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giovedì 19 marzo 2020
Controstoria delle origini della civiltà
Rimango stupito quando incontro uomini geniali e controtendenza che insegnano in università americane. Mi stupisce il giurista Ugo Mattei, difensore dei ben comuni in Italia e che insegna nella Silicon Valley e mi ha stupito leggere il libro di James C. Scott "Le origini della civiltà. Una controstoria." Scott insegna scienze politiche alla Yale University ed è esperto di storia agraria e di anarchismo. Mi domando come facciano questi intellettuali a conciliare le loro opinioni e battaglie personali con l'incarico accademico nella potenza imperialista del momento. Evidentemente c'è ancora spazio per il pensiero critico e me ne rallegro.
Il libro di Scott è ben documentato ma anche visionario: cerca di superare con ragionamento e analogie la carenza di fonti sulla nascita dei primi stati nella Mesopotamia antica. L'autore non è uno storico specializzato di quelle civiltà ma, appoggiandosi a studi esistenti e citati si avvicina con arguzia e senza pregiudizi ad una domanda che in gran parte della storiografia è data per scontata: come sono nati i primi stati? Quali erano le condizioni essenziali per il loro affermarsi? Che conseguenze portarono nella società tardo neolitica? Solitamente si da per scontato che il passaggio da società egualitarie, sedentarie, capaci di sostenersi con le risorse locali unendoci agricoltura e allevamento ma anche la caccia e la pesca dei ricchi estuari paludosi del Tigri e dell'Eufrate sia governato da una sorta di necessità: il progresso della civiltà che coincideva con la costruzione di città dotate di mura e magazzini, l'istituzione di tasse ed eserciti.
Scott dimostra come le società neolitiche non avevano bisogno di formare stati e che molte condizioni dovettero verificarsi contemporaneamente: la formazione di gruppi elitari armati capace di stravolgere un'organizzazione tendenzialmente egualitaria in società gerarchiche con la nascita della schiavitù, il cambiamento climatico che ridusse l'abbondanza di cibo disponibile da più fonti, la conoscenza delle coltivazione dei cereali facilmente immagazzinabili e tassabili. A tal proposito ricordiamo come il primo utilizzo della scrittura era la contabilità dei primi stati: quanti unità di cereali, capi di bestiami, contadini o schiavi venivano censiti e dato che le fonti scritte sono tra le principali fonti si suole affermare che società senza scrittura sono senza civiltà. Al contrario Scot descrive le società neolitiche mediamente più ricche, senza grandi differenze sociali e senza le forti imposizioni fiscali e violenza indispensabili per la nascita degli stati.
Ciò che molti storici danno per scontato e che ci viene inculcato implicitamente come l'unica e migliore organizzazione possibile, in contrapposizione a popolazioni "barbare" solo perchè dotate di diversa organizzazione a base familiare e senza forte attaccamento alla proprietà esclusiva dei beni di produzione. Si parla di "caduta" di una civiltà statale e di "secoli bui" quando se ne perdone le tracce (scritte) mentre il crollo dei centri di potere può convivere con un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione liberata da imposizioni fiscali, lavori forzati, coscrizione obbligatoria. Scott riesce in questo agile volume di 200 pagine a proporre uno sguardo fresco, per nulla banale e scontato su tutta la storia della cosiddetta "civiltà", identificata con le organizzazioni statali, e contrapposta alle popolazioni non statali come i Germani, i Mongoli, insomma i "barbari" di turno, poi "civilizzati" andando a sostituire l'elite guerriera delle società conquistate.
La scrittura sembra necessaria affinchè lo stato centralizzato e stratificato possa riprodurre se stesso. La scrittura ha sempre e solo accompagnato la formazione delle città e degli imperi, vale a dire, l'integrazione all'interno di un sistema politico di un numero considerevole di individui in una gerarchia di caste e classi. Sembra insomma favorire più lo sfruttamento dell'umanità che la sua cultura. Scott dimostra che le sue tesi sono applicabili in tutte le società antiche: Egitto, Mesopotamia, India e Cina tutte accomunate dall'agricoltura irrigua di cereali con alta concentrazione di popolazione, tasse, esercito e città fortificate. Potremmo infine azzardare un paragone con le nuove tecnologie telematiche fatte più per controllare masse di consumatori i cui bisogni vengono stimolati ad hoc e la cui presa di coscienza viene manovrata dosando sapientemente le informazioni disponibili.
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