Beril, genietto poliziotto, è un personaggio inventato da Mario Chiereghin (Chioggia 1898-1982), maestro elementare chioggiotto e scrittore di racconti e poesie. Cattolico praticante, attivo a Chioggia a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, dagli anni Cinquanta ha pubblicato una decina di libri illustrati per ragazzi e la raccolta di poesie “Congedo”. A lui è stata dedicata la nuova scuola elementare di Borgo S.Giovanni grazie anche all'interessamento del preside Erminio Bibi Boscolo, che fu da ragazzo suo appassionato lettore.
I suoi racconti sono ancora molto godibili e la serie dedicata alle investigazioni del “genietto poliziotto Beril” approcciamo in mod fresco le competenze naturalistiche. Si distaccano dalle fiabe perché qui ad essere protagonista non è un giovane eroe o eroina ma un piccolo spirito della natura che cerca la verità sui misteri e i piccoli misfatti della vita del prato, dialogando con insetti e altri animali. Una lettura caldamente consigliata e che la biblioteca Sabbadino di Chioggia custodisce. In occasione del concorso SCOPRIAMO LE BARENE CON AMICO GIARDINIERE (iscrizioni entro 21 ottobre) ho deciso di rendere omaggio allo scomparso collega con una nuova avventura che, dal tranquillo prato di campagna dove vive, proietta Beril, il famoso investigatore, a risolvere un mistero ancora più intricato tra le barene della laguna sud. Il racconto però mi è rimasto incompiuto per un crampo alla penna, forse qualcuno dei miei giovani lettori saprà svilupparlo e portarlo a miglior compimento! Buona lettura,
prof. Francisco Panteghini
Beril e il mistero delle barene scomparse
Un'ombra improvvisa
Il sole era già alto quando sul prato accanto al filare di vecchi gelsi improvvisamente calò l'ombra massiccia di un superbo esemplare di Volpoca. L'anatra non perse tempo in convenevoli e marciando in giro per il grande prato starnazzava con un senso di urgenza. Pochi conoscevano il suo linguaggio, tanto raro era l'arrivo dei suoi simili così lontano dalla laguna. Da quel poco che si capiva pareva che ci fosse urgenza e che cercasse il folletto Beril. Gli acuti sensi del nostro amico Beril avevano colto subito la planata massiccia dell'animale, così raro nei suoi territori. Mentre, con apparente negligenza, sospendeva il piccolo riposo, inforcava il berretto conico a punta e si legava l'affilato fioretto al fianco, Beril tendeva le orecchie aguzze per decifrare la strana parlata dell'animale, un maschio dal becco rosso carminio acceso. Quando fu pronto volteggiò planando dal gelso dove si trovava verso il centro del prato.
Gli insetti, le rane, i topi di campagna messi in agitazione dagli starnazzi della volpoca e dal suo inquieto procedere, erano sfuggiti per poi riunirsi in capannelli vocianti che si tacquero vedendo Beril in tutto il suo splendore avanzare baldanzoso e sorridente verso l'animale che, a confronto suo, era un gigante: dalla punta del cappello alla punta aguzza dei suoi stivaletti rossi il folletto misurava sì e no 30 formiche giganti nere messe una sull'altra. Cosa avrebbe potuto mai fare contro quell'anatra apparentemente impazzita? Arrivato a poco meno di un metro Beril scalò con abili balzi, degni del re dei grilli, una pianta di malva costellata di fiori. Pose le mani ad imbuto e lanciò un richiamo, in perfetto volpochese: “Qua qua sono qua! Chi mi cerca e qua qua qua perché?”
Stupito di sentirsi chiamare nella sua lingua l'anatra si volse verso di lui stupita e i suoi occhi bruno-noce scuro inquadrarono lo sguardo allegro del folletto. Preso da un certo timore la volpoca avanzò lentamente ancheggiando verso di lui. Beril potè ammirarne la livrea, quella di un maschio di volpoca nel pieno del suo vigore, di 4 o 5 inverni. La testa, il collo e il centro del petto erano di una lucente tonalità verde-scura, aveva un largo collare e le penne remiganti dell'omero rosso-cannella, le altre remiganti grigio-nere, il sottocoda era gialliccio e per il resto il piumaggio era di un candido bianco quasi abbagliante in quel mattino di tarda estate. Abbassò il capo sempre fissandolo e, avendo ricevuto un cenno del capo dall'ometto vestito di rosso, iniziò: “Qua quanto tempo che ti sto cercando! Qua quasi disperavo che tu non vivessi più qua. Qua qua abbiamo bisogno di te!” “Da quando in qua voi volpoche siete sotto mia giurisdizione, non sai forse che il mio compito è vegliare queste terre fin laggiù al grande fosso? Che cosa ti sei messo in testa?”
