Ciclicamente mi raggiungono delle richieste di sostenere questa o quella iniziativa per la tutela dei popoli nativi: guaranì brasiliani, awa dell'Amazzonia, masai africani (bellissimo il sito Survival). Simpatizzo ma con un piccolo groppo in gola. Parole che vorrebbero trovare forma e che oggi libero: anch'io mi sento parte di un popolo nativo, qui in queste "civilizzate e moderne" contrade dell'odierna Repubblica italiana. Un popolo smembrato e perseguitato da secoli, umanità radicata nel proprio territorio con un rapporto intuitivo e sensuale con tutto ciò che vive. Gente orgogliosa del proprio lavoro, con un'etica del lavoro all'antica, dotata di una spiccata sensibilità.
Penso a loro quando leggo i versi del Manzoni:
"Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti,
Dai boschi, dall'arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l'orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce de' padri la fiera virtù"
(coro dell'Adelchi di Alessandro Manzoni)
Questo senso di appartenenza l'ho cominciato a capire qualche anno fa, in viaggio sul Rio delle Amazzoni verso Parintis. Mi chiedevo cosa avrebbe potuto cambiare il destino dei popoli indigeni dell'Amazzonia e mi rispondevo : un leader. Una figura carismatica capace di rinsaldare l'identità e articolare una visione ampia in cui inserire azioni concrete. Penso al famoso Gandhi come maestro: la sua capacità di attrarre consenso, di trovare gesti concreti in cui tradurre i suoi ideali (il modo di vestire, filare in casa, muoversi a piedi o in treno...) e offrire a milioni di persone un padre ideale in cui riconoscersi. Il Mahatma ha incarnato in un certo senso lo spirito di un popolo, un popolo ben più grande delle singole etnie che compongono il caleidoscopio indiano (che solo l'amministrazione coloniale inglese unì).
Allo stesso modo sogno per il popolo a cui sento di appartenere punti di riferimenti, persone dalla solida virtù che possano fornire fondamento e guida a identità ancora incerte. Fanno parte di questo popolo coloro che credono nell'autonomia delle comunità locali di piccole dimensioni, nella gestione comunitaria (non comunale) di servizi e beni di interesse collettivo, nello sviluppo sostenibile di ogni territorio secondo le proprie peculiari vocazioni, coloro che vivono esperienze di fusione panica con la natura. Insomma le persone che capiscono il senso delle parole di Manzoni nell'Addio ai Monti "cime ineguali note a chi è cresciuto tra voi e impresse nella sua mente non meno che l’aspetto de' suoi familiari, torrenti de' quali si distingue lo scroscio come il suono delle voci domestiche".
L'esperienza ormai al tramonto della Lega Nord ha mobilitato parte di questo popolo ma ne ha anche deluso altre componenti mentre inseguiva posizioni di potere e logiche di sviluppo identiche a quelle contro cui diceva di battersi. Ora si apre una nuova stagione: la Madre Terra chiama tutti i suoi figli e figlie con voce sempre più forte. Sono loro le guide e i mediatori che possono condurre l'umanità intera alla costruzione di una nuova epoca di vita e sviluppo in armonia con la biosfera terrestre. Questo popolo, veramente e orgogliosamente terrestre, io lo chiamo Popolo del Cuore: perchè sa stare nel mezzo tra la testa e la pancia, tra il freddo pensiero razionale e l'abbandono agli istinti elementare.