di Francia. Sembra questa la martoriata vocazione della Terra Santa: condurre l'umanità a riconoscere la relatività delle singole immagini di Dio proposte dalle diverse tradizioni per raggiungere una consapevolezza più elevata, frutto della ricerca e dell'esperienza interiore di contatto col Divino in Noi.
Molti sono i santi che vinsero il drago (l'ego?) come S.Benedetto da Norcia che lasciò un'apposita preghiera il cui acronimo è NDSMD (Non Draco Sit Mihi Dux: che non sia l'ego a guidarmi). Ma il più grande santo guerriero, nel senso più puro del termine è San Francesco d'Assisi. La mia affermazione potrà stupire ma bisogna ricordare che questo giovane borghese, di madre francese, crebbe nel mito della cortesia e della cavalleria: nella giovinezza alternò la galanteria con il duro allenamento per diventare cavaliere, e fu solo dopo le esperienze di guerra e di prigionia che maturò il rinnovamento di questa sua vocazione guerriera: la ferrea disciplina e l'esercizio divennero autodisciplina delle proprie passioni e astinenze durissime. La conferma della continuità tra la vocazione guerriera e quella spirituale viene anche dal culto tutto speciale che il santo coltivò per l'arcangelo Michele: praticava una speciale quaresima nei quaranta giorni prima della festa a lui dedicata (29 settembre). Proprio in una di quelle astinenze ricevette le stimmate sul monte Verna. Altro indizio è la partecipazione di Francesco alle crociate (partì da Venezia e restò via quasi due anni). Curiosa continuità: padre Pio fu a sua volta un fervente devoto dell'arcangelo Michele.
Ma l'icona del guerriero della fede è costituito dal crociato che per antonomasia è il cavaliere templare: il monaco guerriero, servitore di Dio e impeccabile soldato, disposto al sacrificio e alla battaglia anche in condizione di schiacciante inferiorità numerica. Molti hanno scritto sui templari ma pochi ne hanno compreso la missione storica e la vocazione di quelle anime. Di certo è vero che alcuni templari furono mistici e ricercatori esoterici, nel profondo del cuore cercavano la Verità oltre ogni forma e ogni dogma e se si confrontavano sui campi di battaglia con soldati di altre confessioni religiose cercavano la profonda sintesi e gettavano ponti perchè l'umanità riconoscesse l'unico Dio Padre, invisibile e presente in ognuno (Dio-Io). Credo che proprio il loro sincretismo li espose alla persecuzione della chiesa cattolica, unita agli appetiti del re di Francia. Sembra questa la martoriata vocazione della Terra Santa: condurre l'umanità a riconoscere la relatività delle singole immagini di Dio proposte dalle diverse tradizioni per raggiungere una consapevolezza più elevata, frutto della ricerca e dell'esperienza interiore di contatto col Divino in Noi.
Molti sono i santi che vinsero il drago (l'ego?) come S.Benedetto da Norcia che lasciò un'apposita preghiera il cui acronimo è NDSMD (Non Draco Sit Mihi Dux: che non sia l'ego a guidarmi). Ma il più grande santo guerriero, nel senso più puro del termine è San Francesco d'Assisi. La mia affermazione potrà stupire ma bisogna ricordare che questo giovane borghese, di madre francese, crebbe nel mito della cortesia e della cavalleria: nella giovinezza alternò la galanteria con il duro allenamento per diventare cavaliere, e fu solo dopo le esperienze di guerra e di prigionia che maturò il rinnovamento di questa sua vocazione guerriera: la ferrea disciplina e l'esercizio divennero autodisciplina delle proprie passioni e astinenze durissime. La conferma della continuità tra la vocazione guerriera e quella spirituale viene anche dal culto tutto speciale che il santo coltivò per l'arcangelo Michele: praticava una speciale quaresima nei quaranta giorni prima della festa a lui dedicata (29 settembre). Proprio in una di quelle astinenze ricevette le stimmate sul monte Verna. Altro indizio è la partecipazione di Francesco alle crociate (partì da Venezia e restò via quasi due anni). Curiosa continuità: padre Pio fu a sua volta un fervente devoto dell'arcangelo Michele.
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