“Il folletto della barena di S.Michele Astor mi mandato: di anno in anno la terra si restringe e temiamo che presto venga la fine… vieni a consigliarci cosa fare astuto Beril!” “Astor? Non lo vedo quasi da mezzo secolo! Mi hai incuriosito… verrò con te, ma prima: come ti chiami?” “Io sono Quaquasimodo, dalla scorsa primavera capo squadriglia della migrazione del branco V57”, detto questo abbassò la testa fino a terra e offrì il collo a Beril che agilmente saltò in groppa mentre tutti gli abitanti del prato si avvicinavano stupiti: da molto tempo infatti il folletto non lasciava quelle terre e ci dovevano essere dei gravi motivi per farlo. Beril sventolò il cappello rosso in alto salutando festosamente: “tornerò presto cara gente! Rigate dritto fino al mio ritorno se non volete pentirvene. Quaquasimodo prese una piccola rincorsa e balzò prendendo quota con lente falcate e dirigendosi verso nord.
Il grande voloEra ormai mezzogiorno e il calore dell'estate morente permeava ed il sole splendente abbacinava la vista. Il volo si era fatto sicuro ma affrettato, trasmettendo nuovamente quel senso di urgenza. Da tempo Beril non veleggiava a quelle quote, ma la sua natura curiosa di folletto non conosceva la paura e quindi si dispose ad osservare e imparare quante più cose potesse. Le case degli uomini si erano moltiplicate a dismisura e il nastri grigi che le univano erano dilagati ovunque coprendo interi campi, prati, fossi, boschetti di cui non restava traccia alcuna. Dappertutto le loro scatole metalliche di ogni forma e colore scorazzavano, strombazzavano e insozzavano l'aria. Grigi spiritelli deformi si aggiravano senza meta e senza speranza ora che piante e animali di cui si dovevano prendere cura non esistevano più.
Beril distolse lo sguardo: la libertà degli esseri umani provocava danni di cui nemmeno si rendevano conto. Iniziarono a perdere quota e, oltre l'argine lagunare che separava la Brenta dalla grande laguna ecco apparire le macchie timidamente violacee delle tarde fioriture del limonio in barena. Un macchia nero carbone attirò subito l'attenzione e Beril chiese alla volpoca di sorvolarla. “Andiamo proprio lì” si sentì rispondere. Prato e alberi erano stati lambiti da un incendio, le erbe erano completamente incenerite, alcuni alberi invece conservavano sulle cime qualche rigoglio ramo che lasciava sperare in una futura ripresa. Quaquasimodo fece un paio di giri starnazzando e poi atterrarono sulla strada inerbita accanto al terreno bruciato. L'incendio sembrava essersi fermato nei pressi di una vecchia casa cadente e di un massiccio e severo edificio grigio, pieno di ferro e cemento. Per il resto a fare da argine al fuoco erano state proprio le strade che circondavano l'appezzamento. Chissà cosa aveva fermato le fiamme verso gli edifici. Beril stava per avventurarsi tra le ceneri quando un fischio allegro lo distolse: pur essendo un folletto come lui Astor negli anni aveva assunto una fisionomia piuttosto differente: la carnagione era di un bell'incarnato olivastro, le vesti e il cappello conico sgualcito erano color vinaccia e, cosa che infastidì Beril, portava una collana e bracciali fatti con pezzi di plastica colorata, materiale prodotto dagli umani che stava creando sempre più problemi a piante e animali.
