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mercoledì 13 maggio 2020

UN INSOLITO ORTO BOTANICO URBANO A TREVISO di Michele Zanetti

Ci è giunta notizia e la fonte è ben informata, che si sta progettando il restauro delle storiche mura di Treviso mediante il solito, radicale e sistematico intervento di diserbo chimico. Niente di nuovo; anzi, tutto come regolarmente fatto da almeno settant’anni a questa parte. La conservazione del patrimonio architettonico storico, del resto, lo impone. Nel senso che implica la rimozione della flora avventizia di tipo ruderale e interstiziale, che si insedia in genere sulle vecchie strutture murarie. In questo caso, tuttavia e questa è la ragione per cui abbiamo ritenuto di dovercene occupare, vale la pena considerare alcuni aspetti del problema fino ad ora ignorati. Aspetti che afferiscono, da un lato (ma questo è in qualche misura scontato) ai rischi connessi con l’uso di sostanze chimiche in ambiente urbano e in prossimità di luoghi di passeggio e di gioco, almeno in tempi normali. Dall’altro e questo invece è abbastanza insolito, alla conseguente eliminazione di una componente floristica e perché no, anche micro faunistica, di particolare interesse.
La flora ruderale urbana e le vecchie mura ne rappresentano sicuramente un habitat elettivo, comprende specie di un certo interesse e persino specie rare, sia nel contesto urbano, che nella fascia geografica di bassa pianura che ospita la città di Treviso. Verrebbe da chiedere, anzi, a questo proposito, uno studio botanico preliminare all’intervento di restauro. Proprio per mettere in luce questi aspetti e, in particolare, per indicare quali tratti o aree delle stesse mura presentano un interesse maggiore. Certo, tutto questo e dunque una indagine botanica e magari anche faunistica relativa all’habitat delle mura storiche di Treviso, commissionata dalla pubblica amministrazione, avrebbe una portata rivoluzionaria e costituirebbe un precedente. Un precedente che i nostri amministratori, avvezzi a ignorare pari pari gli aspetti naturalistici persino quando progettano una pista ciclabile (vedi Parco del Sile e gronda lagunare nord), potrebbero considerare pericoloso. Ma che invece noi potremmo interpretare come indizio di nuova e più matura civiltà e cultura. Si pensi allora a quanto potrebbe scaturire da una siffatta indagine. Si potrebbe persino scoprire che sulle mura vegeta una mezza dozzina di specie di felci, quali Asplenium trichomanes, Asplenium ceterach, Polypodium vulgare, Adiantum capillusveneris, Scolopendrium vulgare e magari, Polypodium cambricum e Asplenium adiantum nigrum. E si potrebbe altresì scoprire che il riscaldamento gloglobale, di cui le avversità che stiamo vivendo ci hanno fatto dimenticare i perniciosi effetti, è testimoniato dall’avvento di nuove specie. Si potrebbe scoprire la presenza di rettili quali Coronella austriaca o Tarentola mauritanica e finanche quella di chirotteri (pipistrelli), annidati delle nicchie più profonde.
In altre parole si potrebbe in tal modo scoprire la presenza di un orto botanico e di uno zoo urbani di notevole valore naturalistico, scientifico e didattico. Così almeno noi pensiamo possa accadere. E se così fosse, il trattamento di diserbo chimico andrebbe a cancellare un piccolo, ma prezioso patrimonio di biodiversità. E la conservazione? Dirà a questo punto qualcuno. Bene, rispondiamo noi, la conservazione è importante e non vi si può rinunciare, ma non si può rinunciare neppure alle “mura vive”. Nel senso che sarebbe necessario trovare una soluzione che coniugasse le due esigenze; fermo restando il fatto di escludere il diserbo chimico, per non nuocere alla salute dei cittadini. Ma anche, diranno gli animalisti a questo punto, per non danneggiare le anatre domestiche, le oche, i coniglietti e le caprette, ospiti dell’isola-parco prospiciente le mura sul lato nord. Per risolvere il problema in tutti i suoi aspetti, abbiamo dunque pensato ad una proposta, anch’essa rivoluzionaria. Perché non creare un “Orto botanico urbano” delle Mura storiche di Treviso, limitandolo al tratto più dotato di fitodiversità e di zoodiversità? Potrebbero essere cinquanta metri, oppure cento o magari duecento, ma consentirebbero di conservare la natura che coabita con i cittadini di Treviso ed offrire a scolaresche e studenti motivi di ricerca didattica e di educazione scientifica. Anche perché, noi siamo innamorati dell’utopia.
*Articolo di Michele Zanetti, Presidente dell’Associazione Naturalistica Sandonatese, pubblicato sul bollettino n.3 Naturainforma e gentilmente concesso per la divulgazione