“Beril benvenuto! Come te la passi nel tuo noioso prato dei gelsi? Ho pensato che avresti accettato volentieri una rimpatriata qui da me, a vedere come il mondo cambia in fretta e a darci un aiuto con le tue doti da investigatore!” “Caro Astor, vedo che ti sei messo alla moda dei grandipiedi e trascuri le nostre tradizioni…” L'altro restò un momento interdetto poi, con la sfrontatezza tipica dei folletti, replicò: “Qui a contatto con le maree e i venti devo confrontarmi ogni giorno coi “grandipiedi” come li chiami tu, non vivo certo in qualche albero incantato fuori dal tempo! Ma smettiamola di battibeccare come due gazze! Ti ho chiamato perché di anno in anno qui la situazione peggiora e non riesco a capire cosa fare...”
“E va bene, raccontami in dettaglio quello che sai e poi ci metteremo all'opera” “Questo incendio si è scatenato ieri all'improvviso, prima dell'alba e se non fosse stato per gli umani dagli scatoloni rossi che l'hanno spento dopo alcune ore tutto qui sarebbe stato devastato. Non era mai successo un fatto del genere, circondati come siamo dalla laguna non ho alcuna memoria di incendi di questa portata.” “Forse sono stati proprio i grandipiedi ad appiccarlo...” “Ma se poi lo hanno spento proprio loro!” “Chi viveva in questo prato prima dell'incendio? Cominciamo a interrogarli per capire cosa è accaduto” “Giusto Beril, seguimi!” e in un baleno il folletto si trasformò in un mulinello di vento che attraversava il terreno bruciato sollevando cenere. Beril sorrise e si traformò a sua volta in un mulinello lanciandosi all'inseguimento. Il prato era devastato, rovi e arbusti disseccati e spogli ma il cuore dei ciuffi d'erba e le radici sembravano intatte e pronte e rigenerarsi. Purtroppo alcuni insetti non erano riusciti a fuggire in tempo, le lumache in particolare erano state sterminate. Si fermarono sotto ad un pioppo nero, che era riuscito a proteggere le sue cime dalle fiamme. Sentivano il pioppo lamentarsi mentre inviava nuova linfa e toccava le zone più esterne intaccate dal fuoco.
“E' troppo intento a leccarsi le ferite” esclamò Beril “non ne caveremo nulla… però forse qualcuno che abitava qui ci potrà essere di aiuto” “Ma di chi parli?” “Guarda la forcella più alta… un corvide stava preparando il nido, sai chi era?” “Certo: una coppia di cornacchie, Marilla e Turizzo ma non le vedo da ieri. Hanno gracchiato attorno all'incendio per una buona ora per dare l'allarme poi sono andate via.” “Forza allora mobilita i tuoi amici volatili e trovale” “Questa è musica per le mie orecchie!” esclamò Astor correndo su per il tronco dell'albero ed iniziando a gorgheggiare un decine di richiami diversi. In pochi minuti il cielo si riempì di garzette, cormorani, passeri, aironi guardabuoi, svassi, cavalieri d'Italia, germani reali, pettegole ed altri. Ascoltarono le richieste di Astor e poi si divisero in ogni direzione.
Esplorando la barena“Mentre aspettiamo che le trovino ci sono altre questioni per cui mi hai convocato? Non sta bene lasciare il proprio posto di lavoro a lungo...” “Certo Beril, so che sei sempre zelante, vieni con me”. Tornarono a mutarsi in mulinelli d'aria e velocissimi arrivarono all'argine oltre il quale si stendeva la quieta barena. I colori del prato, verdi e gialli dopo l'estate torrida, digradando verso la laguna salata lasciavano il posto a tonalità di verde grigio violetto marrone. Lì si entrava in un altro mondo: quello sommerso dalle alte maree della laguna dove solo poche piante erano in grado di resistere alla presenza del sale. La vegetazione però non si presentava compatta: in più punti era attraversata da sentieri calpestati e poi c'erano grandi spiazzi innaturali. Percorsero velocemente uno dei sentieri, portava le inequivocabili tracce pesanti dei grandipiedi che sembravano attraversare la barena verso punti precisi. Si fermarono poi in uno degli spiazzi: la marea e il vento avevano lisciato ogni cosa e cancellato quasi ogni traccia. Beril girò tutt’attorno e mentre Astor spiegava: “Gli umani vengono qui a cacciare le anatre, a raccogliere vongole o pescare, calpestano e sporcano come se non fosse anche casa loro…”
“Questo spiega i sentieri, qui le impronte sono pesanti ed evidenti anche ora, ma qui al centro?” “I gabbiani reali si sono alleati con gli umani, si stanno moltiplicando a dismisura e i loro stormi cercano sempre nuovi punti di sosta e nidificazione eliminando completamente la vegetazione” “Dunque gli umani nutrono e proteggono i gabbiani come fanno con le galline o i maiali?” “Non so esattamente che rapporto ci sia tra loro ma so che frequentano la loro città ogni giorno ed hanno persino cominciato a parlare come loro!” “Non avevo mai sentito che un nobile gabbiano reale si fosse fatto addomesticare, voglio saperne di più Astor!” “Va bene Beril, ma volevo mostrarti ancora alcune cose che purtroppo negli ultimi anni sta danneggiando la barena. Come sai uno dei compiti di queste terre è filtrare l’acqua e trattenere i detriti, contribuendo a far crescere nuove isole nel tempo ma vieni a vedere ora cosa succede…”
Così i due folletti si avventurarono cautamente nella vegetazione, saltando agilmente i piccoli ghebi seminascosti. Il profumo delicato di sale, la fioritura del limonio e l'aroma della salicornia li avvolsero donando una sensazione di benessere e pienezza. Beril notò che, avvicinandosi alla laguna sembrava sempre più di camminare su un terreno cavo, con strani scricchiolii sotto i suoi piedi leggeri. Ogni tanto emergevano resti di oggetti dei grandipiedi, poi intere sacche di materiali colorati ed oggetti rotti: ciabatte, retine, pezzi di scatole di varie forme e colori, teli trasparenti e frammenti di buste, bottiglie di ogni tipo di quel brutto materiale leggero e resistente che da 50 anni i grandipiedi si ostinavano ad usare al posto del vetro o del metallo. Lo scenario si faceva sempre più desolante e arrivati al limitare della barena, mentre Astor taceva visibilmente afflitto, un nuovo cupo scenario si presentò agli acuti occhi del folletto poliziotto: qualcune sembrava aver strappato tutto il lemo di terra e la spiaggetta che un tempo circondavano la barena, le piante più esterne avevano le radici penzoloni nell’acqua come se un potente fiume avesse eroso per metri e mtri l’antico limite.
Beril stentava a crede ai suoi occhi: non vedeva segni delle pesanti scatole metalliche galleggianti dei grandipiedi e nemmeno altri segni evidenti della loro presenza. “Ma chi si è mangiata tutta questa terra?” “Negli anni le onde si sono fatte sempre più forti, anche in assenza di vento, e credo che sia tutto collegato al passaggio sempre più frequente delle scatole galleggianti dei grandipiedi, più grandi e veloci di un tempo.” “Forse possiamo capire qualcosa di più osservando tutto dall’alto e seguendo qualcuna di queste diavolerie… voglio parlare coi gabbiani reali, visto che conoscono così bene i grandipiedi.” Astor si rianimò: “Andiamo a tutta forza in forma di vento per superare quel canale e arrivare sull’isola dei monaci”
Alla ricerca di testimoni
Due strani mulinelli di vento scossero la vegetazione diretti verso nord e, prendendo la ricorsa, si lanciarono in un lungo salto verso l’isola vicina, che era circondata da un’ampia barena, al centro la quota aumentava ed ospitava un ricco prato di graminacee e qualche tamerice. Beril poco avvezzo a quel genere di acrobazia arrivò tutto inzuppato, mentre il folletto delle barene lo punzecchiava: “A girare per il tuo prato sei un po’ fuori allenamento eh? Com’era l’acqua? Ti mancava un bel bagnetto nelle acqua salmastre?” “Nulla di grave su…volevo solo pulirmi dalla polvere... dove sono questi gabbiani?” Non ci fu bisogno di alcuna risposta perché due grossi gabbiani reali appostati a guardia del territorio della colonia si alzarono in volo ad una ventina di metri ed iniziarono a roteare e gridare minacce gli intrusi.