martedì 5 maggio 2020

Il Terzo paesaggio di Gilles Clément

Per un paesaggista o un giardiniere ecologico (così sidefinisce semplificando Clèment) come il Giardiniere BioEtico conoscere il lavoro e le sfide concettuali che ha posto il francese Cilles Clément credo sia uno importante stimolo per la crescita personale e per la propria visione professionale. Non intendo con questo diventare un "Clementiano" ma dichiaro che per chi guarda al giardino con passione naturalistica attraversare Clément possa portare fecondi approcci alla proprio lavoro. Clément è anche un abile scrittore e insegnante e la sua produzione scritta è vasta e meritevole di attenzione. Ho scelto un piccolo libro per approcciarmi al suo lavoro maturo: il "Manifesto del Terzo paesaggio". Un libro dichiaratamente programmatico e persino provocatorio con un lessico asciutto e l'argomentazione netta da pamphlet illuminista.
Il Terzo paesaggio è costituito dall'insieme dei luoghi abbandonati dall'uomo: ritagli stradali, archeologie industriali, lottizazioni abbandonate ecc. Luoghi che non sono più "naturali" ma nemmeno sotto l'azione permanente dell'uomo, agricoltore o cittadino che sia. Il Manifesta è stato pubblicato nel 2004, tradotto in italiano dalla Quodlibet di Macerata nel 2005 ed ha avuto molto successo che fa scrivere all'autore nell'ultima ristampa "L'interesse suscitato dalla nozione di Terzo paesaggio presso diverse istituzioni e politici in diverse regioni del mondo mi ha indotto a pubblicare questo testo gratuitamente su www.gillesclement.com al fie di facilitarne la consultazione a tutti, soprattutto agli studenti. L'edizione 2013 contiene il nuovo capitolo Evoluzione e pratica del cncetto di Terzo paesaggio.
Il Terzo paesaggio viene anche definito come "frammento indeciso del giardino planetario", rimanda a Terzo Stato come uno spazio che non esprime nè potere nè sottomissione al potere. Il paragone provocatorio rimanda al pamphlet rivoluzionario di Sieyès nel 1789 che contribuì alla presa di coscienza della borghesia nel momento di crisi dell'Ancient Regime dominato dalla monarchia, dall'aristocrazia e dal clero. Il terzo paesaggio dunque è composto da spazi eterogenei ma ha un tratto comune: è un rifugio incolto per la biodiversità scacciata dall'uomo e dalle sue monocolture agricole o giardinieristiche che siano. Un altro tratto caratteristico è che i pendii e i rilievi contribuiscono alla diffusione della diversità. I residui assistono di ondate alla colonizzazione di piante pioniere favorite dal terreno nudo e si alternano velocemente fino a che il terreno si chiude e prendono il sopravvento le piante arboree. Occorrono meno di 40 anni per passare da un incolto a un fitto imboschimento.
La flora dei residui accolgie anche tutte le flore esotiche pioniere compatibili con quell'ambiente. Quindi il Terzo paesaggio è il territorio della mescolanza planetaria per eccellenza al contrario delle riserve naturali o delle foreste vergini. I residui costituiscono allo stesso modo riserve biologiche soggette a nessuna tutela e anzi periodicamente soppressi dall'azione umana. Il Terzo paesaggio è un luogo creativo, di sperimentazione di nuove convivenze e per molti versi rappresenta il futuro biologico in quanto riserva di tutte le configurazioni genetiche planetarie. Quindi l'aumento programmatico dei residui permette di predisporre rifugi per la diversità. E' il contrario della logica di sfruttamento e del profitto oggi dominante. Per questo il discorso sul Terzo paesaggio è anche un discorso politico di critica alle modalità dominanti e distruttive dell'umanità.
Al contrario accogliere il Terzo paesaggio, tutelarlo e irrigidirlo rischia comunque di condannarlo perdendo la sua mutevolezza nel tempo. Per aver a che fare con questi spazi e il loro potenziale è necessario educare tanto il fare quanto il non fare accogliendo la creatività naturale senza asservirla a modelli rigidi. Come vedete questo "manifesto" definisce nuove categorie e spinge ad una presa di posizione di fronte a quello che prima erano spazi senza nome. Inoltre la visione ecologica aperta, dinamica e aperta alla contaminazioni rappresenta una posizione di assoluta novità rispetto all'ambientalismo conservazionista e rigido. Clément pone sfide e mira a provocare nel lettore una reazione. Se questa recensione vi ha incuriosito a sufficienza non esistate a leggere l'intero libro che in 90 agili pagine offre un condensato di più approcci al Terzo paesaggio.