“Via via caveve via!” ”Bepi astu visto i foletti?” “Via via caveve via anca voialtri” Beril cominciava ad innervosirsi e portava già la mano allo spadino, non era certo abituato a farsi trattare così! Lui che custodiva l’ordine nelle sue terre! Astor invece, avvezzo ai modi un po’ sgarbati e alla parlata dei gabbiani sempre più simile a quella degli umani, iniziò ad apostrofarli in un modo tutto particolare, con sorpresa del folletto di campagna: “Calmeve crocai! Qua gavemo Beril, el foleto polisiotto, che ne darà na man coi misteri dela barena! Venì qua che ne parlemo” Dopo qualche altro grido minaccioso i gabbiani atterrarono guardinghi a un paio di metri da loro, impeccabili nelle loro livree grigio bianche, coi becchi aguzzi e gialli e gli occhi duri. “Co gero pulcin mia mama me conteva storie de sto Beril, adesso come podaravelo essere ancora elo, cossì sovane che a zè?” Beril si rianimò improvvisamente e si fece avanti: “Messer Gabbiano lieto che tu abbia sentito parlare di me, sono stato convocato per aiutare gli abitanti della barena e il loro folletto guardiano e credo che voi possiate darmi risposte preziose” “Ma come parlelo sto qua, cugin?” Lo derise il gabbiano più vicino. “Ah ah Toni! Saralo venuo da Padova? Gran dottori quei…” Beril non pose altro tempo ad ascoltare i loro starnazzi di irrisione e balzò sul gabbiano più vicino punzecchiandolo con lo spadino!
E quando quello provò a scrollarselo e volar via gli si avvinghiò al collo fino a punzecchiargli le palpebre e minacciando di cavargli gli occhi, intimando con forza di star fermo e calmo. Mogio mogio il gabbiano si accovacciò immobile e col capo basso. “Picolo e cativo sto foleto rosso, cugìn!” lo canzonò l’altro! “Non ho tempo da perdere con la vostra maleducazione, ricordatevi che, finchè vivrete qui sarete tenuti a collaborare con noi custodi della natura anche se vi siete fatti addomesticare dai grandipiedi” “Via cugìn no se gavemo fati domesticare niente! Andemo tuti i dì a prendere el pesse dai bateli o in pescaria e poi femo merenda dove che se muce le scoasse” “Le scoasse? E cosa sarebbero?” “Gli scarti” interloquì Astor “gli umani producono enormi quantità di scarti di cibo, oggetti rotti o anche solo vecchi… sono quelli che abbiamo visto anche in barena” “Dunque vi mangiate quello che loro sprecano?” “Ghe sé roba bona anca e il pesse megio che ghe sia, sia nostrano che foresto!” “E perché ci sono così tante “scoasse” anche qui da noi? Chi ce le porta?” “La sevente le porta e qualche caciatore” “E chi sarebbe questa sevente?” Il gabbiano malmenato spiegò ora pazientemente : “la sé la corente che vien dal mare e inonda la laguna, quela che alsa el livelo. Rancura tute le scoasse che i bute o che i perde i omeni e le porta qua o fora in mare”. “Dunque solo loro possono risolvere il problema…” “Le sirene ghe prove a muciarli in qualche canton e qualche omo strano rancura e porta via ste scoasse, ma i sé mondo puochi!” continuò il gabbiano reale. “Molto interessante! Alcuni uomini quindi si sono accorti del problema… e cosa mi sapete dire del furto di interi settori delle barene? Chi se li mangia? Un gigante melmoso?” “I bateli! Pì che i cresse de numero e potensa e pi che desfa le barene e le rive” Astor intervenne “Bepi sostiene che siano le barche a creare il problema” “E come sarebbe possibile? Mica approdano in barena!” “Foleto de teraferma come podé capire la laguna? Col batelo va avanti verse l’acqua e crea onde strane, inaturali, cative, che se magna un dì dopo l’altro tute le rive.” E gabbian Toni aggiunse: “Per quelo che i omeni mete pali e sacchi a protesion. I à capio el problema ma non i vuole prendere la decision de cambiare mezzi”. “Ancora una volta quindi tutti questi problemi sembrano nascere dall’agire dei grandipiedi, dovendo rispettare la libertà che il Creatore gli ha dato temo che potremo fare ben poco…”
Un aiuto dal sud
Astor nel frattempo sembrava distratto da qualcosa, una macchia nera in volo da sud… il folletto iniziò a modulare il richiamo della cornacchia ed in pochi minuti un bell’esemplare di cornacchia maschio atterrò a fianco a loro. “Turizzo! Come stai? E tua moglie?” “E’ spaventata e sfibrata dall’incendio di ieri, sono venuto a cercarti perché mi è stato detto che avevi bisogno di me” “Questo è Beril, il famoso folletto poliziotto, per aiutarci a risolvere i misteri della barena” La cornacchia si inchinò rispettosa. “Buongiorno Turizzo. Vorrei sapere di più su questo strano incendio. Non sembra che sia nato naturalmente…” “Non credo nemmeno io signor Beril. E’ scoppiato improvviso e si è diffuso velocissimo in tutta la zona” “Raccontami quello che hai visto e sentito…” “Prima dell’alba io e mia moglie riposavamo sul nostro pioppo e aspettavamo belli belli il chiaror del sole. Io avevo un certo appetito e non vedevo l’ora di mangiarmi qualche mora… Abbiamo il sonno leggero e, ora che ci penso bene, mi ero scosso per aver sentito arrivare una delle scatole metalliche degli umani. Poi silenzio, forse un pescatore che adava in barena. Improvvisamente il bagliore del fuoco, che invase velocemente parecchi metri. Incredibile, non avevo mai visto un fuoco divampare in quel modo. Così ci siamo scossi e abbiamo chiamato aiuto e dato l’allarme ma le erbe secche hanno ceduto il passo velocemente trasformandosi in ceneri fumanti.” “Ma quel rumore che avevi sentito all’inizio, di quell’umano… l’hai più sentito? Sei il primo testimone che mi parla della sua presenza.” “A pensarci bene tra il fumo e le fiamme ho visto una scatola mobile che se ne andava in fretta”
Tempo di agire
Beril spiazzò tutti: “Mi sembra che sappiamo abbastanza quindi! E’ tempo di agire! Astor raduna stasera al tramonto tutti i nostri amici in barena e tu, messer gabbiano , portami a conoscere questi umani che raccolgono le “scoasse”, mi hanno incuriosito. Forza nelle ali messer Toni!” Il gabbiano reale non se lo fece ripetere due volte e aprì le potenti ali in rapide falcate, guadagnando poi la rotta verso la città degli uomini. Le case e le colate grigie erano dilagate ovunque lasciando solo qualche albero e piccolo prato, ma al centro della città splendeva uno specchio d’acqua dalle qualità meravigliose, un cuore luminescente nel sole del pomeriggio. “Cos'è quello?” “A sé el Lusenso sior Beril… un toco de laguna che sé na maravegia” Beril intuì la vita marina che pullulava sotto le sue acque mentre le gradazioni della luce riflessa sembravano irradiare di bellezza e serenità tutte rive intorno.
Beccheggiando tra canali e approdi ci volle oltre un’ora per individuare gli uomini strani che pulivano la laguna. Il gabbiano atterrò su un tetto di fronte all’approdo della loro barca, piccola e colorata con anche foto della città e il disegno di un leone rosso rampante. A fatica Beril riuscì a leggere, che non amava molto le lingue umane: Cuore di Laguna. Due uomini erano affaccendati a pulire la barca e rassettare retini e sacchi. Uno era alto e forte, nonostante i radi capelli bianche aveva il viso sorridente e un simpatico pizzetto a mento. L’altro era stempiato e serioso, con una barbona bianca e nera. Li ascoltarono scambiarsi qualche battuta: il primo si chiamava Paolo e il secondo Fransi. Pare che il più anziano fosse anche più alto in grado. Avevano raccolto alcuni sacchi di immondizie ripescate e ora si apprestava pulire la barca con cura. I sensi acuti di Beril si accorsero che i due emanavano una luce particolare, diversa dal solito caleidoscopio delle anime umane a cui era abituato: era come se i loro colori fossero più stabili e più caldi. Forse potevano essere gli interlocutori giusti per inviare un messaggio a tutti gli altri grandipiedi distratti o rabbiosi.